Questa lettera rappresenta un primo tentativo di provare a riordinare le mie idee e a capire quali siano le turbe che mi inseguono. Non sono sicuro di essere pronto a rivelarmi davanti a persone estranee, le quali non possono che avere un breve scorcio della mia esistenza attraverso queste parole; tuttavia, la mia intenzione è guarire, pertanto sono pronto a fare uno sforzo e ad aprirmi. Mi scuso in anticipo qualora dovesse rivelarsi caotica oppure eccessivamente verbosa, ma vorrei approfittare di questo spazio per potermi abbandonare in un flusso di coscienza e in un lavoro d'introspezione che, tra me e me, non possono essere efficaci.
Sono un ragazzo di 23 anni e presumo di soffrire di depressione da almeno 8 anni. Non ricordo il motivo scatenante, né come sia giunto a tale considerazione. Nell'agosto del 2018 ho subìto quello che posso definire, con buona sicurezza, l'evento più traumatico della mia vita. Considero tale data uno spartiacque della mia vita: esisteva un me stesso prima di quella notte e ne è scaturito uno nuovo dopo. Prima di quel periodo ammetto di non avere molti ricordi circa i miei pensieri e il mio stato d'animo. Rimembro di aver spesso percepito una sensazione di vuoto, come se ci fosse una voragine che erodesse lentamente, ma con costanza, la mia essenza. Ricordo anche di aver vissuto un pesante conflitto con me stesso, tra la delirante sensazione di essere un genio incompreso e la più fredda realtà, la quale mi dipingeva semplicemente come un ragazzo qualunque che affrontava diatribe comuni a qualsiasi suo coetaneo. Ricordo anche di provare un dolore vivido e persistente che languidamente e pedissequamente accettavo, dal momento che non sapevo come potessi affrontarlo o risolverlo. L'intensità di tale sentimento era variabile: intenso e prolungato per un paio di mesi, sommesso e nascosto nell'altrettanto lungo periodo successivo. Ogniqualvolta constatassi un umore migliorato, mi crogiolavo nell'idea di aver finalmente sconfitto questo male ignoto e senza volto, per poi stancamente realizzare quanto vani fossero stati i miei sforzi e prematuri i miei festeggiamenti non appena questo tornava a manifestarsi.
Vorrei evitare di dilungarmi oltre su tale periodo della mia vita, dal momento che ritengo che un consulto specialistico, su cui sto ponderando seriamente ormai da oltre un mese, sia la sede più adatta per poterne discuterne in maniera più organica e analitica. Per gli stessi motivi vorrei limitarmi a fornire le informazioni essenziali su quanto accadde nella data precedentemente citata. In quel fatidico 2 agosto 2018 mi trovavo a Lisbona con il mio gruppo di amici e la mia ragazza (che vorrei chiamare L.) per poter festeggiare in maniera adeguata la fine del liceo. Nei giorni antecedenti, L. ed io vivemmo un periodo di tensione e disagio, il quale si acuì in maniera irreparabile quella sera. Quando una ragazza mi disse che facevo terrorismo psicologico su L. e che fosse stata incaricata di riferirmelo poiché lei era l'unica persona a me amica del gruppo, ebbi un crollo. Mi ubriacai - ho pochi e vaghi ricordi di quella sera, pertanto questa breve digressione si basa su quanto mi sia stato successivamente riferito -, andai a chiamarla a gran voce, mentre due ragazzi più robusti di me mi reggevano, quindi, dopo essere stato accompagnato in camera, rivelai il mio lato nascosto.
Lo definisco così poiché ebbi imparato ben presto a celarlo, dal momento che ogni mia manifestazione dello stesso provocava negli altri una vasta gamma di reazioni: dalla repulsione, con conseguente allontanamento, ad un pietismo tanto ipocrita quanto irritante che spingeva gli altri a trattarmi con delicatezza e sufficienza, in quanto ritenuto debole e malato.
Dubito di poter riportare nella mia mente tutti i pensieri, gli stati d'animo ondivaghi e il dolore che provai nell'anno successivo che impiegai per elaborare la perdita, dopo quella sera, di L. e del mio gruppo di amici, i quali non mi ebbero mai fornito delle motivazioni valide riguardo i loro comportamenti, né si furono mai interessati a cosa pensassi.
Posso citare quelli che ritengo i danni più evidenti: non riuscii più a fidarmi di nessuno; cominciai a pensare che gli altri non mi dicessero mai la verità; iniziai a ritenere che non piacessi alle persone che mi reputavano loro amico; maturai un senso di totale repulsione verso l'altro sesso, esacerbato da un altro dolore d'amore giunto tra il dicembre dello scorso anno e il febbraio dell'anno corrente; sorse in me un sempre più profondo "abandonment issue", il terrore con tinte di mesta rassegnazione che gli altri mi abbandonassero, prima o poi; mi tagliai più volte il braccio sinistro, tanto che ancora oggi mi vergogno a sollevare le maniche per mostrare le cicatrici - un atteggiamento che si manifesta anche con le ferite emotive.
Vorrei concludere un racconto diacronico e ordinato sul piano cronologico per poter descrivere, invece, ciò che provo ora. Prima, però, vorrei aggiungere una rassicurazione a mo' di compendio: ho iniziato il percorso accademico, il quale procede in maniera spedita e soddisfacente; ho trovato delle persone che posso dire tengono a me e di cui ho cominciato a fidarmi, tentando, seppur a fatica e non senza discussioni e altro dolore e disagio, di rivelare cosa pensassi e come mi sentissi. Fra di loro è possibile annoverare anche G., colei che ritengo essere la persona più importante della mia vita e l'unica che abbia riportato una gemma di speranza e amore in un essere che fa fatica a non percepirsi come cattivo, disinteressato e insicuro.
Come accennato precedentemente, sto valutando la possibilità di rivolgermi ad uno specialista. Ho già avuto modo di prendere parte ad una terapia psicologica dopo la rottura con L., nel 2019. È durata circa 8 mesi e ho deciso volontariamente di abbandonarla poiché mi sentivo guarito e svuotato di tutto ciò che avessi da dire. Come avrete avuto modo di notare, avendo scritto di getto queste parole, si trattava di quanto più lontano possibile fosse dalla realtà dei fatti.
Credo di voler intraprendere il suddetto percorso per ottenere delle risposte a delle domande che ancora non mi sono posto. Il quesito a cui con maggior foga, curiosità e disperazione vorrei rispondere, probabilmente, è: chi sono io? Ogni volta in cui mi pongo questa domanda, vengo pervaso dalla paura di rispondere "non lo so". "Io" è cambiato così tante volte nel corso della sua vita che ormai è irriconoscibile e non sa più scindere ciò che gli è stato trasmesso da altri con quanto fosse suo sin dalla nascita. C'è un forte strato di contaminazioni esterne che ormai permea l'intero mio essere. Non so più chi io sia: i miei interessi sono fugaci e destinati a soffocare presto nell'inedia; le mie passioni sono annacquate come un bicchiere di vino privato del suo etilico spirito; non riesco più a discernere quali pensieri, azioni, comportamenti, idee siano mie in quanto presenti in me o "mie" in quanto generate da me. Se scruto nel mio essere, mi sembra di notare un'opaca superficie che non lascia trasparire alcunché, liquida alla vista e dura e ruvida non appena si prova a rimuoverla. Non intravedo nulla e tale constatazione mi disorienta.
Queste stesse righe, esposte in una maniera elaborata e romanzesca, sono un tenue riverbero di un animo che si ritiene sensibile, ma che, nella realtà dei fatti, è sopraffatto dal peso delle proprie ponderazioni, paure e insicurezze. Cerco disperatamente una vocazione da scrittore perché vorrei che il dolore fluisse via con l'inchiostro, che le mie lettere potessero suscitare empatia, far sentire altri meno soli, curare il sottoscritto o quelle persone che vivono la mia stessa sensazione.
Prima di concludere, vorrei riportare alcune istanze che maggiormente vengono dibattute dal sottoscritto. Innanzitutto, essere stato rifiutato da G. - fidanzata felicemente da 6 anni, un amore impossibile - ha lacerato vecchi traumi e condotto il qui presente a maturare una conclusione: è assai probabile che rimarrò da solo. La prospettiva mi spaventa, eppure sto cominciando ad accettarla. Sebbene avere una fidanzata sia un pensiero abbastanza ricorrente, non ne desidero una in questo momento: sento di essere troppo sbagliato e di poterla contagiare con la mia tristezza e il mio malessere.
Malessere che mi porta a rimuovere qualsiasi sogno io faccia, a non riposare in maniera adeguata, a vivere momenti di forte stanchezza mentale e di dolore, specialmente di sera, a pensare continuamente di allontanare e contaminare G. e le altre persone a me vicine.
Quindi, l'essere narcisista. Questo mi atterrisce in maniera decisamente intensa: mi spaventa oscillare da momenti in cui svaluto totalmente la mia figura ad altri in cui mi ritengo aprioristicamente superiore agli altri, nonché a ricercare costantemente conferme e approvazione in G. in V. (un'altra mia cara amica) e in chi mi circonda. Ho bisogno di sentirmi utile e importante: in effetti, credo che la volontà di avere una ragazza vicino, il desiderio opalescente di amare ed essere amato, celi il timore che solamente una fidanzata possa fornire una motivazione per vivere una vita che, al momento, ritengo non valga la pena di essere vissuta. Ho bisogno che le persone che stimo mi dicano che sia bravo e intelligente - ho bisogno di ottenere un punteggio discretamente alto nel test del Q.I. per non sentirmi stupido -, altrimenti rischio di sprofondare nuovamente nelle mie insicurezze e nell'angoscia di non avere alcun talento e di non essere in alcun modo interessante. Anzi, il desidero che questo racconto abbia suscitato interesse e curiosità in un estraneo è impellente e forte.
Credo che possa bastare come primo tentativo. Vi ringrazio per la pazienza qualora abbiate letto interamente questa lunga lettera. Vi auguro una buona giornata e di poter essere felici, un qualcosa che ho potuto vivere solo due volte nella mia vita, con L. e con G.