Gestire le emozioni

Che cosa sono le emozioni? Proviamo a definirle

L’esperienza emotiva è una delle dimensioni fondamentali della specie umana (e non soltanto umana) e attraversa in profondità la vita di ciascuno di noi.
L’emozione può essere definita come un insieme complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi, mediato da sistemi neuronali e ormonali, caratterizzato da esperienze affettive, processi cognitivi, attivazione fisiologica (arousal variazione delle pulsazioni cardiache, aumento o diminuzione della sudorazione, accelerazione del ritmo respiratorio, aumento o rilassamento della tensione muscolare, ecc.). Le emozioni vanno considerate come risposte soggettive dotate di un notevole grado di flessibilità e variabilità, inducono un’attivazione generale dell’organismo con la comparsa di reazione motorie ed espressive precise e rilevanti, in questo senso ci preparano ad affrontare le situazioni, che di volta in volta ci si presentano.
Le emozioni, anche quelle spiacevoli hanno una funzione adattiva, ma se diventano troppo intense e durature possono essere disadattive e costituire addirittura la base di disturbi psicopatologici.

Le emozioni sono alla base della qualità delle relazioni che stabiliamo e manteniamo con gli altri, sia sul versante positivo e costruttivo (amore, protezione, sostegno, cura, armonia, ecc.) sia su quello negativo e distruttivo (rabbia, aggressività, vergonga , disprezzo, ecc.). Questa natura “relazionale” delle emozioni, influenzando fortemente il nostro modo di comportarci e quindi i nostri rapporti interpersonali, è una delle componenti principali che conduce al benesssere o al disagio psicologico


Riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni e a quelle degli altri: espansione del vocabolario emotivo e discriminazione dell’intensità diversa con cui un’emozione può essere provata

Noi utilizziamo vari aggettivi per indicare il nostro stato emotivo, essi si riferiscono alla diversità con cui possiamo provare le emozioni. Alle volte non è facile indicare, utilizzando un termine adeguato, qual è lo stato d’animo che proviamo in un determinato momento. E’ frequente la tendenza ad utilizzare termini vaghi, che si prestano a varie interpretazioni, oppure a ricorrere ad una stessa parola per indicare emozioni differenti o di intensità diversa. E’ importante diventare consapevoli delle proprie emozioni e saper dare loro un nome che ci consenta di comunicarle anche agli altri.
Esistono 4 principali dimensioni emotive:
ansia-paura, tristezza, rabbia, gioia-piacere

Queste emozioni primarie compaiono precocemente nello sviluppo, durante il primo anno di vita e sono presenti anche negli animali.
Esistono poi delle emozioni complesse che compaiono più tardi nello sviluppo del bambino, definite secondarie come la gelosia, l’invidia, la vergogna, il senso di colpa, la tenerezza, la speranza, la rassegazione, la nostalgia, il rimorso, la delusione…
Quando sentiamo di provare una certa reazione emotiva oltre a cercare di descriverla con il termine più appropriato è utile attriburle un determinato livello di intensità perché possiamo provare lo stesso tipo di emozione ma in modo più o meno intenso

Consapevolezza del rapporto esistente tra pensieri ed emozioni: il modo in cui interpretiamo la realtà ed attribuiamo un significato agli eventi influenza i nostri stati d’animo e i nostri comportamenti: costruire l’A-B-C delle proprie emozioni

Il mondo in cui viviamo incomincia nella nostra testa, è il modo in cui percepiamo, interpretiamo, valutiamo e immaginiamo che modella il nostro mondo e le nostre emozioni.
Supponiamo di osservare due bambini della stessa età in una piscina con la loro mamma, potrebbe accadere che uno sguazzi felice nell’acqua emettendo gridolini di gioia e che l’altro pianga spaventato, urlando di voler uscira dall’acqua. Persone diverse quindi nella medesima situazione possono sperimantare emozioni molto diverse. Che cosa determina questa differenza? E’ l’atteggiamento mentale con cui questi due bambini, influenzati dalle esperienze passate si pongono di fronte allo stare immersi in piscina. Uno probabilmente penserà che stare in acqua è molto divertente, l’altro che stare in acqua è una cosa spaventosa. Già nel 120 d.c. il filosofo Epitteto affermava “Gli uomini non vengono turbati dalle cose, ma dalle opinioni che si fanno sulle cose”.

A volte è difficile individuare ciò che pensiamo in certe situazioni in quanto alcuni nostri pensieri sono diventati automatici perché certi modi di pensare sono stati praticati così frequentemente da diventare abituali e da sfuggire alla nostra consapevolezza. Questo ci dà l’impressione di aver reagito emotivamente senza nessun pensiero. Un’altra ragione per cui a volte è difficile individuare i nostri pensieri è dovuta al fatto che talvolta confondiamo i pensieri con le emozioni. Ci può capitare per esempio di dire: “Sento che non ci riuscirò mai”, oppure “Mi sento uno stupido”, mentre sarebbe più preciso dire “Penso che non ci riuscirò mai”, “Penso di essere uno stupido”.

I pensieri sono una forma di comportamento non direttamente osservabile, in quanto interiore, ma pur sempre modificabile. Abbiamo acquisito il nostro modo di pensare tramite l’esperienza ed è quindi appreso, non innato. Cambiare modo di pensare è come cambiare certe abitudini, ovviamente non sono da cambiare tutti i nostri modi di pensare, ma solo quelli che ci portano ad avere con frequenza emozioni intense e spiacevoli.

Innanzitutto è importante imparare a suddividre le nostre esperienze emotive in tre parti:la situazione (o evento attivante) A, i pensieri B, la nostra reazione emotiva C. In questo modo costruiremo l’A-B-C delle nostre emozioni.

La situazione A Dove sono? Quando? Con chi? E’ l’evento attivante che ha dato inizio all’intera sequenza dell’episodio emotivo. Un’abilità importante da acquisire è separare l’evento attivante dalle interpretazioni e dalle valutazioni che lo riguardano.
I pensieri B. Mentre ero in quella situazione che cosa mi sono detto? Che cosa ho pensato? Quali fantasie o immagini ho avuto? Ogni situazione che viviamo viene commentata interiormente. Le emozioni sono influenzate dalle considerazioni che facciamo sugli eventi. Al punto B dell’episodio emotivo si collocano tutti i pensieri riguardanti una situazione. Questi pensieri possono essere razionali (funzionali), ossia considerazioni realistiche e oggettive, che aiutano a raggiungere i propri scopo e provocano reazioni emotive adeguate oppure irrazionali (disfunzionali) ossia considerazioni irrealistiche, esagerate, talvolte distorte che ostacolano il conseguimento dei propri obiettivi e provocano emozioni negative eccessive sia come intensità che come durata.

Ne consegue che ciò che determina la reazione emotiva C (che tipo di emozioni ho provato?) non è l’evento di per sé come comunemente si può pensare ma i processi cognitivi, i pensieri del punto B.

Vi presento un esempio di utilizzazione del modello A-B-C
Una persona viene pesantemente criticata durante una riunione di lavoro e prova una fortissima reazione di rabbia
A Evento attivante: Ricevere una critica pesante in una riunione di lavoro.
B Pensieri: “Non sopporto che mi si dicano certe cose.” “Non devono assolutamente trattarmi in questo modo!”
C Reazione emotiva: fortissima rabbia

La sofferenza psicologica è mantenuta da pensieri automatici inconsapevoli disfunzionali che provocano emozioni intense e spiacevoli
Supponiamo cha al punto B la nostra persona avesse invece pensato: “Trovo fastidioso sentirmi dire queste cose, ma sono solo opinioni…la riunione è stata sgradevole ma pur sempre sopportabile.” “Preferirei non essere trattato in questo modo ma il comportamento dei colleghi non può essere sempre gradevole.” In seguito a questi pensieri diversi la persona avrebbe provato fastidio ed irritazione ma non sarebbe stata sconvolta dalla rabbia e sarebbe riuscita a mantenere la lucidità mentale per affrontare meglio la situazione senza far degenerare la cosa in un crescendo di aggressività. Quindi un diverso modo di pensare avrebbe portato a diverse reazioni emotive che a loro volta avrebbero determinato rezioni comportamentali più utili. Come già sottolineato non sono gli eventi di per sé a creare le emozioni ma il modo in cui li leggiamo e diamo loro un significato. In modo un po’ colorito ed estremizzato lo scrittore John Milton in Paradise Lost scriveva “La mente da se stessa può far diventare un paradiso un inferno e un inferno un paradiso”.

Spesso non è facile identificare i propri pensieri in quanto si ha l’impressione di aver agito automaticamente perché alcuni pensieri sono talmenti abituali da essere diventati inconsapevoli. Diventa quindi importante dirigere la nostra attenzione sull’analisi dei pensieri, immagini, convinzioni, commenti, perché riconoscendo quelli irrealistici possiamo arrivare a rompere gli automatismi che ci influenzano negativamente. Per fare ciò è anche indispensabile avere una buona apertura mentale perché la rigidità rifiuta qualunque cosa diversa o in conflitto con le vecchie convinzioni, solo le menti aperte, capaci di guardare i problemi da punti di vista alternativi, possono sviluppare strategie efficaci per gestire le propie emozioni e risolvere i problemi che altrimenti appaiono irrisolvibili. E’ indice di automatismo rigido e disfunzionale pretendere di riproporre in una nuova situazione la stessa interpretazione e lo stesso comportamento senza modificazioni seppur rivelatisi positivi in passato perché non teniamo conto del differente contesto e dgli elementi diversi
Molte nostre sofferenze psicologiche sono causate da distorsioni cognitive cioè da deformazioni del nostro sistema di percerpire che ci induce a interpretare gli eventi in modo distorto e ci porta conseguentemente a creare anche difficoltà interpersonali.

I pensieri disfunzionali sono quelli che ci portano a sentirci a disagio, a provare emozioni negative intense e durature, a comportarci in modo inefficace, che interferiscono con il raggiungimento dei nostri scopi. Spesso hanno un carattere assolutistico, dogmatico e imperioso: “devo assolutamente essere all’altezza”, “devo ricevere l’aprovazione degli altri a tutti i costi”, “se non dovessi riuscire a passare questo esame sarebbe terribile e non potrei sopportarlo!”.


Individuare i pensieri disfunzionali e cambiare il nostro modo di pensare favorisce il benessere psicologico
Per iniziare un processo di cambiamento dobbiamo essere innanzitutto consapevli dei pensieri che innescano specifiche emozioni e di conseguenza comportamenti insoddisfacenti. Come ho descritto suddividere un episodio secondo il modello A-B-C è fondamentale per individuare i pensieri irrazionali.
Esistono alcune principali categorie di pensieri disfunzionali, pensieri cioè che contengono una distorsione nella visione della situazione:
Doverizzazioni e pensiero assolutistico
Consistono nel ritenere che “le cose devono andare assolutamente così”, che “gli altri devono assolutamente comportarsi in un certo modo”, “che io devo avere assolutamente quello che voglio”. L’errore sta nel considerare un’esigenza assoluta ciò che nella maggior parte dei casi sarebbe obiettivamente una preferenza.

Insopportabilità intolleranza
Consistono in pensieri del tipo “non lo sopporto…”, “non tollero che…”, “è insopportabile…”. Sono forme di esagerazione attraverso le quali l’aspetto sgradevole di un evento o di una persona viene ingigantito determinando un atteggiamento di forte rabbia o evitamento.
Svalutazioni globali di se stessi e degli altri

In questo caso l’irrazionalità consiste nel giudicare una persona nella sua globalità partendo da un solo o da pochi comportamenti osservati. Inoltre il comportamento della persona viene spesso erroneamente equiparato alla persona stessa, “hai fatto una cosa stupida quindi sei uno stupido”. Questo errore nel modo di pensare porta ad utilizzare etichette che esprimono valutazioni globali tipo “incapace”, “stupido”, “carogna”. Tali attributi possono essere pensati riguardo agli altri oppure possono essere rivolti a se stessi. Nel primo caso fanno nascere nei confronti degli altri un atteggiamento di ostilità o di rifiuto, se riferiti a se stessi, determino disistima e sconforto. L’autosvalutazione “non valgo niente”, ossia la tendenza a sottostimare le nostre capacità attraverso un’eccessiva autocritica o nella convinzione di non poterci fare niente, porta le persone a sviluppare un senso d’inferiorità e un senso di passiva impotenza rispetto agli eventi.

Catastrofizzazione
Consistono nel considerare il verificarsi di certi eventi come “terribile”, “orrendo”, “tremendo” quando obiettivamente sarebbe solo spiacevole o fastidioso. Spesso sono caratterizzati dalla tendenza a cogliere esclusivamente segnali negativi per costruire la previsione di un evento futuro. Questa modalità di pensiero porta a sviluppare una forte ansia e a vivere alcuni cambiamenti ( di lavoro, scolastici, di abitazione), come molto stressogeni.

Indispensabilità, bisogni assoluti
Consistono in affermazioni che trasformano in bisogno assoluto ciò che obiettivamente sarebbe solo preferibile, “non posso rinunciare a…”, “ho assolutamente bisogno di…”, “non posso fare a meno di…”. Le conseguenze emotive di questo modo di pensare possono essere depressione, ansia, ostilità.
Generalizzazione
E’ la tendenza a considerare le cose per estremi, secondo la legge del tutto o del nulla. E’ frequente in adolescenza. Per superare questa visione parziale della realtà occorre individuare le sfumature intermedie. Questo errore di pensiero si presenta con monologhi interiori in cui prevalgono i termini “sempre”, “mai”, “tutti”, “nessuno”, “niente”. Sd es. “non riuscirò mai ad imparare l’inglese”, “tutti ce l’hanno con me”, “mi va sempre tutto storto”, “nessuno mi vuole bene”.

Lettura del pensiero
Consiste nella tendenza a credere di sapere cosa l’altro pensi o senta, fino ad agire sulla base di questa convinzione, senza verificare con gli altri le proprie aspettative. Si può essere indotti a credere che così come si conoscono i pensieri altrui anche gli altri conoscano i nostri. Questo tipo di pensiero disfunzionale porta a creare dei malintesi e provoca spesso delle incomprensioni, mettendo a rischio le relazioni interpersonali. Ad es. “sono sicura che la mia amica sia arrabbiata anche se non melo dice”, “sono sicura che si stia annoiando”.

Causa-effetto
Anche la tendenza ad attribuire al responsabilità di una propria emozione ad altri è all’origine di molti conflitti nei rapporti interpersonali perché considero che sia l’altro a dover cambiare comportamento, “mi fai arrabbiare”, “mi rendi triste”.

Inizialmente non è semplice identificare il nostro errore di pensiero, perché normalmente non siamo allenati a compire delle autoosservazioni e a mettere in discussione i nostri pensieri che consideriamo realistici anche se in realtà molti di essi saltano il passaggio di verifica della realtà.


Come possiamo modificare i pensieri che ci creano problemi? La messa in discussione delle convinzioni disfunzionali
Il nostro obiettivo è quello di riuscire a gestire il proprio pensiero, le proprie emozioni e il proprio comportamento per stare meglio. Più siamo consapevoli di quello che c’è nella nostra mente più siamo in grado di creare il nostro benessere.
Dopo aver identificato i nostri pensieri irrazionali possiamo iniziare ad individuare modalità diverse di considerare la realtà. Quando parliamo di errori del pensiero non intendiamo parlare di pensieri “sbagliati” in sé che vanno sostituiti con quelli “giusti” ma sottolineare la pericolosità di usare la nostra mente in modo rigido, unilaterale, ripetitivo e senza alternative e quindi disfunzionale.
Il modo più diretto per modificare i pensieri irrazionarli è metterli in discussione, in alcuni casi lo facciamo spontaneamente, senza rendercene conto. Ad esempio se guardiamo un film dell’orrore può capitare che diciamo a noi stessi: “E’ solo un film”.
Grazie all’uso di domande aperte che permettono di proporre altri punti di vista sul problema (domande di controesempio)o di domande che permettono di meglio specificare i diversi aspetti che formano il problema (domande di specificazione e di differenziazione), possiamo creare formulazioni alternative di pensiero.

Vediamo delle possibili argomentazioni utili per affrontare le diverse categorie di pensieri disfunzionali.

Doverizzazioni e pensiero assolutistico
“Perché le cose devono andare in questo modo?”” Perché devo assolutamente fare questa cosa?” “Sarebbe bene…sarebbe preferibile…sarebbe bello…ma questo non vuol dire che deve andare per forza così…non è un’esigenza assoluta.”

Insopportabilità intolleranza
“Come faccio a dimostrare che è davvero insopportabile?” “Al massimo si tratta di una cosa molto fastidiosa, spiacevole, alle volte dolorosa ma alla quale si può sopravvivere.”

Svalutazioni globali di se stessi e degli altri
“Per quanto una persona possa fare cose sbagliate o sgradevoli non possiamo valutarla globalmente, posso giudicare il comportamento ma non la persona.” Le persone sono qualcosa di diverso e più complesso rispetto ai loro comportamenti.” “Anche se ho commesso un errore sono comunque una persona di valore.” “Anche se ho fatto una cosa sbagliata in altre situazioni mi sono comportato bene.” “Il mio valore non dipende dall’apprezzamento che gli altri dimostrano nei miei confronti.”

Catastrofizzazione
“Qual è la cosa peggiore che può succedere in questa situazione?” “E se succedesse sarebbe davvero la fine del mondo?” “Si tratta di una cosa spiacevole ma posso affrontarla e superarla.” “Non possiamo prevedere il futuro, tutto ciò che possiamo fare è impegnarci efficacemente nel presente”.

Indispensabilità, bisogni assoluti
“Certe cose sono belle, ci rendono la vita più gradevole ma non sono indispensabili.” “Posso non avere certe cose e vivere lo stesso, anche se un po’ meno bene.” “Posso trovare anche altre cose che mi consentiranno di vivere piacevolmente.”

Generalizzazione
E’ molto difficile che certe cose succedano sempre (proprio ogni volta) o che non succedano mai. E’ altamente improbabile che tutto quello che facciamo vada male ogni volta. E’ altrettanto difficile che tutti (proprio tutti quelli che conosciamo), agiscano male nei nostri confronti o che nessuno (tra tutti gli abitanti della terra) sia mai gentile o affettuoso con noi. Per eliminare questo errore di pensiero possiamo abituarci a sostituire le parole “sempre”, “mai”, “tutti”, “nessuno” con “spesso, qualche volta, raramente poche volte, qualche persona, poche persone, molte persone”.

Lettura del pensiero
“Possono essereci delle spiegazioni alteranative che spieghino il comportamento di…” “Se la stessa situazione mi fosse raccontata da un amico/a cosa penserei della sua valutazione sulla vicenda?” “Da quali altri comportamenti di questa persona posso dedurre che l’interpretazione che ho dato è corretta?” “Conosco bene i suoi comportamenti tipici di quando è…?”

Causa-effetto
Per quanto riguarda l’errore causa-effetto “Mi sono già sentito infelice, ad es., in presenza di altre persone?” “In presenza di quella persona ho provato anche altre emozioni?”


Quello che vogliamo ottenere è una trasformazione dell’emozione attraverso la trasformazione dei pensieri e non la repressione delle emozioni, quindi devono essere “attaccati” i pensieri e non l’emozione. E’ importante utilizzare argomentazioni realistiche e creare Pensieri Alternativi più aderenti alla realtà oggettiva e non false risposte consolatorie. Il pensiero va trasformato in un’ipotesi da verificare osservando gli elementi della realtà, non è vero solo perché lo penso io.
Quando risulta difficile trovare argomentazioni contro un pensiero disfunzionale, significa che un pensiero è molto radicato e va affrontato con maggior persistenza.

A questo punto possiamo aggiungere al modello A-B-C i punti D-E
D corrisponde alla messa in discussione dei pensieri disfunzionali
E è il Pensiero Alternativo nuovi pensieri o immagini che abbiamo creato attivamente per modificare la convinzione irrazionale, più funzionali e costruttivi e quindi utili a favorire il nostro benessere psicologico

Vediamo un esempio di applicazione del modello A-B-C-D-E

A. Federico ha partecipato ad un colloquio di lavoro. L’esito è stato negativo e il lavoro non gli viene assegnato.
B. Dovevo assolutamente piacere ai membri della commissione, dovevano assegnarmi il lavoro. (Doverizzazione) E’ terribile questa situazione! (catastrofizzazione) Non riesco a sopportare di non aver ottenuto quel lavoro! (Insopportabilità intolleranza). Ho fallito e quindi sono una persona incapace (Svalutazione globale di sé) non sarò mai in grado di avere un buon lavoro. (Generalizzazione)

C. Depressione (intensità 3/4) e fortissima ansia (intensità 5) all’idea di affrontare i prossimi colloqui di lavoro.

D. Perchè dovevo assolutamente piacere alla commisione? Perché dovevano assegnarmi il lavoro? Sarebbe stato preferibile per vari motivi ma non c’era nessuna regola per cui le cose sarebbero dovute andare in quel modo. Per quale motivo è terribile questa situazione? Per nessun motivo, è sicuramente molto sgradevole ma c’è di peggio. E’ davvero insopportabile non aver ottenuto quel lavoro? No, è molto spiacevole, ma posso vivere lo stesso e farmene una ragione. Il fatto di non aver ottenuto quel lavoro dimostra che sono una persona incapace? No, non aver ottenuto quel lavoro può significare che a quella particolare commissione non piacevo molto o che sono piaciute un po’ di più altre persone. E anche se l’esito negativo del colloquio fosse dipeso dalla mia responsabilità, dimostrerebbe solo che ho fornito una brutta prestazione in questa particolare occasione e non una persona incapace. Sono sicuro che non riuscirò mai ad ottenere un buon lavoro? Questa volta non sono riuscito ad avere il lavoro ma la prossima volta potrebbe andare diversamente.

E. Sarebbe stato bello ottenere quel lavoro, è spiacevole che il colloquio non sia andato bene ma non è la fine del mondo. Probabilmente non sono piaciuto molto a quella particolare commissione o i membri hanno comunque preferito altre persone. Durante i prossimi colloqui potrei fornire una buona prestazione come mi è già capitato in altre occasioni ed essere scelto dai nuovi selezionatori. Quindi voglio cercare altre opportunità di lavoro! Nuove emozioni: Lieve Dispiacere (intensità 2); durante i prossimi colloqui Ansia (intensità 2) ma anche Fiducia.

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