L’organizzazione sanitaria di una qualsiasi azienda ospedaliera, pubblica e privata, si fonda sui modi e le soluzioni che vengono usate per definire il rapporto tra risorse, mezzi e fini di salute.
La funzione principale dell’azienda ospedaliera è infatti quella della tutela sanitaria tramite la prevenzione, la cura e la riabilitazione.
In quest’ottica possiamo, a mio avviso, collocare il concetto di educazione sanitaria in modo trasversale sia nel campo preventivo (con informazioni corrette sul benessere e per rendere l’individuo consapevole della propria salute come risorsa per la vita quotidiana e per ritardare o evitare le malattie, specie cronico degenerative), che nel processo di cura (come aiuto e sostegno a se stessi attraverso una predisposizione psicologica e concreta alla guarigione e per rendere il paziente in grado di capire il percorso diagnostico o terapeutico), così come durante la riabilitazione, in quanto una buona informazione sulle condotte che facilitano il processo di completa guarigione possono aiutare a responsabilizzare il soggetto ancora in fase di parziale inabilità.
Detto ciò, potremmo descrivere l’educazione sanitaria secondo la definizione proposta da Modolo e Seppilli (1981): “L’educazione sanitaria è un processo educativo che tende a responsabilizzare i cittadini, singoli e a gruppi, nella difesa della salute propria e altrui. Il momento essenziale consiste nell’assunzione di una propria responsabilità (consapevole e non delegata) nella difesa del proprio equilibrio fisico e psichico che si realizza attraverso un processo di comunicazione”.
Inoltre, è da specificare che, attualmente, la Costituzione della Organizzazione Mondiale della Sanità di salute dichiara che l’educazione sanitaria deve contribuire ad uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non semplice stato di assenza di malattia.
Quindi, secondo me, siamo ben oltre la tradizionale idea di diritto alla salute, perché oggi la cultura del paziente è profondamente ridiscussa da nuove etiche, da nuove possibilità scientifiche ed economiche che racchiudono al loro interno anche le esigenze di consapevolezza di ciò che succede da parte del paziente e di aiuto psichico al superamento del processo terapeutico-riabilitativo.
Per fare ciò la società e le aziende ospedaliere, ora considerate anche come agenzie educative, devono ridefinire e modernizzare l’idea di benessere. Infatti, se fino a pochi decenni fa la politica sanitaria si basava fondamentalmente sul valore dell’uguaglianza, ora deve confrontarsi e accogliere anche quello della diversità, intesa come presa in considerazione dell’individualità e del riconoscimento che ogni paziente è un singolo mondo, con caratteristiche e una storia medico-clinica propria e unica.
Infatti, la società odierna, rifiutando la massificazione per indirizzarsi verso l’individualità, rinnega pertanto la percezione univoca del benessere stesso. Intendo dire che, se prima si pretendeva di misurare il benessere scientificamente e in modo universale trascurando la particolarità del singolo, oggi può farsi strada il concetto di dimensione soggettiva della malattia. Accanto ai fattori causali e funzionali della malattia, perciò, si vengono ad affiancare quelli evolutivi, ponendo seri problemi alla diagnosi categoriale e nosologica, ma aprendo la strada ad una diagnosi dimensionale, la quale pone in primo piano l’unicità di ogni singolo caso (Ammaniti, Sergi 2002).
Cambiando l’idea di benessere, cambia di conseguenza la visione del corpo quale supporto alla soggettività: il corpo non è più una macchina, ma addirittura la sede delle nostre emozioni e competenze, le quali, se si è messi nella condizione di poterle promuovere tramite l’educazione sanitaria, danno conto di una sorta di “intelligenza del corpo”. Si supera così la visione, molto cara alla medicina tradizionale, del corpo semplicemente come cosa (Cavicchi 2003).
Un altro punto di forte cambiamento che il ritenere gli ospedali anche come agenti di educazione ha comportato è il fatto di non ritenere più lo stato di benessere del paziente semplicemente come la derivazione diretta dell’erogazione di beni, utilità e servizi medici, ma pure come la contribuzione allo sviluppo di capacità personali riguardo ai temi della malattia/sanità. L’educazione consiste essenzialmente in questo: promuovere le abilità cognitive e psichiche verso la comprensione del proprio stato di salute e promuovere le abilità di orientamento pratico e di autoaiuto verso il proprio benessere psico-fisico.
Oggi, quindi, l’ambiente della sanità pubblica non si limita solo alla distribuzione di risorse, ma anche opportunità, accesso effettivo ai diritti del paziente, non solo di tipo medico-organico, libertà di scelta tra i vari servizi erogati (Cavicchi 2001).
La mia opinione su tali cambiamenti è estremamente positiva, perché credo che lo Stato, in ambito sanitario, non debba solo essere il tutore di quei cittadini che per incapacità, debolezza o disgrazia hanno il bisogno di usufruire dei suoi servizi, ma debba anche rispondere alla forte domanda sociale di capacità, opportunità, di accesso effettivo, di diritti, offrendo alle persone la possibilità di promuoversi da soli con l’aiuto dell’ospedale.
Gli intervinti in strutture ospedaliere mirati all’educazione sanitaria sono fondati, in particolare, sull’occasione di cogliere semplici momenti di interazione medico/infermiere-paziente per fornire piccole note informative al paziente o ai suoi familiari. Ciò rispecchia l’atteggiamento generale che la struttura sanitaria come agenzia educativa sostiene tramite personale competente e attento alla visione umana del paziente. Questa forma di educazione all’interno degli ospedali è stata descritta col termine di “educazione sanitaria in pillole”.
In altri casi, l’educazione in ospedale con i pazienti approfondisce temi specifici, in particolare nell’ambito preventivo, come informazione e metodiche responsabilizzanti sul tabagismo (che è uno dei casi medico-clinici che più fa ricorso all’uso di tecniche educative, insieme all’educazione alimentare in adolescenti e preadolescenti) (Pellai 2002).
Molto spesso, l’educazione sanitaria negli ospedali non avviene solo per merito dell’azienda sanitaria, ma vi è la collaborazione con agenzie educative esterne, come ad esempio le scuole, che possono agire organizzando momenti di incontro tra i propri alunni e il personale medico allo scopo di approfondire tematiche salutistiche e di promozione del benessere, o ancora per cercare di fermare il dilagare di condotte disfunzionali e di abuso (soprattutto nella scuola media e superiore).
Ma, qualche decennio fa, è sorta anche la scuola all’interno dell’ospedale, ossia per quei bambini e adolescenti che, per incapacità medico-fisiche.
Alla scuola in ospedale si riconosce da sempre uno specifico ruolo nella battaglia contro la dispersione scolastica. Comunque, negli ultimi anni, l’obbiettivo primario che si è andato delineando è la valenza terapeutica, che si è aggiunta alla precedente motivazione di aggregazione scolastica, perché nel contesto dell'ospedale la scuola può e deve assumere un impegno non solo di tipo scolastico ma anche psicologico. Ne sono sempre più consapevoli gli insegnanti ma anche psicologi e medici, che operano negli ospedali pediatrici.
L'esperienza sviluppata in questi ultimi decenni ha infatti permesso di constatare che una scuola in ospedale, attenta, coinvolgente e motivante può diventare parte integrante del processo curativo, ma ciò si può realizzare solo se si riserva una particolare cura alle modalità metodologiche, alla componente psicologica, relazionale ed affettiva, ai bisogni, alle motivazioni e agli interessi di ciascun alunno-paziente o paziente-alunno.
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