Vita affettiva/sessuale e disabilità: il potere trasformante della Psicoterapia

Il grande tabù che nega il corpo vissuto

Questo articolo vuole essere una cartolina cioè vuole andare dritto all’essenziale e offrire solo qualche breve spunto di riflessione sulla necessità fondamentale del lavoro psicoterapeutico perché la sessualità e l’affettività possano diventare nella vita di una persona con disabilità un tema da toccare e da vivere, anziché essere un tabù ostacolante.

La sessualità e l’affettività nelle persone con una qualche forma di disabilità, da quella motoria a quella psichica, è un tema che ancora oggi fa scalpore e suscita reazioni molto variegate. È un tabù cioè si configura come qualcosa che esiste ma di cui non si parla, qualcosa che c’è ma non si tocca. Un tema su cui esistono delle idee fisse e pregiudizievoli tenute in piedi dal fatto che raramente vengono messe in discussione.

Parlare di sessualità  e di affettività vuol dire mettere al centro il corpo e nel linguaggio comune l’associazione dei termini corpo e disabilità evoca solitamente un corpo di cui si occupa la medicina, un corpo che è considerato come un insieme di organi che dovrebbero funzionare e dovrebbero funzionare in un certo modo. Si pensa ad un corpo da riparare perché è ritenuto avere qualcosa in meno su cui bisogna operare per renderlo ‘nella norma’.

La questione chiama in causa una prima fondamentale differenza che è quella tra Korper (il corpo che ho) e Leib (il corpo che sono). Intendere il corpo nell’accezione del corpo che sono presuppone un punto di vista olistico, un punto di vista che considera l’esistenza di ogni persona a partire dal riconoscimento del corpo vissuto. La sessualità porta la nostra attenzione al corpo in quanto corpo vivo, in quanto corpo che si fa sentire, che reclama una soddisfazione, un corpo diverso da quello da ri-abilitare.

La cornice esistenziale e l’immagine di sè

Come sottolinea Graziella Fava Vizziello l’accettazione di un bambino o di una bambina con disabilità è diversa a seconda del fatto che il figlio/la figlia con disabilità nasca in coppie giovani, in coppie che hanno già altri figli o in coppie che hanno aspettato tanto per avere un figlio. Non viene accettato il fatto di aver messo al mondo un figlio con una disabilità, entrambi i genitori si sentono responsabili e le reazioni affettive della coppia genitoriale possono essere molto diverse. Anche l’accettazione da parte dei nonni, in mancanza di strumenti personali e culturali adeguati, avviene in tempi lunghi e l’influenza di questa situazione non è facilitante per la coppia che può trovarsi sprovvista di supporto emotivo all’interno della propria famiglia d’origine. Accade che non venga accettato l’aspetto fisico del bambino o della bambina e il rifiuto del bambino nella sua forma è il rifiuto della sua immagine, cioè dell’immagine che veicola chi è quel bambino.

I nostri comportamenti si originano sulla base del modo particolare in cui vediamo il mondo e un bambino impara a guardare il mondo a partire dal clima che respira nella sua famiglia. Bisogna allora andare a guardare di cosa è fatta la cornice esistenziale in cui una persona si muove per comprenderne i vissuti, le scelte più o meno consce, le azioni che compie e quelle che non compie. Ecco che se i genitori non sono aiutati e guidati nell’elaborazione della discrepanza tra bambino reale e bambino desiderato, il figlio ne sarà influenzato rispetto in termini di costruzione dell’immagine di sé come persona abile ad amare e ad essere amata pur avendo una qualche forma di dis-abilità.

 

Dis-abilità e am-abilità: la chiave di accesso all’affettività/sessualità e il lavoro in Psicoterapia

Quello che una persona con disabilità immagina di poter realizzare per la sua vita rispetto al tema affettività/sessualità è legato a doppio nodo con la questione dell’amabilità. Essere amabili significa essere sicuri che siamo degni di amore.

La sfiducia nell’essere amabili porta a cercare nel comportamento dell’altro continue conferme, mentre la fiducia in sé stessi permette di accogliere quello che accade. Per comprendere cosa accade quando l’amabilità - e quindi la fiducia in questo campo dell’esistenza - viene minata, cito le parole di una donna riportate nel testo di Fabio Veglia che affronta il tema della sessualità nelle persone con disabilità:

“cominciano i genitori a dirti da sempre che noi vivremo tutti e tre insieme, perché i tuoi fratelli e sorelle si sposeranno, e tu naturalmente no; comincia tua madre a fare le spese, per le tue sorelle il corredo matrimoniale, e a te singolo. Continuano la tv, i giornali, i discorsi della gente, a presentarti un tipo di donna che tu sai benissimo, perché non sei stupida, che non potrai mai essere, e a questo punto butti la spugna e rinunci al tuo essere donna. (…) Ecco che subentra allora un meccanismo di compensazione e ci specializziamo in quelle che vengono comunemente giudicate le altre qualità femminili importanti, cioè la dolcezza, la comprensione, la sensibilità. A questo punto il lavoro svolto tanto dalla famiglia, quanto dalla società tutta, ha riportato un ottimo successo, perché noi stesse ora non sappiamo più di avere, oltre a tali qualità, anche un corpo che ha esigenze sue e le possibilità di esprimersi in modo sessuale. Non proponendoci sessualmente diventiamo così le migliori amiche degli uomini che ci interessano, ed è molto difficile scalzare poi tale ruolo. Vivremo così come donne angeliche e asessuate”.

Queste parole raccontano uno stato d’animo carico di emozioni diverse che sembrano andare a prefigurare una condanna e un destino immodificabili. Lavorare sulla propria amabilità vuol dire ri-appropriarsi dell’esperienza per cui la propria capacità di amare può essere ri-conosciuta, ri-scoperta, ri-modellata allo scopo di essere usata nella propria vita con le proprie peculiari modalità di pro-porsi affettivamente e sessualmente.

Tutte le forme hanno un limite e tutte le cose che hanno un limite ci ricordano che all’interno di quel limite possiamo rischiare di realizzare il nostro progetto di vita. Se non c’è coscienza del limite si vive nell’illusione che la vita sia eterna e si finisce per rimandare sempre la realizzazione dei propri desideri e dei propri sogni.

Ognuno di noi ha un proprio personale punto di vulnerabilità, la propria ferita, il proprio buco nero in cui di tanto in tanto ri-inciampa nel corso dell’esistenza. Il proprio punto di vulnerabilità ritorna in tutti i momenti di crisi, in quei momenti in cui le cose sembrano andare storte, in cui i nostri sforzi non producono energia e soddisfazione, in cui ci assale la frustrazione e il senso di impotenza verso quello che accade alla nostra vita.

Le ferite appunto stanno lì non per essere riparate, ma perché attraverso quello che c’è intorno a loro la persona può prendere una direzione e decidere di andare da qualche parte, di darsi un progetto e costruirlo.

Costruire la solida consapevolezza che si soffrirà e non si morirà sotto quella sofferenza è costruire la fiducia necessaria per amare. Una volta ri-scoperta la propria amabilità bisogna affrontare il passo successivo: fare esperienza del fatto che per soddisfare un desiderio è necessario assumersi un rischio e per assumersi un rischio bisogna diventare abili a tollerare la frustrazione.  Parte integrante di questa consapevolezza è lavorare sulla differenza tra bisogno e desiderio, perché l’amore è un legame che ha che fare col desiderio e non con il bisogno.

A questo proposito il lavoro psicoterapeutico può evolvere utilizzando lo strumento dell’immaginazione intesa come il reale carburante di qualunque cambiamento si voglia portare nella propria esistenza. Sulle fondamenta dell’amabilità e dell’assunzione del rischio come conditio sine qua non, per tutti gli esseri umani, si può iniziare a dare forma al proprio desiderio, a visualizzarlo e a costruire i ponti necessari per arrivare lì dove si è immaginato di poter arrivare. Se non riusciamo infatti a immaginare cosa desideriamo, se non gli diamo spazio adeguato nell’anima e nella mente, questo desiderio per noi non può esistere, non può esistere se non siamo noi a farlo esistere e a disegnargli metaforicamente le maniglie per afferrarlo.

Quello che si vuole sottolineare è che per costruire scenari desiderabili nella vita reale, dobbiamo prima averli immaginati, e cioè aver sentito che effetto ci fa, che cosa ci piace e che cosa non ci piace, averci camminato dentro con la mente, aver respirato profondamente l’energia che proviene da quello scenario e aver fissato tutta questa ricchezza dentro, dentro al corpo, dentro al cuore e dentro l’anima.

Lavorare sull’impreziosimento, sul proprio valore personale, sessuale, affettivo, vuol dire imparare a sentire che alla preziosità corrisponde un costo, mentre alla gratuità corrisponde una scadenza. L’energia che la persona trae per sé da questo tipo di esperienza da vita al carburante necessario a scegliere cosa fare per sé stessi in questo campo importante della vita. Per scoprire le proprie capacità e il proprio valore la persona deve potersi sperimentare, cioè provare a fare. Trovando un’unità di misura adeguata a lei. Il costo è allora dato dalla fatica necessaria per attivare questo processo di cambiamento e trasformazione del proprio mondo interno innanzitutto, e successivamente anche del proprio mondo esterno attuando delle scelte concrete calibrate integrando il proprio limite, il proprio desiderio e i passi fisici e mentali per realizzarlo.

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