Siamo stati tutti colpiti dall’incredibile sequenza di morti sulla strada, famosi ed esperti, mentre si allenavano in bicicletta. Il caso vuole che si è trattato di tre campioni, ben noti, che vanno ad aggiungersi, con meno clamore ai tanti infortuni mortali, che accadono quotidianamente sulle strade, di cui una buona parte in bicicletta.
Il grande Michele sulle strade, ben note, di casa, in un punto a scorrimento veloce dove, di solito, a quell’ora del mattino il traffico è ridotto. Come si sa è stato sufficiente non rispettare uno stop, forse essere abbagliati da un raggio di sole ed un veicolo ha rappresentato un ostacolo imprevisto ed inevitabile, contro cui si è schiantata di botto la vita di un campione amato.
Hayden si allenava su strade simili a poca distanza da quel luogo, su percorsi abituali, ben conosciuti, dove ad ogni incrocio si sa già come prenderlo e come uscirne velocemente, senza perdere velocità, sempre che non ci sia un ostacolo improvviso ed imprevisto.
Forse sovrappensiero, forse troppo confidente sulle proprie capacità, Hayden ha superato uno stop senza fermarsi incrociando la traiettoria con quella di un’auto che non ha potuto evitarlo, causandone la morte.
Il terzo episodio riguarda una grande triatleta che si allenava in bicicletta per le prossime gare, una tedesca di nome e di grido, ben nota nell’ambiente sportivo. E stata trascinata da un camion che l’ha tirata sotto e ha provocato danni irreparabili: dopo l’amputazione delle gambe anch’essa ha ceduto ed è volata via.
Degli anonimi non si parla, eppure ce ne sono tanti.
Discutere delle cause serve a poco per chi ha perso la vita, tuttavia aiuta ad evitare quelle situazioni di rischio che poi si trasformano statisticamente in infortuni stradali, le cui conseguenze si leggono sempre dopo, spesso sui giornali.
La mente umana ha delle doti eccezionali ed ancora in larga misura non scoperte, tuttavia ha anche dei limiti e questi sono riposti sugli schemi di riferimento, sugli stereotipi, sui modelli che si imitano, sulle priorità apparenti anziché su quelle reali.
Non c’è valore più prezioso della vita umana, non solo per ogni singolo essere umano, bensì anche per tutti gli altri: il dolore che vive una famiglia, la privazione di un ruolo genitoriale, di un compagno, di un amico, di qualcuno con cui condividere parti del viaggio terreno, sono conseguenze terribili, di cui non si tiene normalmente conto. Noi siamo importanti non solo per noi stessi.
Sulla strada occorre avere una presenza specifica, un’attenzione ai segnali , una consapevolezza di dove si è, come si sta andando, che cosa si potrebbe incontrare, dunque un'allerta, che facilita le reazioni immediate in caso di bisogno e soprattutto di anticipare comportamenti sicuri, prima che sia troppo tardi.
La coscienza che abbiamo del pericolo è spesso condizionata dalla conoscenza del percorso, dalle abitudini, dalla routine, dall’eccesso di confidenza nelle proprie capacità, nelle sottovalutazioni dei rischi che si corrono a certe velocità o in certi contesti (incrocio, traffico, ostacoli, ecc.).
La maggior parte degli incidenti avviene entro due chilometri da casa (siamo rilassati?), su strade urbane. Anche se quelli più gravi accadono dove c’è alta velocità e forte assembramento di veicoli (tralasciamo qui i sabati notte e le follie della guida alterata, che meritano un discorso a parte).
La coscienza lavora sulle percezioni in funzione dei dati di realtà che siamo abituati a considerare, per cui ad esempio, le distanze e la velocità sono un calcolo che l’essere umano fa “come se fosse fermo” (perché quella è la sua esperienza) perché non riesce a percepire le cose “come se fosse in movimento”, questo altera sensibilmente la consapevolezza del qui ed ora.
Prima di iniziare a frenare passa un tempo, da un secondo nei casi migliori (Bolt impiega 0,2 secondi per scattare dai blocchi di partenza dei 100 metri), a 2/3 secondi quando siamo distratti, o peggio se si è impegnati col cellulare (oggi vietato dalle norme), comunque la distrazione allunga i tempi di reazione. Il fatto è che in un secondo, a 50 km/h, si percorrono 14 metri prima di frenare o 28 o 42, dipende, per cui anche quando ci si accorge di un ostacolo, si rischia che sia già troppo tardi.
E’ ben vero che alcuni hanno una reattività rapida, ed è anche vero che essa funziona così solo se si è “presenti” a se stessi nella guida.
Insomma, lavorare sulla percezione aiuta a riconsiderare la mappa mentale, che raffigura il territorio in cui ci stiamo muovendo e può aiutare a mantenere una concentrazione adeguata allo stile di guida e al contesto.
Non ci sono fatalità, ci sono solo atti insicuri, quello di Michele o dello sprovveduto autista del mattino, di Hayden o del guidatore che l’ha investito, della triatleta o del camion che l’ha trascinata e così per i molti altri casi di cui si leggono due righe sui giornali e di cui non si tiene ormai più conto, come se la vita non avesse più valore.
I valori sono alla base di una guida consapevole, le priorità sono il viatico per guidare sicuro, la consapevolezza di sé e degli altri, la salvaguardia della vita umana. Preziosa per chi ci lascia, preziosa per chi resta.
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