Più di dieci anni fa nel mondo del lavoro si diede nome ad un fenomeno che da sempre probabilmente si è verificato tra colleghi o tra dipendenti e datori di lavoro, un fenomeno che in forme, più o meno differenti, può tuttavia manifestarsi in qualsiasi contesto socio-relazione.
Stiamo parlando del mobbing, termine con il quale ormai si tende ad identificare tutta quella serie di conflitti che avvengono in ambito lavorativo che hanno carattere di intenzionalità e vengono messi in atto con l’intento di ledere seriamente l’integrità psicofisica del lavoratore.
La definizione di mobbing viene tuttavia molto spesso utilizzata indiscriminatamente, non tenendo conto infatti della possibile esistenza di problematiche lavorative a volte affini, altre volte di natura totalmente diversa.
Dal momento che recentemente la legislazione italiana si è sempre più espressa attivamente riguardo questa problematica, andando a tutelare il benessere psicofisico del lavoratore, si è assistito negli anni ad una crescente conoscenza e studio di suddetti fenomeni, che hanno assunto ad oggi una grande rilevanza in termini di prevenzione e riabilitazione.
Questo aumentato interesse nei confronti delle dinamiche conflittuali che si verificano nel luogo di lavoro ha portato inoltre ad una maggior differenziazione di tali fenomeni, andando a conoscerli nelle loro diverse sfaccettature disadattive.
Una di queste nuove problematiche, spesso deleteriamente confusa con il mobbing, è il fenomeno dello straining, termine con il quale si intende una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, dove l’individuo subisce almeno un’azione ostile e stressante, che ha come conseguenza un effetto negativo costante e permanente nell’ambiente lavorativo.
La “vittima” si trova in persistente condizione di inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (lo strainer) e lo straining stesso viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante.
Si tratta dunque di una situazione lavorativa conflittuale in cui il lavoratore subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo tuttavia tali da provocare una modificazione in negativo costante.Tali azioni possono essere addirittura limitate ad una singola azione, come un demansionamento o un trasferimento disagevole.
Pur non essendo mobbizzati, le vittime di queste situazioni possono manifestare però evidenti ripercussioni non solo sulla salute in senso stretto, con sintomi psicosomatici anche gravi, spesso sconfinanti nella patologia vera e propria, ma anche a livello di autostima e di qualità di vita in senso lato.
Secondo uno studio condotto nel 2005 dall’Associazione PRIMA di Bologna (http://www.mobbing-prima.it) su un campione di 3000 casi di presunto e proclamato mobbing analizzati con il metodo dei sette parametri solo il 20% del campione poteva oggettivamente definirsi vittime di mobbing. Il 13% erano casi ascrivibili a una qualche forma di stress occupazionale, ossia a situazioni generalizzate di cattivo clima organizzativo, prive di contenuti discriminatori.
Un 6% comprendeva soggetti con problemi personali di tipo psichico, soprattutto paranoia e depressione organica, emerse chiaramente dalla valutazione diretta e dalle diagnosi mediche presentate.
Una percentuale piccola ma presente, pari circa all’1% del totale, corrispondeva invece a casi di conflittualità molto elevata, nata in ambito lavorativo e sconfinata poi nella vita privata della vittima, denominata stalking occupazionale.
La stragrande maggioranza di chi si riteneva mobbizzato, ben il 60% circa, rientrava in realtà nello straining.
E’ dunque di estrema importanza individuare quei fenomeni che possono rientrare nella categoria di mobbing e quelli invece che richiamano al mondo sintomatologico dello straining. Facendo ciò non soltanto si ha un inquadramento esaustivo della condizione disadattiva dell’individuo, ma anche eventuali strategie di risoluzioni e/o percorsi terapeutici possono essere calibrati sartorialmente sulla persona e sull’evento scatenante la patologia.
Lo straining, al pari del mobbing, diviene causa alla vittima di un danno esistenziale specifico, legato al decadimento della sua qualità di vita in senso lato, danno a cui possono, ma non necessariamente devono, aggiungersi altri tipi di danno come quello biologico, qualora dalla situazione di straining ne sia risultata causalmente compromessa la salute psicofisica della vittima, o quello professionale, nel caso in cui la deprofessionalizzazione subita abbia avuto effetti deleteri in questo senso.
Per saperne di più:
1. D. Cantisani, Con quali mezzi si prova il Mobbing, articolo online www.mobbing-prima.it/esperti.htm
2. H. Ege, Oltre il Mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, ed. Franco Angeli, Milano, 2005
3. H. Ege, La valutazione del danno, articolo online http://www.mobbingprima.it/esperti.htm
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