Riporto l’intervista fattami il 6 ottobre 2018 da Luigi Cacciatori per la rivista on line InfoOggi.
BARI, 6 OTTOBRE 2018 – Comportamento aggressivo, violento, intenzionale, vessatorio e reiterato nel tempo nei confronti di un altro giovane individuo, che solitamente non è in grado, o non è nella condizione di opporre resistenza e difendersi dalle angherie subite. Sono queste alcune delle caratteristiche che meglio identificano il fenomeno del bullismo.
Ai danni della vittima vengono perpetrate umiliazioni, aggressioni, violenze fisiche e/o psicologiche, i cui esiti possono portare a conseguenze anche drammatiche. Spesso, per paura di ritorsioni o per vergogna, chi è ‘oggetto’ di atti vessatori, anziché informare la famiglia o le altre figure che rivestono un ruolo importante nella sua vita, preferisce vivere in silenzio tale condizione e rifugiarsi in un volontario e deleterio isolamento sociale.
Il bullismo è una piaga sociale, una vera e propria emergenza. Lo scopo di questa intervista alla Dottoressa Katia Marselli – Psicologa, Psicoterapeuta e Criminologa – non mira esclusivamente a descrivere gli esiti psicologici derivanti dal bullismo, ma permette soprattutto di capire come contrastare il fenomeno e quali strumenti possono essere messi in atto per ridurre il disagio del soggetto vittimizzato.
Dottoressa Marselli, potrebbe indicare le principali caratteristiche del bullismo?
“Il bullismo è qualcosa di più che semplici litigi tra i coetanei, difatti sono state individuate tre caratteristiche principali che permettono di riconoscerlo e quindi intervenire in tempi brevi.
Innanzitutto, si parla di intenzionalità: il comportamento aggressivo viene messo in atto consapevolmente e volontariamente e perdura anche dinanzi alla sofferenza della vittima. Il bullo, infatti, ha poca se non scarsissima empatia, quindi non riesce a mettersi nei panni di colui che viene vessato, di conseguenza non comprende pienamente, ad un livello emotivo, il danno che sta commettendo.
Sistematicità: Poiché nella maggior parte dei casi gli episodi avvengono a scuola (luogo frequentato sia dal bullo che dalla vittima) o lungo il cammino per arrivarci, i protagonisti si incontrano quotidianamente e ciò contribuisce alla ripetitività degli episodi offensivi, anche nel lungo termine. La persistenza anche per anni di questi atti può portare a gravi ripercussioni sia per la vittima sia per il bullo.
Asimmetricità: la relazione tra il bullo e la vittima è fortemente sbilanciata e si basa sulla disuguaglianza di forza e potere, sia fisico che psicologico, tra il bullo (che si trova in una posizione upanche perché supportato dagli amici che assistono e, in alcuni casi, lo aiutano) e la vittima (che si trova in una posizione downe sperimenta una continua sensazione di impotenza non riuscendo a difendersi)”.
Quante forme esistono?
“Le più comuni sono tre: diretto, indiretto e cyberbullismo. Il bullismo diretto è quello in cui c’è un contatto vero e proprio, diretto appunto, tra il bullo e la vittima e si distingue tra fisico e verbale. Il primo comprende comportamenti veri e propri volti a ferire, colpire o a danneggiare e/o rubare oggetti di proprietà della vittima, mentre il secondo comprende insulti, parolacce, prese in giro anche per aspetti razziali, religiosi o caratteristici della persona più debole.
La forma indiretta di bullismo è anche la più subdola, non a caso un altro modo per definirlo è bullismo psicologico. Mira all’isolamento e all’esclusione sociale della vittima, danneggiandola all’interno delle sue relazioni con la diffusione di calunnie, pettegolezzi, maldicenze. È tipico del bullismo al femminile.
Il cyberbullismo, è figlio dei nostri tempi e della diffusione su larga scala di internet. Fa riferimento all’invio di messaggi molesti e/o offensivi mediante supporti elettronici oppure fotografare o filmare la vittima in momenti in cui non desidera essere ripresa per poi inviare il materiale ad altri, con l’intento di diffamare, minacciare o ferire”.
Attraverso quali processi, esperienze, ambiente familiare, spinte imitative e altre cause, si diventa ‘bullo’?
“Lei ha detto la parola chiave: si diventa bullo! Questa è una sottolineatura importantissima, poiché bisogna sempre ricordarsi che tutti hanno una loro storia alle spalle, e che il bullo vive un disagio tanto quanto la vittima. Il problema è la modalità con cui lo esprime.
Molti fattori possono incidere sul diventare bulli. Quello più incisivo riguarda ciò che avviene tra le mura domestiche: un contesto familiare molto carente da un punto di vista emotivo e nell’acquisizione di competenze socio-relazionali (e tutto ciò non ha nulla a che vedere con lo status socio-economico). Possiamo avere infatti, un’educazione molto permissiva e tollerante, oppure una troppo rigida e autoritaria. In entrambi i casi, gli assetti educativi non forniscono al bambino che cresce, strumenti e competenze che favoriscano la normale socializzazione ed espressione delle emozioni. Ciò permette che si verifichino problemi di autostima e di accettazione delle regole condivise poiché è proprio la componente sociale che viene a mancare o che trova difficoltà nell’esprimersi. A questo punto, troverà delle strategie inconsce per sopravvivere: alcuni diventeranno “carnefici” così come hanno visto fare, altri diventeranno più sensibili e magari sceglieranno delle professioni impegnate nel sociale, altri ancora diventeranno persone tendenzialmente timide, introverse, ecc. Come si vede, è la strategia “salvavita” che cambia ma il punto di partenza è lo stesso: il vivere un disagio emotivo e psicologico che richiede attenzione. Questo è ciò che posso dire in senso generale, poi ogni caso ha la sua specificità”.
A quali conseguenze psicologiche è esposta la vittima?
“Come è possibile intuire, il perpetuarsi di questa situazione porta la vittima ad avere una autostima sempre più bassa, alimentata dalla forte impotenza sperimentata. Spesso la vittima si percepisce sola nel gestire il problema che diventa così insormontabile, e ciò porta ad avere conseguenze negative sull’umore, calo del rendimento scolastico, senso di frustrazione, comparsa di sintomi di ansia o depressione. In alcuni casi insorgono problemi alimentari o forti colpevolizzazioni verso se stessi.
E poi c’è da dire che non è solo la vittima ad avere conseguenze. Anche il bullo, a lungo andare, non trova un bell’epilogo: i “bulli” persistenti sono a rischio di problematiche antisociali e devianti e tutti sappiamo che una volta entrati nel tunnel, è difficile uscirne”.
Il bullismo a scuola. Quali atteggiamenti/segnali non andrebbero sottovalutati dagli insegnanti?
“Come detto prima, bisogna comprendere se ci siano le condizioni per poter parlare di bullismo o meno. Quindi notare se, in caso di litigi o scambi verbali offensivi, si è di fronte a un episodio isolato o sistematico, se c’è una certa tendenza a prendere in giro sempre le stesse persone e se, all’interno del gruppo classe, c’è qualcuno molto popolare per la sua propensione a prevaricare e/o a usare prepotenze nei confronti dei più indifesi. Bisogna fare attenzione anche alla tendenza a isolare, dalle attività scolastiche e non, sempre le stesse persone”.
Gli insegnanti sono in grado di fronteggiare, senza adeguati corsi di formazione, la problematica?
“Gli insegnanti sono in grado di fronteggiare parzialmente il problema: possono rendersi conto se ci possano essere dei prodromi del bullismo ma per la gestione di tutti gli attori in campo, non ci si può affidare al solo buon senso. Gli interventi più efficaci sono quelli congiunti in cui vengono coinvolti alunni, genitori e insegnanti da psicologi esperti che, a seconda del caso, formano sulla prevenzione e/o sulla gestione di situazioni già problematiche. L’importante è che sia un intervento a 360°: pur effettuato in ambito scolastico è necessario che coinvolga anche le famiglie”.
A volte, per un genitore è difficile capire che il proprio figlio sia vittima di bullismo. Perché?
“Purtroppo, più gli anni passano e più si assiste al cambiamento e alla perdita dei valori che contraddistinguevano le famiglie tradizionali: l’esserci che portava alla condivisione. Non è questo il caso in cui effettuare un’indagine sociologica ma, sicuramente, è necessario prendere coscienza che molto spesso si assiste alla totale mancanza di dialogo all’interno delle famiglie che, almeno in teoria, dovrebbero rappresentare il primo nucleo fondamentale in cui socializzare. Sono molto comuni gli scenari domestici in cui tutti i componenti sono impegnati, contemporaneamente, con l’uso di dispositivi elettronici…. sembra una parodia eppure corrisponde ad una realtà triste e degradante. L’isolamento è il primo grande segnale di allarme ed è questo che spesso i genitori non vedono. Si assiste così, alla normalizzazione del sintomo o, per i ragazzi più grandi, ad attribuire all’adolescenza alcuni comportamenti particolari. Ne consegue che i genitori “non chiedono” e i figli “non dicono”, contribuendo ad alimentare la sensazione di impotenza data anche dal timore di rappresaglie o dalla vergogna di riferire di essere diventata una vittima di bullismo”.
I genitori del bullo. Alcuni tendono a declassare come ‘bravata’ determinati comportamenti bullizzanti. Queste figure genitoriali danno libero sfogo ai loro impulsi proibiti?
“Senza scomodare Freud e la psicoanalisi, in precedenza si è parlato dello stile genitoriale ed educativo e di come questo influisca nel diventare un bullo. È importante dire che, questi stessi fattori contribuiscono anche nel mantenimento dei comportamenti prepotenti. Troppo spesso i genitori tendono a proteggere o giustificare i figli e le loro azioni, determinando sia una mancata presa di responsabilità da parte dei bulli sia un muro tra il nucleo familiare e tutti coloro che intervengono affinché il bullismo si estingua. Sono i genitori stessi che rivolgono agli operatori critiche feroci, svalutando o screditando loro e il loro operato, è un po’ come se non vedessero il problema e anzi tendessero a rimproverare tutti coloro che “ingiustamente” accusano il figlio. Bisogna ricordarsi che spesso il bullo mette in atto ciò che vede e quindi è plausibile che per la famiglia, quell’ atteggiamento, sia la normalità. Tutto ciò crea il mantenimento delle offese e dei comportamenti violenti a danno delle vittime”.
Attraverso quali interventi è possibile ridurre il disagio della vittima?
“Gli interventi sono diversi a seconda della gravità del disagio e ancora di più, della persona che abbiamo di fronte. Sicuramente la consulenza psicologica è sempre preferibile poiché mira a “ristrutturare” e riorganizzare, da un punto di vista emotivo, relazionale e comportamentale, il contesto e l’ambiente in cui si verificano gli atti di bullismo. Successivamente, passata la fase di emergenza, gli incontri permettono il potenziamento dell’autostima poiché, il ragazzo/a comincia a notare come adesso è lui a trovare soluzioni dove prima c’erano solo problemi e disagi e tutto ciò è altamente motivante ed entusiasmante. Sperimentano il loro potere personale in azione.
Nella scuola, è importante integrare maggiormente quel bambino (sia come forma di prevenzione sia di gestione della emergenza) magari spostando tutti di banco periodicamente, così che ogni bambino sia aperto al nuovo e alla possibilità di coltivare nuove amicizie, data da una diversa vicinanza fisica. È importante che tutti abbiano la giusta attenzione: ciascuno porta del suo nel gruppo, e ognuno merita il giusto riconoscimento. È da sottolineare come queste stesse strategie possono essere utili anche per ridurre il disagio del bullo”.
Prevenzione. Come va contrastato il fenomeno?
“Innanzitutto attraverso la formazione e l’informazione nelle scuole (rivolte a tutto il personale scolastico, alunni e genitori), mirate soprattutto alla prevenzione del fenomeno e alla presa di coscienza che non si è soli e non c’è nulla da temere o vergognarsi nel chiedere aiuto. La prevenzione funziona poco poiché questi incontri sono più una tantumanziché ciclici, per cui gli stessi insegnanti si trovano a fronteggiare questi fenomeni senza potersi confrontare costruttivamente anche con altri professionisti.
– La presenza costante nelle scuole di uno psicologo a cui potersi rivolgere: spesso i progetti prevedono questa figura professionale per solo un mese o due rispetto a tutto l’anno scolastico. La sua presenza costante invece, potrebbe essere utile per sensibilizzare e far cadere i pregiudizi legati a questa professione e che, di fatto, ostacolano il chiedere aiuto da parte di insegnanti e ragazzi. Se c’è un disagio in atto, c’è bisogno che venga affrontato, o almeno che ci siano le premesse per farlo, anziché isolarsi e divenire ancora più facilmente un bersaglio.
E poi c’è l’aspetto comunicazionale: favorire in classe un clima di confronto costruttivo, dialogo e comunicazione assertiva affinché ciascuno possa liberamente esprimere il proprio pensiero senza essere stigmatizzato o escluso. Accettazione e condivisione delle diversità affinché il gruppo si arricchisca di nuove esperienze e in cui tutti possano trovare spazio, bulli e vittime inclusi. Tutto ciò è possibile se l’insegnate adotta uno stile autorevole e non autoritario. La prevenzione è lo strumento più potente che abbiamo per far fronte al fenomeno”.
È sempre possibile recuperare un bullo o esistono minori irrecuperabili?
“A questa domanda rispondo con un adagio molto caro al mondo della Programmazione Neuro Linguistica terapeutica e che parte da una citazione di Milton Erickson, uno dei più grandi psichiatri e ipnoterapeuti del secolo scorso: “Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice e una vita degna di essere vissuta”. Tutti quindi possono migliorare e “ristrutturare” le proprie esperienze ma è necessaria la motivazione al cambiamento, e, soprattutto, bisogna sapere che sia possibile poterlo fare se lo si voglia. Molti pensano che la condotta deviante sia una strada a senso unico, soprattutto quelli con una famiglia seriamente problematica alle spalle e che da tutta una vita hanno assistito a solo quello stile comportamentale. Dopo tutto hanno fatto per anni sempre la stessa cosa, perché mai dovrebbero cambiare comportamento ora? È il livello di consapevolezza del danno causato dalle proprie azioni che fa la differenza e che determina la scelta di farsi aiutare o l’imposizione, da parte degli organi competenti, nel farlo.
In ogni caso credo fermamente che ci sia sempre più di una scelta per ciascuno di noi! Quando pensiamo di averne solo una è perché siamo impegnati, focalizzati, su un solo aspetto problematico e non stiamo guardando verso le soluzioni. È una questione di cambio di prospettive”.
Si ringrazia la Dottoressa Katia Marselli
Luigi Cacciatori
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