Buongiorno sig.na Martina,
ho atteso un po’ prima di rispondere alla missiva, in quanto mi sono posta alcuni quesiti relativi alla sua richiesta d’aiuto. Il primo riguarda la sua età, poiché , sarebbe plausibile il suo interesse al problema che evidenzia, se avesse 18 o 20 anni, con ciò giustificando un’attenzione da sorella maggiore, dietro richiesta dei suoi genitori. Diversa situazione si connoterebbe, se solo pochi anni di differenza la discostassero da suo fratello. In quel caso, mi chiederei come mai Martina, lei non sia più concentrata sulle proprie vicende personali e si senta al contrario, in dovere di sostituire/sostenere i compiti parentali. Questa è stata la prima riflessione legata alla possibilità che il ragazzo si senta un po’ escluso da tanta coesione interna alla famiglia e metta perciò in atto, atteggiamenti più o meno consci, miranti ad infrangere tanta armonia e compostezza, con una condotta, che al contrario, abbia lo scopo di rivendicare una propria identità e un nascente desiderio di separatezza e individuazione. La seconda domanda e conseguente riflessione, riguarda la sfiducia da parte della scuola verso i genitori in riferimento alle loro capacità di porre regole e limiti al ragazzo, il che indica un forte scollamento e un difetto nella continuità del dialogo tra le due istituzioni (scuola- famiglia). Qualche colloquio qui e là non può certo risolvere situazioni complesse come quella rilevata, salvo l’accentuare il senso di inadeguatezza e d’ansia dei suoi genitori, ed è palese che, se suo fratello, che a casa dimostra adeguatezza e relativa osservanza alle norme, a scuola, ben sapendo di correre grossi rischi, non possa fare a meno di mettere in atto comportamenti da “sbruffoncello”, siano per lui in ballo valori e interessi ben più importanti di quelli relativi alla gratificazione elargita dai buoni voti degli insegnanti e dagli apprezzamenti famigliari. Come mai egli abbia scelto di emulare qualche eroe” negativo”, non ci è dato sapere. Forse è un modo per distinguersi dal gruppo e dimostrare il suo coraggio e sprezzo del pericolo di giovane maschio, modalità che a casa non servono, poiché non vi è un pubblico di pari che possa ammirare le sue gesta. Oppure potrebbe rappresentare un modo per coprire timidezza e senso d’inferiorità (meglio apparire stupidi perché non s’è capito qualcosa e non ci si sente all’altezza di apprendimenti richiesti, o mostrarsi coraggiosi e temerari infrangendo regole e buone maniere, confondendo le acque sulle proprie supposte insufficienze?). Non sono altresì da escludere ipotesi legate a possibili ferite narcisistiche a voi sconosciute e che mai egli potrebbe confessare (ad esempio, qualche amico o il gruppo stesso dei compagni di scuola, può averlo trattato da codardo in tempi recenti o passati). Di qualunque genere siano i motivi alla base dello” strano” comportamento di suo fratello,penso che egli consideri imprescindibile, per tutelare il proprio orgoglio e la propria identità, rivendicare un ruolo nel gruppo scolastico o amicale , che lo faccia sentire distante dalla mediocrità e dal percepirsi un “perdente”.Sono a stupirmi ancora una volta della inadeguatezza della scuola, rispetto ai problemi di crescita degli alunni, come se non fosse ormai di dominio pubblico, quanto preadolescenza ed adolescenza siano età tanto complesse quanto cruciali nel determinare le sorti future di ragazzi e ragazze. Il fatto che non sia ancora scontata la figura e la presenza dello psicologo scolastico, in un momento storico e sociale così delicato, in cui all’ordine del giorno sono frequenti problematiche legate a bullismo , uso di droghe e sessualità vissuta tanto precocemente quanto malamente, desta meraviglia e sconcerto. Penso che, oltre alle regole che la famiglia può dare e di cui deve pretendere l’osservanza, senza esagerare in inutili punizioni,per suo fratello, occorra trovare un luogo, una situazione , una persona adulta di cui potersi fidare, che sia o non sia di famiglia, esperto o non esperto, che si ponga nei suoi confronti con un atteggiamento e desiderio d’ascolto, che non sia giudicante e che conosca l’arte della pazienza per arrivare a comprendere i piccoli grandi dilemmi e paure di un ragazzo di 13 anni e che lo aiuti con gradualità a capire come, l’essere mediamente adeguati rispetto ai compiti che la vita assegna ad ognuno (il papà e la mamma lavorano e si occupano della famiglia e i figli studiano), possa divenire fonte di soddisfazione, dimostrandogli infine come, quando si è in difficoltà, possa essere oltremodo coraggioso e “fico” chiedere e accettare aiuto dalle persone su cui si può fare affidamento.
Un cordiale saluto