Il coronavirus, più precisamente COVID-19, ha toccato tutti.
Qualcuno, molti dalle mie parti, nel corpo con conseguenze anche gravi, se non addirittura tragiche, ma tutti sono stati, siamo stati, toccati nella propria dimensione psichica con riverberi nei vissuti emotivi ed affettivi.
Ciò ha comportato e sta comportando effetti nella visione e nella rappresentazione che ciascuno ha di sé.
Scoprirsi diversi dalla propria immagine
Scoprirsi fragili, insicuri, attanagliati da dubbi e incertezze.Scoprirsi diversi da quella immagine a cui tenacemente il soggetto si aggrappa e, a dire il vero, inconsapevolmente si imprigiona. Un’immagine di padronanza di sé e della realtà esterna.
L’immagine: una brutta bestia; tanto amata però. Amata perché è bello pensarsi secondo una rappresentazione ideale. Attraverso questo però si ignora di compiere un grave errore, celando ai propri occhi qualcosa della verità che si può cogliere di sé stessi.
Riallinearsi alla propria immagine ?
Ma com’è possibile che l’immagine che si ha di sé stessi, che noi abbiamo di noi stessi, non sia fedele a ciò che si è ? In fondo si potrebbe pensare che se l’immagine è un prodotto del soggetto, e quindi egli stesso ne è il creatore, ne consegue che ci sia corrispondenza tra i due elementi; tra l’immagine e il soggetto.
Quindi se la pandemia di coronavirus ha messo in difficoltà il soggetto la sua sicurezza si tratterebbe di ritrovare questa rappresentazione e riallineare immagine e soggetto. A questo scopo
si potrebbe pensare che possano essere utili dei corsi sull’autostima, sulla presa di decisione, o sull’autoefficacia. Così che dopo un periodo di difficoltà, di instabilità tutto possa ricollocarsi al punto in cui si trovava prima dell’avvento dell’epidemia.
L’immagine non ci appartiene
Le cose però non stanno così, ed io aggiungerei, per fortuna. Questo perché l’immagine che ciascuno ha di se stesso non è un suo prodotto ma il prodotto dell’a(A)ltro, dell’a(A)ltro sul soggetto.
L’immagine non appartiene al soggetto, ma gli è data dall’altro. E’ ciò che succede al bambino nel momento in cui guardandosi allo specchio vede un altro individuo di fronte a sé, ed e l’adulto al suo fianco che gli dice: “quell’essere, quel bambino che vedi lì nello specchio, sei tu”!
La vita di ciascuno è costruita, strutturata, su questa dinamica. Il soggetto umano quindi nel definire sé stesso dipende dall’a(A)ltro. Ecco perché fidarsi della propria immagine e riferirsi ad essa significa imprigionarsi. Essere prigionieri, cioè, cedere ad un a(A)ltro la propria libertà, le scelte della propria vita.
Riacquisire il giusto rapporto con l’Altro
Dicevo che tutti sono stati, siamo stati, toccati, infettati interiormente, dal coronavirus. L’epidemia di covid-19 ha seminato morte e angoscia ma ha anche indicato una necessità per il soggetto umano. La necessità di liberarsi dalla presa tirannica dell’immagine, per avvicinarsi maggiormente alla consistenza più vera e più autentica di sé. Si tratta di un movimento di separazione, di giusta distanza, di giusto rapporto con quell’Altro che non è rappresentato solo dalle figure significative della propria esistenza ma di tutto ciò che “gira” intorno alla vita di ciascuno e in cui ciascuno è immerso (ecco perché scritto con la A maiuscola). Parole, sollecitazioni, pensieri che tendono ad indirizzare i propri obiettivi e i propri desideri.
Lo specchio in frantumi per esserci nel mondo.
Il sasso lanciato nello specchio dall’avvento traumatico del Coronavirus può essere l’occasione per ciascuno, ciascuno di noi, a mettere in luce ciò che gli è proprio, e non ciò che è rappresentanza immaginaria, e su quello giocare il proprio impegno la propria passione, il proprio desiderio.
Il proprio “dasein”: il proprio esserci nel mondo.
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