L' empatia

Da anni è entrato in uso nel nostro linguaggio il termine di EMPATIA però spesso viene citato con erroneo e/o ambiguo significato. E’ quindi il caso di fare un po’ di chiarezza

E’ un termine che prende in esame le emozioni. Non va confuso né assimilato con la  simpatia, né con la compassione, né con la semplice identificazione. Nella simpatia non si considerano solo le emozioni dell’altra persona ma anche altri elementi come i valori, gli obiettivi, aspetti ed atteggiamenti  comportamentali ed altro;  nella compassione, pur condividendo la sofferenza dell’altro, si è portati a dare un giudizio ed a distinguere tra vittima ed aggressore o tra vittima ed evento dannoso; per quanto riguarda l’identificazione si può dire che è solo un primo stadio dell’Empatia e deve essere mantenuta entro certi limiti. Esempio: un infermiere (o un medico) non deve identificarsi troppo con il paziente altrimenti non riuscirà più a differenziare le proprie emozioni da quelle del paziente stesso e di conseguenza non potrà più essergli di aiuto.

Uno dei primi Autori ad usare il termine Empatia è stato  Carl Rogers che, tra l’altro, ha evidenziato come questa sia importante e necessaria nelle relazioni umane. Per lui l’Empatia è la capacità di mettersi  nei panni altrui soprattutto per quanto riguarda il sentire/percepire il vissuto emozionale dell’altro. Immedesimarsi nelle emozioni  (paura, amore, rabbia etc.) dell’altra persona senza giungere ad una completa identificazione, rimanendo adeguatamente presente a se stesso  e riuscendo a gestire – nel contempo - le reciproche sensazioni ed emozioni.

Rogers utilizza l’Empatia nella comunicazione (verbale e non verbale) per immergersi nel mondo soggettivo altrui, attraverso un’identificazione parziale, in un contesto di accettazione autentica e priva di giudizio. L’Empatia quindi facilita la comprensione della sfera emozionale dell’altro che viene accettato sotto ogni aspetto ed ogni sentimento (espresso e non espresso) poiché ha una funzione di completa apertura verso l’interlocutore, senza riserve, senza pregiudizi ed  allo scopo di ottenere un’evoluzione autentica nella relazione tra due persone.

Alcuni studiosi affermano che l’Empatia non si può tecnicamente apprendere poiché è la risultante della propria storia emozionale. Altri invece sostengono che si può apprendere e/o migliorare e - a tal fine - hanno promosso seminari/stages  per l’insegnamento  e l’utilizzo di tale concetto.

Comunque, al di là di tali differenti posizioni,   si può affermare che la capacità di cogliere e gestire le emozioni proprie e dell’altro è in ognuno di noi; trova le sue origini più antiche nella relazione/comunicazione madre-bambino dove una corretta educazione emotiva passa attraverso la capacità dei care-givers di entrare in un contatto affettivo significante con il bambino  per comprenderne i reali bisogni, cercando di cogliere ed interpretare, in modo idoneo, i suoi stati emotivi affinché il bambino - crescendo in un tale contesto - possa gradualmente imparare a riconoscere, differenziare, comprendere e gestire  adeguatamente i propri stati d’animo. Occorre quindi che tra madre-figlio/a (genitori o chi ne fa le veci) si crei una buona regolazione affettiva in grado di riconoscere e ben gestire le richieste del bambino in uno scambio relazionale reciproco  in cui il piccolo possa imparare a scoprire le proprie potenzialità, riconoscere e tenere a bada le proprie paure e quindi acquisire fiducia in se stesso. E’ utile ricordare che l’allattamento (al seno in primis ma anche con il biberon) rimane la prima e una delle più importanti occasioni di interazione  tra madre e bambino.

Vediamo quindi come l’Empatia possa essere un fattore importante nelle relazioni affettive (filiali, di coppia, familiari, amicali) ma può diventare utile anche in altre relazioni  (lavorative, scolastiche, sportive etc. ) specialmente oggi che si stanno verificando - in tanti campi e per varie motivazioni -  alcune particolari destrutturazioni e nuove strutturazioni sociali (es.: famiglie ricomposte, famiglie allargate etc.).

L’Empatia, inoltre, è fondamentale nel lavoro di psicoterapia in cui la relazione tra paziente e  terapeuta deve evolversi  in un rapporto positivo ed autentico attraverso un continuo e reciproco  scambio di emozioni ed esperienze. L’analista deve essere in grado di gestire  il processo empatico senza arrivare alla completa identificazione,  riuscendo ad immedesimarsi nelle emozioni dell’altro e gestire le proprie in modo proficuo, in tal senso la  terapia diventa una notevole fonte di crescita ed arricchimento per entrambi. 

Infine desidero esporre succintamente il pensiero di Serge Tisseron (psichiatra e psicoanalista-Università di Parigi) che ha individuato tre livelli del processo empatico:

  • un primo livello di Identificazione di Base in cui l’atteggiamento è: mi metto  ‘nei tuoi panni’ =  trattasi di Empatia Diretta;
  • un secondo livello in cui  l’atteggiamento di ognuno  è:  Riconosco ed Accetto che l’altro si metta al mio posto = trattasi di Empatia Reciproca;
  • un terzo livello  in cui l’atteggiamento di ognuno è: Accetto  che l’altro mi informi su chi sono,  cioè permetto all’altro di esplorare il “mio io” e rivelarmi  quello che “io non conosco di me” =  trattasi di Empatia Intersoggettiva o Empatia Estimizzante.


Per completezza di notizie faccio presente che un ostacolo dell’Empatia potrebbe essere il tentativo di manipolazione da parte di uno o entrambi gli interlocutori.  Nello stretto e reciproco legame emotivo/affettivo si possono creare due meccanismi psichici opposti e complementari: un desiderio di reciprocità ed un desiderio di dominio (es.: relazione adulto-bambino). L’angoscia di essere sottoposti al dominio dell’altro – che ripeto può essere anche reciproca – rende difficoltoso gestire con modalità adeguate il  processo empatico. Questo è un aspetto che fornisce una motivazione in più per comprendere quanto è importante e necessario  sviluppare l’Empatia fin da piccoli.

Riferimenti bibliografici: Carl R. Rogers e M. Kinget  ‘Psicoterapia e relazioni umane’ 1970;

S.Tisseron da  G. Noveri ‘Psicologia Contemporanea’2013

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