Di fronte ad una diagnosi di cancro, anche se favorevole, si sperimentano emozioni negative fortissime che e’ difficile gestire perché, tutti quei pensieri sulla sofferenza e sulla morte che di solito si presentano nella nostra vita ma che, attraverso dei meccanismi di difesa adattivi tendiamo a negare, ci vengono messi improvvisamente di fronte. Così, la paura per la salute, le preoccupazioni per le conseguenze dei trattamenti medici, per il futuro, per i propri figli e familiari, i cambiamenti dell’immagine corporea, prendono il sopravvento. Si è completamente sotto shock, nella mente si instaurano una serie di pensieri ossessivi a cui è difficile dare una risposta razionale: “ Perchè è capitato proprio a me? Come farò? Cosa mi succedera’ adesso? Sarò in grado di affrontare la malattia? Per me è la fine”. La comunicazione di questa sofferenza può anche essere nascosta agli altri e non comunicata perché si pensa di non essere capiti e compresi fino in fondo ed è proprio così che cambia la vita delle persone e subentrano stati di ansia, demoralizzazione, problemi del sonno, difficoltà di coppia e familiari.
Pensiamo anche a come le terapie antitumorali fondamentali per guarire possano influire a livello psicologico su alcune persone. La chemioterapia ne è un esempio e può portare ad un evitamento dell’interazione con l’ambiente, falsando lo sviluppo della propria immagine e di conseguenza della propria autostima. Dalla mia esperienza con i pazienti, uno degli effetti collaterali che più spaventa e che ha grandi risvolti psicologici è la perdita dei capelli. C’è chi tende a nascondere la propria calvizia davanti agli altri e delle volte anche davanti a se stesso sia per timore del giudizio ma, ancor di più perché è un rimando costante alla malattia e ai trattamenti e c’è chi invece, tende a mostrarla come simbolo di sfida verso questo male. Quello che è importante sottolineare è che non esiste il giusto o il sbagliato, perché di fronte a questa diagnosi nessuno è mai pronto ed ognuno cerca di affontarla come meglio può.
Questo può dipendere da tante variabili come: la personalità del paziente, la sua età, la sua storia personale, le sue condizioni fisiche, l’ambiente in cui vive e dal significato psicologico dell’organo che viene colpito.
Ogni storia personale è differente ma molto simili sono i vissuti sofferenza, rabbia, ansia, dolore e quello che mi sorprende sempre è la grande forza interiore utilizzata per far fronte a questo brutto male.
Ed è proprio questa forza che lo psicologo attraverso il suo aiuto e supporto, deve tirare fuori nel paziente. Infatti, supportandolo a livello emotivo, si può fare molto per favorire un migliore adattamento al percorso oncologico. Si aiuta il paziente ad affrontare il suo cambiamento fisico e psicologico, lo si incoraggia ad esprimere e a comunicare le emozioni e sopratutto si cerca di favorire lo sviluppo di migliori modalità adattive, focalizzandosi principalmente sui suoi vissuti personali e punti di forza.
Il modo migliore di aiutare il paziente ad affrontare e superare lo shock iniziale è quello di rispettare i tempi soggettivi di accettazione della diagnosi medica, accogliendo anche le sue paure e i suoi dubbi, in quanto l’adattamento alla malattia richiede tempo e risorse personali.
Ogni persona ha un proprio modo di far fronte alla malattia che deve essere capito e rispettato durante il percorso di cura.
Fondamentale sarà l’incremento delle strategie di coping (ovvero il modo soggettivo in cui affrontiamo le situazioni avverse e stressanti) e della resilienza, cioè la capacità di autoripararsi dopo un danno, di resistere, e di cercare di costruire e riorganizzare positivamente la propria vita, nonostante le situazioni negative difficili e che creano sofferenza. E’infatti molto simile a quello che svolge il nostro sistema immunitario quando si mette in moto per proteggersi dalle aggressioni esterne.
Ritengo inoltre importante incoraggiare l’espressione e la comunicazione delle emozioni attraverso il coinvolgimento dei familiari, in modo tale da sviluppare modalità più adattive per affrontare la malattia, a dare un senso a quanto accaduto, ma soprattutto per ridare speranza e ottimismo verso il futuro.
Detto questo, una particolare attenzione va rivolta a tutte le persone che vivono la malattia insieme al paziente perché, come ho precedentemente detto, un tumore coinvolge anche la sfera dei legami stretti che il paziente ha ed in particolar modo con la famiglia e i figli. Non è semplice per nessuno.
I familiari condividono una parte dei pensieri e delle paure in quanto vivono insieme al paziente la malattia, influenzandosi reciprocamente: senso di irrealtà, l’incredulità, il rifiuto, la rabbia, il senso di colpa, la depressione,l’ isolamento.
Il paziente insieme alla sua famiglia cambia le abitudini e vive una nuova organizzazione della quotidianità e del tempo. I doveri infatti, non spariscono improvvisamente e a questi si sommano nuove responsabilità che possono creare sentimenti di tensione, stress, rabbia, accompagnati da sensi di colpa e depressione.
Ogni famiglia è differente e diverso sarà l’approccio verso la malattia, ma quello che è importante è il condividere preoccupazioni e timori. Studi infatti dimostrano che così si ha una migliore consapevolezza di quello che si sta vivendo e sopratutto un maggiore coinvolgimento alle terapie proposte.
La famiglia è così un contenitore delle paure e delle ansie e questo può portare a sperimentare un sovraccarico di responsabilità e sentimenti di inefficacia, come ad esempio, quello di non essere all’altezza. Sono tutti stati d’animo comuni che è normale sperimentare quando siamo di fronte ad una malattia di un nostro caro, quindi è fondamentale non farsene un ulteriore colpa e allo stesso tempo, cercare di non farsi sopraffare, capendo quali sono i nostri limiti e se necessario chiedere un aiuto. Questo è importante perché garantisce al familiare la possibilità di esprimere il suo vissuto personale, le sue reazioni emotive intense e a volte nascoste, la sua paura, e tutte quelle problematiche che l’attività di cura può avere.
L’obbiettivo della terapia diventa così un aumento delle competenze rispetto all’attività di cura, una migliore gestione degli aspetti emotivi e una prevenzione dello stress.
Consiglio per i familiari: Il paziente può, apparire a volte infastidito dalle troppe attenzioni così la comunicazione può diventare ancora più difficile e delicata. Mi rendo conto che non è mai semplice ed è normale non sapere cosa dire o preoccuparsi di potere dire qualcosa di sbagliato, ma è importante ricordare che la cosa più importante è dimostrare interesse per chi soffre rispettando i suoi tempi, il suo carattere e la sua personalità. Bisognerebbe cercare di conoscere e riconoscere i bisogni, anche quelli che la persona non manifesta apertamente, in modo tale da accoglierli e soddisfarli serenamente, assecondare il pianto e anche il bisogno di poter stare tranquilli. Questo si può fare cercando di non essere troppo pressanti, riconoscendo i suoi pudori e assecondando la sua autonomia non facendolo sentire privato del ruolo che prima aveva all’interno della casa.E’importante mantenere una comunicazione aperta, rendere il nostro familiare sempre partecipe.
Un altro argomento molto delicato degno di nota è come affrontare questa malattia con i bambini.
I bambini già da piccoli iniziano a porsi tante domande sulla vita. Bisogna cercare di rispondere ai loro dubbi, perché questi nascondono delle preoccupazioni. La risposta va adattata alla loro età e al loro linguaggio. La realtà bisognerebbe “raccontarla romanzata”, utilizzando dei filtri ed una grande empatia, tenendo in considerazione che sono bambini e che la loro sensibilità è più accentuata, anche quando non chiedono, anche se sembrano indifferenti. Farli parlare, farli sfogare, farli piangere e rassicurarli che non saranno mai soli. Quando non c’è questa comunicazione e si nasconde la realtà, c’è il rischio che possano immaginare e fare proprie alcune risposte, lasciandoli impreparati al dolore e causando perdita di fiducia.
E’fondamentale anche qui rispettare i tempi dei bambini, incoraggiarli a mostrare il loro amore nel modo in cui preferiscono, attraverso una lettera, un disegno.
Per quanto riguarda gli adolescenti, la comunicazione potrà essere più diretta ma sempre graduale, il ragazzo deve percepire di essere ascoltato e protetto da due genitori che lo supportano e che lo rendono partecipe senza nascondergli i fatti.
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