La rappresentazione di una psicologia clinica è sovente vista come "scienza dell'irripetibile", in cui la relazione terapeutica verrebbe ad essere una sorta di happening unico e necessario, determinato da condizioni emotive complesse e insondabili. In questo caso la ricerca di una verifica dei criteri adottati all'interno del lavoro psicoterapico diviene un'impresa complessa.
In tal senso il concetto della soggettività pare mettere al bando qualunque possibile studio scientifico dell'attivazione di funzioni psichiche nel corso di una psicoterapia, poiché la soggettività rimanda ad un'esperienza intima ed esclusiva, conoscibile solo "dal di dentro".
Peraltro gran parte del fare psicologico si basa, usando un'espressione di Fornari (1979) su "cose di parole"; lo stesso Freud in "Introduzione alla psicoanalisi" (1978, p.201) nella prima lezione scrive che "Nel trattamento analitico non si procede a nient'altro che ad uno scambio di parole tra l'analizzando e il medico". La dimensione dialogica e mentale risulta all'apparenza debole rispetto alla forza del "biologico", tipico delle cosiddette scienze mediche: ed allora può svilupparsi una ipervalutazione delle situazioni controllabili in laboratorio, con una scissione profonda tra ricerca clinica ed intervento.
In questo lavoro abbiamo voluto esaminare principalmente il contributo di Joseph Weiss e Harold Sampson facente parte del gruppo di ricerca del Mount Zion Hospital Psychoterapy Research Group; ed in particolare abbiamo analizzato il concetto di "Piano inconscio del paziente", cercando di comprenderne i possibili sviluppi e criteri adottati nella valutazione che gli autori propongono. Il paziente porta con sé nel percorso terapeutico una sorta di progetto inconscio, che persegue attivamente nel tentativo di mettere alla prova le credenze patogene apprese nell'infanzia. Egli mette, quindi, in atto una serie di test rivolti allo psicoterapeuta, che ha il precipuo obiettivo di trovare diretta smentita a tali convinzioni.
Il paziente riporta hic et nunc, ovvero nel rapporto terapeutico, le credenze patogene inconsce apprese nam et tunc del contesto familiare, al fine di disconfermarle. Il continuo tentativo del paziente di traslare le esperienze infantili sul piano attuale, trova risposta nell'attività del terapeuta. Il suo compito sta nel comprendere le convinzioni patogene e gli obiettivi del paziente ed aiutarlo a disconfermare le prime e a perseguire i secondi.
Il piano inconscio, legato al progetto di vita del paziente e orientato a finalità adattive, dovrebbe essere assecondato dal terapeuta attraverso interpretazioni e comportamenti consoni al piano (pro plan). Il metodo della diagnosi del piano (plan formulation method) è stato messo a punto da Weiss e Sampson proprio per permettere al terapeuta di diagnosticare in modo attendibile e in breve tempo "il piano" al fine di poter attuare interventi pro-plan che a loro volta consentano di superare i test che il paziente gli sottopone nel transfert.
Un inciso rilevante da aggiungere a questo punto è che, spesso, avviene una scissione in analisi: il problema portato dal paziente è visto o come problema esistente al di fuori della relazione con lo psicologo o come problema esistente solo all'interno delle dinamiche emozionali. Nel primo caso il problema è trattato unicamente attraverso modalità cognitive, che escludono la relazione attuale; nel secondo caso è visto come fosse indipendente dal problema stesso.
Nel lavoro di Weiss e Sampson, invece, i due aspetti vengono integrati e vi è un interessante connubio tra i modelli di stampo psicoanalitico e quelli di tipo cognitivo. Riprendendo le parole di R. Carli in "Psicologia Clinica, professione e ricerca", (Rivista di Psicologia Clinica n.1 , 2006):
"Siamo confrontati con le due aree più rilevanti della psicoterapia: la psicoterapia cognitiva da un lato, quella psicoanalitica dall'altro. Certo, le cose sono notevolmente evolute dagli albori di queste forme psicoterapeutiche, che si sono molto avvicinate l'una all'altra, in una sorta di ibridazione che vuole tener conto sia della relazione che del problema narrato cognitivamente. Rimane il fatto che l'obiettivo psicoterapeutico può essere situato nel problema narrato da un lato, nella dinamica della relazione, come è vissuta dal paziente, dall'altro". Nella comunicazione tra terapeuta e paziente vi è, quindi, sia un significato specifico, sia uno relazionale; ciò implica la necessità di interpretare quel che viene detto in seduta sia come problema "esterno" sia come discorso sul rapporto con il terapeuta. Il paziente deve apprendere non solo a capire se stesso, ma anche a ripristinare un canale comunicativo fra la propria parte cognitiva e la propria parte emozionale: ciò che succede in seduta deve essere compreso dal paziente, che lo analizza insieme al terapeuta; in tal modo si costituisce una sorta di conoscenza comune alla coppia paziente-terapeuta. Tale rapporto, peraltro, porta a valutare il ruolo dei processi consci ed inconsci.
Nel seguente lavoro ci siamo proposti, quindi, di esplorare l'utilizzo del sistema inconscio come "modo di essere della psiche" all'interno del processo terapeutico, cercando di evitare semplici dicotomie rassicuranti; scrive in proposito Bara "Non è tanto la coscienza ad essere preziosa, o l'inconscio ad essere efficace, è l'interazione tra due sottosistemi con caratteristiche funzionali così diverse, a rendere i processi mentali, globalmente considerati, così potenti nell'uomo. Qualunque contrapposizione tra conscio ed inconscio, cui si fanno spesso corrispondere dicotomie tipo razionalità/irrazionalità, pensiero/emozione, adulto/bambino, civilizzato/naturale, buono/cattivo o viceversa, perde di vista il punto fondamentale, per cui i sottosistemi si potenziano reciprocamente.
Sicuramente i processi di elaborazione conscia sono quelli che si sono sviluppati più tardi, sia dal punto di vista dell'evoluzione della specie che da quello della crescita individuale. Una diminuzione della crescita porta ad una qualità di vita drammaticamente diminuita, in cui la dimensione essenziale dell'essere umano sembra persa. Pure, va ricordato come questa straordinaria capacità del cervello umano si basa sul fatto che siano contemporaneamente presenti processi di tipo inconscio, che correggano le rigidità e la lentezza della coscienza.
A loro volta, è probabile che i processi paralleli abbiano ricevuto una spinta ulteriore proprio dall'emergere della coscienza che li ha liberati dalla responsabilità finale dell'interpretazione del mondo rispetto alo sistema. Come un arco è costituito da un legno e da una corda, ed è la sinergia fra legno e corda a lanciare la freccia, così è la sinergia fra conscio ed inconscio a permetterci di essere come siamo" (Bara B., 1990 p.297- 298). Ed allora compito della psicoterapia non è tanto di rendere conscio quello che prima era inconscio o di far passare una parte di conoscenza da uno stato all'altro; bensì quello di far sì che il paziente possa riflettere ed elaborare le fantasie che emergono durante le sedute.
Il modello teorico di Weiss, chiamato "Control-mastery theory" (teoria della padronanza-controllo) o anche ipotesi del funzionamento mentale superiore, si basa sull'assunto che l'attività mentale inconscia è finalizzata da un lato alla ricerca di condizioni di sicurezza e di padronanza nelle relazioni interpersonali, e dall'altro è capace di discriminare le credenze patogene dalle esperienze favorevoli attuali nella relazione terapeutica.
Weiss ritiene che l'essenza dell'attività mentale non sia la mera scarica pulsionale o la ripetizione di esperienze passate, ma l'adattamento all'ambiente e l'attiva ricerca di situazioni nuove che possano disconfermare le credenze patogene.
L'inconscio ed i piani inconsci del paziente quindi sono la forza motrice del percorso terapeutico: le emozioni, le motivazioni, gli obiettivi, e la loro valutazione divengono i punti focali su cui indirizzare l'attenzione per poter dare senso all'intervento clinico.
Certo è che il modello di Weiss e Sampson non è esente da critiche anche di una notevole rilevanza: l'appoggio ad un modello correlato ad una visione dell'uomo che ha come obiettivo principale l'adattamento fa sì che si scivoli spesso su un terreno fatto di conformismo e "normalità"; od anche il continuo ancoraggio alle relazioni familiari nell'età dell'infanzia è un retaggio costituito da una confusione tra storia come narrazione e storia come nesso causale.
Alcune critiche al modello di Weiss e Sampson sono portate anche da P. Migone (1993), il quale sottolinea come l'idea di un piano inconscio con finalità adattive sempre positive e funzionali, sia una concezione idealistica, in quanto il paziente potrebbe non conoscere il suo piano all'inizio della terapia, o averne uno errato che poi modificherà anche sotto l'influenza dei valori e dei piani del terapeuta. Nella sua dimensione dinamica il piano inconscio, secondo Migone, non può essere accettato ab origine, se non a patto di rinunciare al concetto di conflitto, centrale in psicoanalisi. Difatti Weiss e Sampson abbandonano i termini strutturali, e non parlano quasi mai di pulsione; il piano inconscio sembra essere una terza pulsione come unica spinta motivazionale. Non va crito agli autori per aver alimentato e puntualizzato il dibattito intorno agli obiettivi del paziente e dello psicoterapeuta, mostrando come sia possibile confrontarsi su aspetti spesso dati per scontati, ma in realtà, fondanti la legittimazione dell'intervento clinico.
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento