Frequenza e continuità delle sedute in psicoanalisi e psicoterapia analitica
Diversamente da altri procedimenti, la psicoanalisi e la psicoterapia analitica promuovono la trasformazione delle esperienze conflittuali inconsce, oltre che di quelle traumatiche o carenziali. Frequentemente, la persona non si rende conto di questi aspetti, della loro portata significativa e di quanto influenzino o alterino le scelte personali, sentimentali o professionali: di solito, la persona avverte solo le conseguenze di queste esperienze, quando cioè sperimenta una profonda insoddisfazione personale che a volte si esprime con qualche disturbo clinico.
La psicoanalisi punta alla individuazione e risoluzione di queste esperienze sottese al disagio (clinico o esistenziale), sostenendo la ricerca di un nuovo equilibrio che consenta alla persona di pervenire ad una migliore padronanza di sé e delle sue esperienze.
Questo procedimento si basa sulla graduale esplorazione dell’esperienza del paziente: le sue vicende attuali e passate, le fantasie, i sogni, i sentimenti e i pensieri che poco per volta si riattivano nel rapporto analitico. Per avviare questo lavoro di trasformazione emotivo-affettiva occorre concordare col paziente alcuni semplici criteri che, sul lungo periodo, si rivelano però importanti per l’esperienza terapeutica.
Tra questi criteri, la frequenza delle sedute e la continuità del contatto con l’analista assumono una rilevanza particolare.
La frequenza delle sedute
La psicoanalisi e la psicoterapia analitica richiedono una frequenza medio-alta di sedute: di solito, da due a quattro. Prevedono che il paziente si distenda sul divano/lettino, mentre l’analista è preferibilmente collocato fuori dal campo visivo (più raro invece l’utilizzo del vis-a-vis).
Al riguardo, va subito chiarito che la proposta di più sedute settimanali non ha nulla a che vedere con la gravità del disturbo clinico, quanto piuttosto con la possibilità di creare un legame col terapeuta per poter osservare le modalità con cui si sperimentano i vissuti emotivi, i sentimenti, i pensieri che a volte condizionano in modo disagevole l’esperienza.
La frequenza dipende dal metodo e quindi dall’esperienza terapeutica che si intende proporre: non si tratta soltanto di ridimensionare un sintomo, di ridurre transitoriamente un disagio o di rassicurare, ma di rimettere in scena nel rapporto terapeutico aspetti di sé conflittuali affinché sia possibile favorire o riconquistare una migliore condizione di vita personale, meno influenzata da aspetti irrisolti.
L’andamento di questo procedimento terapeutico non è prevedibile a-priori, ma si sviluppa gradualmente e non necessariamente in modo lineare. Possono verificarsi momenti in cui il paziente sente di aver fatto progressi, ma anche momenti in cui egli ha la sensazione di essersi fermato o di non riuscire a proseguire. Si tratta tuttavia di un andamento fisiologico, perché ciascuno percorre il proprio cammino col proprio passo e con le inevitabili circostanze incidentali che lo possono rallentare. Generalmente, occorre considerare un periodo di tempo significativo, dal momento che la trasformazione dell’esperienza conflittuale e del disagio connesso non avviene mai in modo immediato.
Per queste ragioni non è possibile sapere in anticipo la sua durata.
La conclusione del lavoro analitico, nel migliore dei casi, viene concordato e analizzato: paziente e analista individuano una data che considereranno come l’ultimo loro incontro.
La continuità delle sedute
La continuità delle sedute è un altro aspetto rilevante che scandisce l’andamento degli incontri.
Si tratta di una condizione necessaria per poter avviare un lavoro che altrimenti non è possibile svolgere, il cui fine è la risoluzione di quei disturbi o di quegli aspetti di sé che impediscono di vivere in modo soddisfacente il rapporto con sé stessi e le persone.
Analista e paziente stringono quindi un accordo secondo cui si impegnano a incontrarsi con continuità per un certo periodo di tempo, affinché si possa osservare e sperimentare la costruzione di un legame, all’interno del quale il paziente porta il proprio modo di vivere le sensazioni, le emozioni, i sentimenti, le fantasie, i pensieri.
La psicoanalisi e la psicoterapia analitica rappresentano un piccolo “laboratorio” in cui poco per volta il paziente si cimenta nella costruzione del rapporto con l’analista, avendo la possibilità di cogliere e sperimentare quelle distorsioni che a volte impediscono di vivere una più liberante esperienza emotivo-affettiva e relazionale. Così, ad esempio, analizzare i sentimenti (positivi o negativi) che si possono provare nei confronti del terapeuta e dell’analisi diventa essenziale per comprendere il modo col quale si sperimentano questi stessi sentimenti nei i rapporti con le persone.
All’interno di questo “laboratorio” terapeutico, le vicende personali trovano gradualmente configurazioni prima impensate: possono divenire meno ingombranti e lasciare più libera la persona nell’individuare migliori forme espressive e di appagamento, meno condizionate da conflitti personali o dall’ipoteca di esperienze insoddisfacenti che hanno condizionano tanto il passato, quanto il presente.
Conclusione: costruire la traccia per trasformare l’esperienza
Perché ciò possa avere luogo, è però necessario il rispetto di alcuni criteri, senza i quali non è possibile costruire questo piccolo “laboratorio”.
La continuità e la frequenza della sedute sono criteri che permettono di osservare la traccia che si costruisce col rapporto terapeutico, la qualità della connessione tra i diversi incontri, le difficoltà o le perturbazioni che possono insorgere. Consentono quindi l’attivazione di sentimenti, pensieri e comportamenti, ma anche di ostacoli, resistenze e difese, che possono essere visti, vissuti e trasformati dal vivo, nel mentre in cui accadono all’interno dell’esperienza analitica stessa.
In sintesi, si potrebbe dire che questo lavoro di trasformazione dell’esperienza emotivo-affettiva all’interno del rapporto analitico richiede tempo, costanza e ritmo.
Questi criteri possono qualche volta essere avvertiti inizialmente come un ostacolo a iniziare un lavoro psicoanalitico. Tuttavia, il superamento di queste iniziali difficoltà o perplessità rappresenta frequentemente un segno favorevole per lo sviluppo dell’esperienza terapeutica, delineando una significativa motivazione al prendersi cura di sé stessi e alla trasformazione dell’esperienza, non limitandosi semplicemente all’obiettivo di una temporanea scomparsa del disagio o dei sintomi.
dr. Stefano Golasmici
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista
stefano.golasmici@gmail.com
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