Il primo colloquio con uno psicoterapeuta
Per quanto possa apparire un po' strano, si potrebbe dire che il colloquio con un terapeuta inizi prima ancora che avvenga concretamente. La prospettiva di chiedere un aiuto e la decisione che eventualmente segue sono il frutto di un insieme di pensieri che si forma nel dialogo interiore della persona che sta immaginando di consultare uno psicoterapeuta. La decisione a volte può risultare difficile, perché caratterizzata tanto dal desiderio di farsi aiutare, quanto da quello di sottrarsi al possibile incontro. Si tratta in effetti di un periodo decisionale animato da dubbi o incertezze, qualche volta anche da sentimenti di vergogna: tutti aspetti comprensibili, se si pensa che ci si trova di fronte ad un incontro con una persona che, per quanto professionale, rimane sconosciuta e alla quale si affida la propria vicenda privata.
Il percorso che porta alla consultazione è l'esito dunque di una tribolazione interna che richiede un tempo di riflessione. Da questo punto di vista, anche comporre il numero di telefono del professionista, scrivergli una mail o effettuare la prenotazione automatica di un appuntamento sono gesti gravidi di molte emozioni e pensieri che oscillano tra il desiderio e l'esitazione.
Nel primo colloquio, frequentemente, è il terapeuta ad aprire la conversazione con una domanda solo apparentemente semplice. Chiedere "di cosa si tratta?", "come posso fare per aiutarla?" o "cosa la porta qui?" sono espressioni molto ampie (per molti aspetti generiche) che da una parte costringono a riorganizzare alcune idee per formulare un discorso, attingendo quindi alle molte sfaccettature del dialogo interiore sperimentato nei giorni precedenti il primo colloquio, dall'altra consente l'avvio di un'esperienza che in questa circostanza non è più solitaria: è possibile fare l'esperienza di una prima narrazione di come ci si sente con sé stessi e con il proprio mondo emotivo all'interno di un rapporto completamente nuovo e inusuale rispetto a qualunque altro.
L'attenzione può essere portata alle difficoltà che si riscontrano in sé stessi e che si desidererebbe superare. Da un lato, diventa possibile sentire come, nel rapporto con l'analista, le diverse inquietudini possano essere accolte e contenute, iniziando ad acquisire già dal primo incontro una nuova forma: l'atto stesso di poterne parlare configura già un nuovo modo di vivere il disagio. D'altra parte, si verifica anche il riconoscimento di un limite, perché non tutto può essere visto e affrontato nel primo incontro: cosa che qualche volta può generare la sensazione (magari un po' sgradevole) di non riuscire a riferire tutto quello che si avvertiva tra sé e sé. Il primo incontro è utile quindi non solo per tratteggiare le modalità con cui sperimenta un proprio disagio, ma anche per cogliere il proprio personale modo di tollerare (o meno) l'inevitabile incertezza e incompletezza che in fondo caratterizza qualunque esperienza umana.
Il primo colloquio, oltre ad essere un momento di incontro e di conoscenza della problematica riferita, rappresenta anche un piccolo preliminare assaggio del lavoro psicoterapeutico che eventualmente può essere concordato. Di solito al primo colloquio segue un secondo, in cui vi è la possibilità di affrontare qualche aspetto rimasto magari in sospeso nel precedente incontro, oltre che essere occasione per chiarire dubbi emersi nel frattempo.
Da questo momento in poi diventa però necessario capire che cosa si intende fare dell'esperienza della consultazione. Frequentemente, la consultazione è il preludio di un lavoro psicoterapeutico che va concordato proprio all'interno di questi primi incontri. Si tratta allora di chiarire quale tipo di proposta psicoterapeutica offrire e quali caratteristiche di contesto la rendono possibile: giorni e orario delle sedute, frequenza delle sedute, utilizzo del lettino o del vis-a-vis, onorario, modalità di pagamento, criteri per lo spostamento o l'annullamento delle sedute.
Una volta trovato l’accordo sul tipo di lavoro psicoterapeutico, analista e paziente si impegnano a rispettarlo e a mantenerlo nel tempo, dando avvio a quell'esperienza terapeutica che consente di affrontare e trasformare in una rinnovata prospettiva di senso il dolore per cui si è cercato un aiuto.
dr. Stefano Golasmici
Psicologo Psicoterapeuta, Psicoanalista socio ordinario ASP e IFPS
stefano.golasmici@gmail.com
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