Il terapeuta comincia il suo lavoro a partire dall’accoglimento di una richiesta di aiuto e dalla descrizione di manifestazioni sintomatologiche da parte del sistema coinvolto. Tali manifestazioni, soprattutto per un terapeuta familiare, non rappresentano l’occasione per elaborare una diagnosi finalizzata a un “etichettamento” del paziente, ma piuttosto una dinamica che rimanda a specifici modelli relazionali all’interno di quel sistema. Cancrini (1986) definisce il sintomo come
una strategia complessa nella relazione; un modo di legare senza essere accusati di voler legare; un modo di definire una distanza emotiva senza essere accusati di voler abbandonare; il sintomo è una manovra terapeutica che cerca di abbassare lo stress di una decisione che non si può prendere perché si è indecisi e perché ci si ritiene incapaci di nuovi e diversi equilibri” (p. 189).
Il sintomo ha una funzione terapeutica. La terapia può essere considerata come l’occasione di estendere il gioco familiare all’ambiente esterno. Al terapeuta è affidato il compito di scoprire le regole del gioco familiare, corrispondenti alle peculiari dinamiche relazionali di quella famiglia, e individuare tra di esse modalità poco adattative e scomode rispetto all’assolvimento dei compiti di ognuno dei membri della famiglia. Ogni membro è infatti impegnato nel portare avanti compiti di sviluppo corrispondenti alla sua fase del ciclo vitale (es. lo svincolo dai genitori per un figlio giovane adulto; compiti di sviluppo come coppia di genitori; compiti di sviluppo come coppia coniugale; compiti di sviluppo in quanto bambino o adolescente, ecc).
Ogni appartenente alla famiglia, in ogni fase del ciclo di vita familiare, è impegnato ad affrontare più compiti di sviluppo, perché coinvolto in più relazioni.
La soluzione di questi compiti consente il passaggio alla fase successiva.
Ogni fase è caratterizzata da specifici compiti di sviluppo che comportano una continua rielaborazione dei rapporti a livello di coppia, delle relazioni genitori-figli e di quelle con la famiglia d’origine. La famiglia attraversa fisiologicamente cicli che si ripetono, caratterizzati da fasi di funzionamento (fungtioning) e di adattamento (adaptation) e intervallati da periodi di crisi familiare.
Ogni transizione necessita quindi di cambiamenti che, se non adeguatamente affrontati, possono portare a dei blocchi e alla possibile manifestazione di disturbi.
Secondo Telfner (1991) il terapeuta è un elemento “perturbatore” del sistema del paziente e può assolvere a diversi compiti:
- Evidenziare il modo in cui il paziente si rapporta al mondo e come questo si traduce in comportamenti, pensieri ed emozioni;
- Elicitare una progressiva analisi del tipo di pensiero e favorire un distanziamento dai processi di pensiero dell’individuo;
- Creare connessioni tra azioni e miti-giochi familiari;
- Indagare i pattern di attaccamento e distacco;
- Individuare significati e funzioni di manifestazioni sintomatologiche;
- Analizzare in che modo si sono costruite teorie e credenze su di sé e sul mondo e contestualizzarle nel proprio ambiente relazionale;
- Permettere al paziente di assumere differenti punti di vista per osservare determinate dinamiche;
- Intervenire su contenuti e processi per modificare il “modo di stare al mondo del paziente”.
CANCRINI, Maria Grazia, HARRISON, Lieta, Potere in amore. Per una psicoterapia dei problem di coppia, Roma, Editori Riuniti, 1986.
TELFNER, Umberta, La terapia individuale sistemica. In M. Malagoli Togliatti e U. Telfner (a cura di), Dall’individuo al Sistema. Manuale di psicopatologia relazionale (pp. 109-117), Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
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