“La Psicoterapia tra Benessere e Disagio”
di Antonino Marù – Psicologo-Psicoterapeuta -
Nei confronti della Psicoterapia l’atteggiamento che generalmente si registra si colloca tra il curioso-cauto, e il pregiudizievole-sfiduciato.
Questa terapia che non si vede e non si tocca, che cura un’altra cosa che a sua volta non si vede e non si tocca: il malessere dell’anima. Questo male che non ha corpo, che è difficile da mentalizzare e da comunicare, anche perché non esiste un linguaggio comune per descrivere il disagio, ognuno ha le sue parole per narrare il suo malessere.
I dubbi che fanno da sfondo all’intraprendere un trattamento psicoterapico sono: Veramente parlando si guarisce? Ma questo psicoterapeuta quali parole magiche può avere che io non mi sia già detto? “fatti coraggio, pensa positivo, la vita va avanti lo stesso, sforzati di non pensare, vedrai col tempo, anche a me è successo anni fa, guarda chi sta peggio di te….” Ma poi che tipo è questo psicoterapeuta? Magari è più esaurito di me? Non è che mi cambia troppo? Non è che dice in giro le mie cose?
Dare la giusta visibilità e la giusta collocazione alla psicoterapia, vuol dire promuovere la cultura dell’aiuto psicologico, vuol dire liberare la psicoterapia dai luoghi comuni che sono poi dei veri e propri pregiudizi, tipo: chi ricorre alla psicoterapia è fragile, debole, insicuro o esaurito, non è autonomo, non è in grado di badare a se stesso. Secondo questa ottica la psicoterapia prima che una relazione d’aiuto è un prodotto culturale. Con facilità parliamo del nostro colesterolo alto, delle nostre carie, dei nostri duroni ai piedi. Mai, dei nostri pensieri, distorti, inadeguati, malati.
Dallo studio dello psicoterapeuta si esce a volte felici, altre volte confusi, altre ancora un po’ giù e non si ha voglia di vedere nessuno. Sono casi in cui la riservatezza è dovuta ai nostri pazienti, ma pur all’interno di questa riservatezza vorremmo dare alla psicoterapia quella dimensione di naturale relazione d’aiuto.
Penso che la psicoterapia sia il viaggio più affascinante che possiamo compiere, dentro la rete dei nostri pensieri, dentro le parole e le immagini che abbiamo utilizzato per costruirli, dentro le emozioni con le quali li abbiamo legati tra loro e ancorati a noi.
La psicoterapia è la narrazione delle storie della nostra vita, quelle andate bene, per tutte le volte che ci siamo sentiti dentro l’armonia del mondo. Quelle andate male, per tutte le volte che la vita ci ha detto no.
Nel gioco dei successi e delle sconfitte, delle aspettative confermate e deluse organizziamo i nostri pensieri, su di noi sugli altri e sulla vita. Dentro la rete dei pensieri scriviamo il nostro “tema esistenziale”. La frase che racchiude il senso della nostra vita: “nessuno mi ama” “nessuno mi capisce” “l’amicizia non esiste, non ti puoi fidare di nessuno” “le donne sono insensibili” “gli uomini tradiscono”. Il tema diventa il filtro attraverso il quale guardiamo il mondo.
Il viaggio dentro serve ripulire quel filtro dalle incrostazioni, dalle distorsioni percettive, serve a trasformare il tema esistenziale in tema evolutivo. Quindi crescita, evoluzione, maturazione.
Non è sempre cosi immediato individuare la psicoterapia come risposta al disagio psichico, soprattutto quando questo si trasferisce dentro il corpo, attraverso le somatizzazioni. Vertigini, cefalee, coliti, difficilmente le pensiamo come di origine psicologica, ci concentriamo sulla cura del sintomo e rinunciamo a cercare le origini.
Diversa è la condizione in cui il disagio si manifesta nella relazione: paura ad allontanarsi da casa, incontrare gente nuova, frequentare luoghi troppo aperti o troppo chiusi, parlare in pubblico, compiere atti compulsivi, ricevere complimenti o critiche, pensare che gli altri siano sempre migliori o inferiori a noi, temere il giudizio degli altri, pensare sempre che qualcuno ci vuole male, essere tiranni con sé stessi o con le persone che ci amano. In questi casi emerge con più immediatezza la “particolarità” dei pensieri e degli atteggiamenti mentali malati.
Il livello e l'intensità del "disagio percepito" è un processo individuale molto intimo, rientra tra quegli elementi che caratterizzano la diversità umana. Ciò che per una persona è angosciante, per un'altra può essere semplice fastidio del vivere.
Il concetto e l’interpretazione della malattia fisica, varia da individuo a individuo. Malattia come perdita, malattia come punizione divina, malattia come tragedia esistenziale, malattia come isolamento sociale, malattia come imprevedibilità della vita. Per ognuna di queste ipotesi un livello di ansia o di angoscia diverso da persona a persona, perché diversa è la soglia della percezione del disagio. Lo stesso vale per il disagio psichico, dipende dal contesto in cui siamo cresciuti.
Sono svariati i tentativi di gestire il disagio psichico in maniera autonoma, sia farmacologicamente che con adattamenti patologici, che in ultima analisi sono condotte di evitamento di stabilire un contatto col disagio e con la conseguente sofferenza. Sto bene a condizione che "non devo rimanere da solo, "non devo prendere l'aereo o l'ascensore" "non devo parlare in pubblico" "non mi facciano complimenti" "dormo con la luce accesa" e via dicendo.
Benessere e Disagio sono 2 dimensioni del vivere con le quali ci confrontiamo quotidianamente, da tanti punti di vista: fisico, economico, sociale, politico, affettivo, emotivo, culturale, psicologico. Controlliamo le fonti del benessere, cosi come tutto ciò che lo può distruggere. La definizione di benessere è: “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale nella società” – Commissione Salute Osservatorio Europeo, cui partecipa il distaccamento dell’OMS – Conferenza Nazionale per la Salute Mentale tenuta alla Sapienza di Roma nel 2011.
Sono 10 milioni le persone che in Italia soffrirebbero di disagio psichico. Il 37,8% presenta disturbi della sfera affettiva, il 37% manifesta ansia, 5,8% somatizzazioni, il 3,6% impulsività e il 3,5% disturbi del sonno. Per un costo annuo enorme che copre il 10% della spesa del S.S.N. mentre la cura del cancro arriva al 6% e quella delle malattie cardiovascolari all’11%. Un costo sociale spaventoso.
Se benessere e disagio le immaginiamo come le due sponde del fiume della vita. Su quale sponda abbiamo trascorso più tempo? Nasce qui il fattore personalità, nella possibilità che ci è stata data di immagazzinare esperienze positive, nelle modalità con la quale siamo stati esposti o protetti dai traumi, nel modo con cui ci hanno aiutato ad interpretare il mondo.
Il fiume della vita a volte è stagnante, altre volte scorre lento, altre ancora è impetuoso e travolge tutto. Succede che dalla sponda del benessere ti ritrovi su quella del disagio e non te l’aspettavi, oppure ti ritrovi nel bel mezzo del fiume e non ti aspettavi nemmeno questo. Si chiama imprevedibilità della vita.
La psicoterapia, quindi è po’ salvagente, un po’ maestro di nuoto.
Inizialmente impari a stare a galla. Succede quando inizi a non avere più paura del sintomo, quando inizi a controllarlo. Ma la psicoterapia deve condurre alla libertà ed è per questo che insegna a nuotare nel mare della vita.
La psicoterapia ha una finalità riabilitativa, rendere le persone consapevoli della creazione del sintomo e rimuovere le resistenze che lo alimentano. Quindi libertà dai sintomi e stabilizzazione del benessere.
Le distorsioni culturali del disagio psichico sono: Il segreto e la vergogna. Interpretare il sintomo come malattia e non come unica soluzione/risorsa al momento disponibile. Il problema non è nel sintomo ma in ciò che lo mantiene attivo. Cercare fuori di noi il responsabile del nostro malessere.
Le distorsioni culturali del benessere psichico sono: Insegnare ai bambini che l’affetto è direttamente proporzionale al valore dei regali che si ricevono. Impedire il contatto con la sofferenza, conseguenza di atteggiamenti iperprotettivi. Anticiparli nella lettura di bisogni e desideri, si corre il rischio di creare uno scollamento col mondo emotivo.
Promuovere la cultura della psicoterapia vuol dire promuovere il diritto alla psicoterapia per tutti.
L’istituzione dello psicologo di base, quindi l’accesso facilitato alla psicoterapia, modificherebbe senz’altro la percezione che oggi comunemente si ha della stessa. Per promuovere la diffusione dell’aiuto psicologico abbiamo bisogno di creare alleanze con le altre professioni del benessere: medici di base, pediatri, geriatri, avvocati, pedagogisti.
In terapia le persone devono sperimentare la libertà di entrare in contatto con le esperienze dolorose della loro vita senza ingoiare e senza trattenere dentro.
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