La duplice natura dell’uomo
Per quanto possa sembrarci strano, e talvolta inaccettabile, all’interno del nostro essere convivono due nature: quella propriamente umana, “terrena”, e quella divina, “celeste”. La prima natura si radica fondamentalmente nel corpo, nella concretezza, nelle emozioni, nei pensieri e in tutto ciò che riguarda la nostra vita attiva. Essa è di per sé espansiva, cioè tende a realizzare e costruire “cose”, materia tangibile, la cui trasformazione sia visibile e condivisibile da parte di tutti gli esseri umani.
I bisogni che questa natura deve soddisfare sono: la sopravvivenza, attraverso il cibo e le altre funzioni fisiologiche, la sessualità, l’affettività, l’appartenenza, la stima; attraverso il soddisfacimento dei quali alimenta la sua esistenza, cresce e si espande per l’appunto. Questa natura, presa da sola, non è autonoma, in quanto dipende per la sua sussistenza da una fonte esterna di nutrimento; essa esiste in quanto “ha” collezionato oggetti, in quanto ha conquistato posizioni; di conseguenza, è attaccata ai suoi raggiungimenti e ha paura di perderli.
In ultimo, ha paura di perdere la vita, intesa come corporeità e presenza sulla Terra. L’uomo terreno è perciò naturalmente radicato nella speranza di prolungare all’infinito la sua esistenza terrena, con uno sforzo costante di scongiurare la finitudine, le cui manifestazioni più evidenti sono: il mito dell’eterna giovinezza, i trattamenti antirughe, i grattacieli, la notorietà e le star di Hollywood, e mille altre cose che giustificano il lavoro di migliaia di rotocalchi e programmi televisivi.
La nostra natura terrena ha una sua concezione del tempo, che è per lo più lineare e scandito dalle tappe dello sviluppo e dal susseguirsi delle stagioni. Ha un punto di inizio, coincidente con la nascita, e un punto di fine, coincidente con la morte. In base a questa visione del tempo, la vita viene suddivisa in almeno tre parti: età evolutiva, solitamente identificata come il periodo della crescita; età di mezzo; vecchiaia, intesa come periodo di decadimento. Due atteggiamenti opposti scaturiscono spesso da questa concezione di tempo: quello di chi si attiene rigidamente allo schema lineare del tempo, e rispetta i passaggi dello sviluppo nel modo inteso dal pensare comune, oppure quello di chi nega a oltranza tale struttura dell’evoluzione umana e rifiuta ad esempio di invecchiare, spesso in questo aiutato dalla moderna tecnologia, medica e non. La natura divina dell’essere umano è, all’opposto, contrattiva, cerca il silenzio e la meditazione e tende a realizzare qualità sottili, spesso impercettibili alla mente razionale; non è materiale, bensì spirituale; si radica nella dimensione spirituale, la parte più alta dell’individualità, oltre il corpo e la mente, e trova la sua forma più perfetta nella vita contemplativa.
Pur non essendo identificata con il corpo, con le emozioni e con i pensieri, tuttavia li utilizza come veicoli della sua espressione nel corso della vita terrena; si palesa attraverso le intuizioni, spesso durante il sonno e in situazioni di crisi interiore e, talvolta, nei momenti comunemente classificati come “depressivi”. Le sue caratteristiche sono la durevolezza, l’imparzialità e qualità etiche come la pazienza, l’umiltà e l’onestà. La sua natura è non giudicante, equanime e amorevole. Il suo bisogno fondamentale è la realizzazione della sua natura, ovvero l’autorealizzazione. È autonoma e la sua sussistenza non dipende da fonti esterne di soddisfacimento.
In quanto tale, si radica nel non attaccamento e non è dominata dalla paura. Il tempo della natura divina è costituito dall’essere eternamente presente, è l’istante senza tempo che essenzia l’eternità, un tempo che non ha né inizio né fine. Pertanto, tale natura percorre le tappe dello sviluppo senza esserne sconvolta né condizionata, non invecchia né muore, mantiene intatta una perenne gioia fanciullesca, fonte della vera giovinezza senza fine.
Come si manifestano le due nature
Mentre la natura divina è sempre presente, pur se non riconosciuta, durante tutto il corso dell’esistenza umana, la natura terrena si costituisce intorno ai 3-5 anni di età e continua a svilupparsi nell’età evolutiva, fino all’adolescenza, dove raggiunge il suo apice. La natura divina diviene manifesta spesso quando la persona, avendo raggiunto lo stadio evolutivo dell’io maturo, comincia a sperimentare la piena fase espansiva dell’io e viene risvegliata, spesso bruscamente, alla natura divina attraverso crisi spirituali o eventi luttuosi e traumatici. Qualcosa comincia allora a nascere dentro di sé, una specie di voce interiore, che richiama alla necessità di dare un senso nuovo alle cose, agli eventi, in quanto questi hanno perso in parte o del tutto il loro fascino e interesse. Comincia allora il cammino verso la scoperta della propria natura interiore, che spesso si manifesta come ricerca spirituale o religiosa.
La sfida dell’uomo
La sfida di ogni essere umano, nella sua esistenza terrena, consiste nel saper coniugare la sua duplice natura e nel far sì che la natura terrena si conformi e si allinei a quella divina e sia a questa subordinata. Lo scopo principale di ogni vita umana è quello di scoprire la vocazione della propria anima, di accettarla e di seguirla con tutta la propria volontà ed energia. Afferma la Mundaka Upanisad: “Due uccelli, l’un l’altro compagno, dimorano assieme sul medesimo albero. L’uno si ciba dei vari frutti; l’altro, senza mangiare, con lo sguardo tutto abbraccia”. Il primo dei due uccelli rappresenta l’io, cioè l’agente della natura terrena, ed è colui che opera nel mondo, che si ciba dei vari frutti. Il secondo invece è simbolo del Sé, l’essenza della natura divina dell’uomo, ed è immobile osservatore; nella sua immobilità, osserva il mondo della manifestazione con un’attitudine distaccata (“senza mangiare”), amorevole e comprensiva, “abbraccia” tutto, per l’appunto, in modo sottile, con il solo sguardo.
Psicoterapia e meditazione: due scienze per la cura dell’essere umano
Poiché l’uomo è un essere in cammino, spesso inciampa e si fa male. Non è affatto strano, quindi, che in tali frangenti venga aiutato a rialzarsi, facendosi curare le sue ferite. Essendo egli vulnerabile a varie affezioni e infermità, in ogni parte del suo essere, nel fisico, nella mente e nello spirito, ogni livello di ferita va curata dal giusto medico, ovvero dalla scienza appropriata, adeguata a quella necessità. Per disordini di tipo emotivo e mentale, la scienza più appropriata è senz’altro la psicoterapia, la quale è in grado di portare la persona sofferente a un livello di consapevolezza delle proprie relazioni interne e a superare squilibri emotivi e anche correggere il pensiero, in modo che diventi più positivo, assertivo e ordinato.
Nel campo spirituale, in quell’area della persona che è carente nel bisogno di autorealizzazione, ovvero quando la persona anela alla crescita interiore, la meditazione è la scienza di elezione. Apparentemente, psicoterapia e meditazione non hanno nulla in comune, l’una può esistere senza tenere conto dell’altra. Agli inizi della sua attività, Laura Boggio Gilot affermava: “la psicoterapia non ha bisogno della meditazione e la meditazione non ha bisogno della psicoterapia, ma l’uomo ha bisogno di tutte e due”. Ora, in una fase più avanzata della sua ricerca, arriva a sostenere che la meditazione ha bisogno della psicoterapia, in quanto questa possiede gli strumenti necessari per curare i conflitti della personalità e il narcisismo, il principale fattore di impedimento nell’ascesi spirituale . Questo vale soprattutto per quell’uomo che è stato risvegliato o che sta per essere risvegliato, o che vorrebbe essere risvegliato alla sua natura divina, ma non ha ancora risolto i conflitti insiti nella sua natura terrena.
Questi infatti avverte la spinta verso la natura divina, tuttavia è intrappolato dalle limitazioni imposte dalla natura terrena e pertanto non riesce a percorrere il cammino di crescita interiore. Questa “terra di mezzo” di solito dura per tutta l’esistenza terrena di una persona; infatti, è altamente probabile che a fare un cammino di crescita interiore sia un individuo irrisolto, conflittuale, quindi bisognoso di cure a livello psicologico, talvolta per lungo tempo. È necessaria dunque una psicoterapia che riconosca all’uomo, come parte di sé, la natura divina, quindi una psicoterapia che sia consapevole di avere una funzione importante nell’esistenza di una persona, quella di accompagnarla e renderla pronta per un cammino spirituale. In termini più specifici, una psicoterapia che sappia preparare l’io in modo tale da renderlo recettivo alla natura interiore, affinché esso non neghi tale natura e sia disposto ad abbandonare parte del suo narcisismo per lasciare spazio alle qualità superiori. È altresì necessario che la meditazione lasci lo spazio adeguato alla psicoterapia in quei campi che le sono di pertinenza, cioè nella guarigione dell’io, per consentirne la piena espressione.
Se la meditazione vuole avere come fine quello dell’abbandono dell’io, allora la nuova formula, in cui psicoterapia e meditazione siano accostate, potrebbe essere la seguente: “abbandonare l’io solo dopo averlo portato a compimento”, con la consapevolezza del fatto che si può trascendere solo ciò che si è assunto pienamente. In quest’ottica, risulta evidente la necessità e l’importanza di accostare psicoterapia e meditazione, nelle quali l’una non sia ancella dell’altra, ma insieme contribuiscano a coniugare la duplice natura dell’uomo.
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