Da tale premessa ci si può chiedere:
come si raggiunge il benessere? E perchè può essere difficile sentirsi felici? Il benessere equivale a felicità? Il benessere è possibile solo in assenza di dolore fisico/psicologico?
Insomma Essere e Benessere purchè non sia malessere?
In realtà tutto ciò non basta perchè queste sono prospettive edoniche, cioè riguardano solo la sfera soggettiva/personale di una Persona: in tale ottica il benessere coincide strettamente con il proprio piacere e con la propria felicità, quindi con il soddisfacimento, quasi immediato, di propri bisogni e desideri.
Invero c'è un'altra forma di felicità, che deriva dalla società della polis (spazio comune, condivisione): la prospettiva eudaimonica in base alla quale la felicità viene accostata al concetto di benessere intendendolo non come uno stato/risultato finale, quanto piuttosto come un processo di realizzazione personale.
In tale prospettiva il benessere è raggiungibile vivendo secondo il proprio “vero modo di Essere”, in modo autentico, svolgendo attività profondamente congruenti ai propri valori ed al proprio Esser-ci (Essere nel mondo) ed in grado di impegnare e coinvolgere in modo globale così da farci sentire intensamente vivi ed autentici.
In tale prospettiva il benessere è raggiungibile vivendo secondo il proprio “vero modo di Essere”, in modo autentico, svolgendo attività profondamente congruenti ai propri valori ed al proprio Esser-ci (Essere nel mondo) ed in grado di impegnare e coinvolgere in modo globale così da farci sentire intensamente vivi ed autentici.
Essendo l'Essere umano per natura stessa gettato e pro-gettato verso e con gli Altri ed il mondo, è chiaro che il benessere di ogni Persona è inevitabilmente e significativamente correlato anche con il bene comune e con la società. L'idea di fondo è quindi che non è possibile star bene con se stessi se non si sta bene anche con gli altri poichè “si è, si esiste in quanto gettati verso gli altri e verso aperture di mondo e possibilità dazione” (Martin Heidegger).
Questo modo di intendere il benessere è ben comprensibile ed applicabile anche all'epoca contemporanea in cui abbiamo esperito e vissuto in un contesto di pandemia: io posso star bene, ma se fuori, nel mondo, tutto parla di malattia o di rischi sto male anch'io.
E possibile che non ci si accorga del proprio malessere?
La domanda andrebbe capovolta: è possibile che non ci si accorga del proprio benessere?
Può accadere che vi sia una assuefazione al benessere perchè a volte il benessere “viene dato per scontato” anche a causa del suo carattere “monotono” (in senso etimologico del termine, mono - tono): qui accade una cosa interessante cioè se un accadimento/imprevisto esistenziale irrompe nella nostra esistenza interrompe questo fluire monotono che può accompagnare la vita e crea “un prima ed un dopo” ed è proprio in quel dopo che ci si accorge di quanto bene si stava prima.
Il benessere è uno stato d'animo che non è “on-off”, acceso-spento, è piuttosto un continuum i cui estremi sono un significativo benessere ed un significativo malessere; quando si è nei due estremi è praticamente impossibile non accorgersi del nostro stato di star bene o star male. Quando invece siamo lungo il continuum, lo stato di benessere può essere dato per scontato e poi eventi come per esempio la pandemia o un lutto ci fanno capire l'importanza dello stato d'animo pregresso.
Ma si può allora misurare lo stato di benessere? Cioè possiamo capire se stiamo bene?
Sempre l'OMS ha messo a punto un questionario a cinque domande: alcune domande un po più fredde/cognitive/valutative, altre domande un po più calde/emotive legate alle emozioni, ai sentimenti che esperiamo ogni giorno.
Un esempio di domanda più cognitiva è: nel corso delle ultime due settimane la mia vita di tutti i giorni è stata piena di cose che mi interessano; le risposte variano da sempre a mai con un gradiente intermedio di altre quattro risposte.
Un esempio di domanda più emotiva è: nelle ultime due settimane mi sono sentito bene/allegro ed anche qui le risposte variano da sempre a mai con una scala graduata nell'intermezzo.
Si tratta naturalmente di questionari e quindi presentano certamente dei limiti e non possono coincidere totalmente, proprio per la loro natura intrinseca, con quella sensazione di benessere personale che, quando la si avverte, non è possibile non rendercene conto.
Diversi studi dimostrano inoltre che
lo stato di benessere è riconducibile
ad atrofia (“spegnimento”) delle aree del cervello adibite ad emozioni spiacevoli e collegate a stati depressivi.
In realtà il benessere, proprio perchè stato d'animo, non è però solo riducibile a questa o quell'area del cervello e difficilmente è comprensibile solo con delle domande standardizzate e oggettive (D.Liccione., 2020).
In linea generale si può affermare che il malessere sussiste ogni qualvolta si avverte dipendenza, limitazione, con-fusione, immobilità, non – Esser-ci. Il malessere si può manifestare con:
- sintomi fisici (cronici o invalidanti) come: aumento o diminuzione di peso, astenia intesa come sensazione di stanchezza e debolezza generale, mancanza di energia, difficoltà di attenzione e concentrazione, sonno irregolare (difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni, insonnia), nausea, vertigini;
- sensazioni di insoddisfazione generale, irritabilità, agitazione, irrequietezza, stanchezza eccessiva o mancanza di concentrazione;
- stati emotivi dolorosi come profonda incertezza, inadeguatezza, impotenza, vergogna, colpa, inutilità, tristezza, rabbia, timore, paura;
- negatività pervasiva: pensieri ossessivi ed ansiosi, sfiducia generale, atteggiamento di ruminazione e lamentosità che mantiene ad alimenta la sofferenza.
BENESSERE COME ESSERE AUTENTICI
La conversazione con uno psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo neurospicologico
diviene, qualunque sia la forma di percezione di perdita o assenza di benessere, un percorso di riflessione sulla propria esistenza, sul proprio Essere nel mondo, sul volersi bene, sull'aver cura di sé e sulle proprie aperture di mondo/possibilità esistenziali.
L'aiuto offerto dallo psicoterapeuta, proprio perchè formato sulla propria e personale esistenza, si ripercuote nell'esistenza del paziente per orientarlo verso una forma migliore, compiuta, autentica. Il concetto di autenticità è un concetto che deriva da Martin Heidegger: sei davvero tu quello che vuole questo o quello oppure stai seguendo il “si dice”, “il si deve fare così”, “il ci si deve comportare in questo modo”?
Lo psicoterapeuta ha cura del paziente per comprendere assieme a lui in quale apertura di mondo si sente pienamente se stesso, in quale sfera di mondo sente veramente lo stato emotivo del benessere ed ha quindi piena soddisfazione di sé e del proprio potenziale, in modo autentico.
Ogni paziente è un individuo e i suoi modi esperienziali (di vivere), che siano patologici o meno, sono sempre mediati dalla propria ed unica storia di vita.
Non è possibile comprendere unassenza di benessere o un disagio psicologico attraverso la sola categorizzazione dei sintomi.
Ad esempio, definire una persona “ansiosa”, “depressa” ecc, nulla dice dei suoi specifici modi di Essere (cause e mantenimento della sofferenza).
Un disturbo di natura ansiosa, depressiva o altro, non è una semplice somma di sintomi e non è neppure solo l'effetto di qualche pensiero disfunzionale.
La modalità di manifestazione del disagio psicologico e dell'eventuale patologia sono ogni volta l'effetto di un sentir-si esperienziale veicolato dalla propria ed unica storia di vita e dalle specifiche aperture di possibilità.
Soltanto attraverso l'analisi dell'esperienza della singola Persona, intesa come Individuo unico ed irripetibile, che viene svolta assieme e con il terapeuta, si può cogliere quello specifico e personale disagio emotivo/assenza di benessere ed avviare così un progetto di sostegno e cura autentica.
Dr.ssa Valentina Berto Psicologa e Psicoterapeuta
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