"Anche i fiori hanno le spine?"
"Si. Anche i fiori hanno le spine".
"Ma allora le spine a che cosa servono?
"Le spine non servono a niente, è pura cattiveria da parte dei fiori".
"Non ti credo! I fiori sono deboli. Sono ingenui. Si rassicurano come possono. Si credono terribili con le loro spine..."
Il Piccolo Principe, Antoine De Saint-Exupèry
Vedo Andrea per la prima volta nel letto di un reparto di psichiatria. Rimane sdraiato mentre parla con i medici, è agitato, urlando dice di non essere malato, né paranoico, vuole solo andare via dall’Italia, all'estero, dove si sente compreso e accettato. Qui non si fida di nessuno. Tantomeno dei medici.
La psichiatra dopo aver cercato di tranquillizzarlo ci presenta, gli anticipa che per la durata del suo ricovero potrà fare dei colloqui con me se ne avrà voglia. Mi guarda. Mi dice che lui è disponibile, in qualsiasi momento della giornata.
Ci diamo un appuntamento. Ma dentro di me sono stupita, mi aspettavo un rifiuto da parte sua, dopo aver udito le sue frasi.
All’ora stabilita Andrea entra nello studio, si siede di fronte a me, mi chiede se può sapere la mia età. Gli rispondo che probabilmente teme che io sia più giovane di lui. Andrea annuisce.
Con Andrea sarà sempre così per tutta la durata della nostra relazione. Un continuo mettermi alla prova per testare la mia capacità di tollerare i suoi attacchi. E non solo credo. Andrea era terribilmente spaventato da se stesso, dalle sue “spine” che credeva fossero mortali per sé e per gli altri. Aveva bisogno di capire se qualcuno era disposto a farsi pungere da queste spine, senza scappare terrorizzato.
Andrea ha 37 anni è un ragazzo intelligente, brillante, con una buona proprietà di linguaggio. Nei colloqui è molto collaborante perché “li deve fare” ed ogni volta arriva da me con “l’argomento del giorno”. I primi istanti mi sembra fuori luogo in un reparto di psichiatria.
In realtà Andrea aldilà delle apparenze e del “vestito” che indossa ha una psicosi molto grave, con una grande paranoia, ed un vissuto persecutorio nei confronti del mondo esterno. Per Andrea sono tutti nemici: genitori, amici e medici. Vogliono tutti rovinargli la vita.
Credo che questo vestito che si è cucito addosso gli serva per contenere tutti quegli aspetti di sé che sente così spaventosi, per cercare di non andare in pezzi.
La vita di Andrea è stata molto dolorosa e costellata di episodi di rifiuto e di espulsione che, come dice Bion, sono stati vissuti come lutti, e ne è rimasta traccia sottoforma di detriti.
I suoi genitori sono affidatari.
Nei colloqui Andrea mi racconta che sua madre non l’ha mai accettato davvero, era sempre intrusiva e controllante nei suoi confronti. Lo picchiava spesso e lo insultava.
Lui rubava i soldi dai loro portafogli, comprava gomme colorate in cartoleria per barattarle con le merendine dei compagni, perché sua mamma gli dava solo un frutto per merenda. Era un piano studiato per poter avere attenzione dai compagni. Avrebbe potuto comprare direttamente le merendine, invece per instaurare una relazione con i coetanei e per essere cercato aveva escogitato questo piano. Mi spiega che lo faceva per “esistere” perché nessuno lo ha mai cercato solo per il piacere di stare vicino a lui.
Quando mi riporta queste parole rimango colpita. Percepisco tutta la sua sofferenza per il suo passato. Cercava disperatamente qualcuno che gli riportasse attraverso la relazione degli aspetti di sé.
Un po’ come succede da piccoli con la mamma, che è lo specchio delle emozioni del figlio. Attraverso la mamma viene restituito al bambino qualcosa di sé. Un po’ come facciamo anche noi con questi colloqui.
Poi mi racconta un episodio che irrompe nella nostra relazione come un’esplosione. Forse perché né io né lui eravamo preparati.
Infatti dopo qualche colloquio Andrea mi annuncia che vuole raccontarmi un episodio della sua vita in cui si è sentito sia vittima che carnefice. Un episodio che ha cambiato la sua vita, accaduto durante la pubertà. Mi dice che se ne vergogna parecchio. Mi spiega di aver avuto dei contatti affettuosi e di natura sessuale con un bambino molto piccolo, amico di famiglia. Vedeva questo bambino sempre coccolato, tenuto in braccio, accarezzato, e lo invidiava molto.
Mi spiega che non l’ha fatto in modo completamente consapevole, cercava solo un contatto, una relazione.
Tutte le azioni “devianti”, come le chiama Andrea, le ha fatte con lo scopo di sentirsi qualcuno, di farsi cercare ed ammirare per qualche cosa. Le ha fatte per sentirsi “vivo”. Lui rubava, saltava la scuola, faceva disperare i suoi genitori. Ma ha ricevuto solo botte. Mentre cercava attenzioni.
Verso i 20 anni è partito per un paese straniero dove ha studiato e trovato un lavoro, lì si sentiva accettato, e per un periodo si è sentito anche amato, durante una relazione con un ragazzo del posto. L’Italia gli ha fatto passare anni d’inferno invece. In questo paese non si trova bene, la gente gli è ostile, i suoi genitori li sente lontani, lo rifiutano e lo “cacciano” in reparto psichiatrico additandolo come paranoico. In realtà lui dice semplicemente ciò che pensa. I suoi genitori non l’hanno mai amato e qui ormai non ha più nulla, non vuole nemmeno avere legami, vuole solo andarsene.
La storia di Andrea, è la storia di un ragazzo che convive da anni con una patologia come la schizofrenia. Un ragazzo che periodicamente ha fasi acute di deliri e deve necessariamente essere ricoverato per stabilizzarsi. Un ragazzo con un passato sofferente e difficile, come spesso hanno persone affette da questo disturbo. Con una sofferenza tale dentro sé, che la mente non è riuscita a contenerla ed è andata in pezzi. Schegge di pensiero che in alcuni momenti partono impazzite e generano pensieri poco aderenti alla realtà.
Andrea ha un disperato bisogno di sentirsi accolto e ri-conosciuto nella mente di un'altra persona, esattamente come fa la madre con il suo figlio neo-nato. Il suo pensiero necessita di contenimento da parte dell'altro, che, esattamente come nel percorso di crescita, deve guidarlo camminandogli accanto, facendogli sentire sempre la sua presenza emotiva.
Non ho più rivisto Andrea. E' stato dimesso, ha ricominciato la sua vita fuori da questo “acquario” quale è un reparto di psichiatra. Ogni tanto lo penso. E spero che abbia trovato una buona terapeuta capace di riconoscergli la sua esistenza. Un po' come la “madre sufficientemente buona” di cui parla Winnicott: una madre in grado di restituire metabolizzate le emozioni del figlio ed in grado di bonificare i suoi stati di allarme e paura, e che, gradualmente lo aiuta a sopportare i momenti di frustrazione.
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento