EMOZIONI DA CORONAVIRUS
Con questo articolo, desidererei condividere alcune brevi considerazioni sul “clima emotivo” che si è creato nelle ultime settimane, allo scopo di offrire alcune suggestioni in base alla mia esperienza come professionista a contatto con i vissuti che l’attuale periodo sta evocando.
Come Psicologa, infatti, sto partecipando all’iniziativa del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) #psicologionline, che permette di mettere a disposizione la propria linea telefonica al servizio dell’emergenza psicologica, rispondendo a quanti, contagiati e non dal Covid-19, sentono la necessità di depositare in uno spazio protetto le loro emozioni in merito a ciò che sta succedendo.
Dalla lettura di articoli, dalle notizie apprese dai telegiornali e dal contatto diretto con le persone in difficoltà, sembra proprio che, nel momento storico incisivo che stiamo vivendo, gli effetti collaterali del Coronavirus siano soprattutto le nostre emozioni.
Si tratta di vissuti complicati da gestire, che possono diventare contagiosi e che talvolta ci ritroviamo come “delle bombe nelle nostre mani pronte a esplodere” provocando confusione e sconforto: si tratta di paura, rabbia, dolore, frustrazione, impotenza.
Queste emozioni, possono scatenare reazioni che vanno dal voler agire ad ogni costo ed uscire da casa, al negare o sottovalutare l’emergenza assumendo atteggiamenti di disinteresse o indifferenza a ciò che accade.
La difficoltà, attualmente, sembra essere quella di trovare una posizione intermedia, un equilibrio tra le nostre emozioni, i nostri pensieri e le nostre azioni.
Nessuna emozione è di per sé distruttiva, tanto dipende dall’intensità con cui viene provata, ad esempio, in questo momento di allerta, la prima emozione che può sorgere è la paura, che serve per attivarci e disporci in uno stato di allerta, allo scopo di utilizzare al meglio le informazioni sui comportamenti precauzionali ma può anche diventare distruttiva, se percependola con grande intensità lasciamo che prenda il sopravvento.
Inoltre, la paura può diventare persecutoria e trasformarsi in ipocondria se non è mediata dal pensiero e accompagnata dalla corretta informazione.
Il diffondersi del contagio può indurre anche una considerevole rabbia, sia riguardo all’ingiustizia di trovarsi in questa situazione sia contro chi non rispetta i comportamenti dettati dai decreti ricadendo sulla salute delle altre persone e la rabbia può condurre all’impotenza, quando si diventa consapevoli dei limiti che abbiamo rispetto al fenomeno in atto.
Inoltre, le coabitazioni forzate e le innumerevoli e ripetute rinunce che restringono le possibilità di creare e proteggere un proprio spazio nella quotidianità sembrano provocare frustrazione che può incontrare il dolore e la sofferenza nei casi di perdita dei propri cari o di posizioni lavorative guadagnate con tanta fatica.
Sembra che la popolazione italiana abbia assistito progressivamente all’avanzare di un “mostro” sconosciuto che, assumendo gradualmente contorni più definiti, si è impossessato di tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Si desidera, a tal proposito, far riferimento a uno studio condotto allo scopo di esaminare e classificare i sentimenti del popolo italiano nelle ultime quattro settimane di isolamento dalla comparsa del Covid-19 in Italia,
Il monitoraggio ha permesso di conoscere l’evoluzione delle emozioni giorno dopo giorno ed è interessante notare che, se nelle prime tre settimane si assiste a una prevalenza di emozioni negative (con una percentuale del 54,9 %) su quelle positive, negli ultimi giorni la situazione sembra cambiare.
Durante le prime settimane, nella classifica delle emozioni ritrovavamo la paura e la sofferenza rispettivamente al primo e al secondo posto e la tristezza al terzo. È possibile che il sentirsi impreparati davanti a un così grande cambiamento da gestire abbia prodotto non poche sollecitazioni emotive negative. Dopo la tristezza sono state rilevate la repulsione verso il virus e l’ansia. L’empatia si trovava all’ultimo posto.
Probabilmente, la ragione per cui l’empatia non risultava tra i primi sentimenti provati dalla popolazione, risiede nel fatto che l’avvento di “un ignoto da combattere” abbia attivato una maggiore preoccupazione e concentrazione su se stessi piuttosto che produrre sentimenti di solidarietà e attenzione verso la collettività che, d’altra parte, avrebbero dato luogo fin dal principio alla riduzione di comportamenti a rischio.
Negli ultimi giorni, invece, con la crescita di nuove consapevolezze rispetto al virus e con la scoperta di risorse personali impiegate per adattarsi alla situazione, compaiono sentimenti di maggiore fiducia e razionalizzazione del fenomeno, che spingono una buona parte del popolo italiano a concentrarsi su aspetti positivi, quali il ritrovamento del contesto familiare, la creatività e una maggiore responsabilità nel mettere in atto comportamenti salutisti, come sguardo verso l’altro.
Inoltre, vorrei suggerire quanto sia importante riconoscere che è normale sentirsi confusi, tristi, arrabbiati e spaventati e che bisognerebbe legittimarsi nel provare tali emozioni, poichè abbiamo incontrato una realtà che non si conosce fino in fondo e sulla quale non si può avere il controllo; oltre alla comprensione del fatto che si tratta di una situazione temporanea è fondamentale, quando si provano tali emozioni, imparare a distinguere da quali fonti esterne sono provocate. Può essere utile ricordare a noi stessi la capacità di resilienza che abbiamo mostrato nelle crisi precedenti organizzando, nel limite del possibile, il caos che sentiamo dentro.
Infine, potremmo pensare a questo periodo della vita come a un lungo intervallo durante un film nel quale, invece di andar via dalla sala, restiamo seduti nella nostra poltrona rossa a contemplare riflessivi ciò che ci accade intorno…aspettandone la ripresa con la consapevolezza che non sappiamo cosa aspettarci dalla seconda parte del film.
Come ogni intervallo è parte di un film e può divenire uno spazio di elaborazione, anche questa quarantena è parte della nostra vita ed escluderla da essa significherebbe non viverla.
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