Quando subiamo esperienze che si appaiono inquietanti, queste sono immagazzinate nel nostro cervello, con tutto il loro insieme di immagini, suoni, odori, sensazioni, convinzioni... A volte queste informazioni sono frammentate o incomplete, spesso alcune parti sono rimosse o non inserite nella memoria episodica, semantica. Come sanno bene coloro che si occupano di Psicologia dell'emergenza. Prima ancora che esistesse questa definizione, esistevano già protocolli specifici per aiutare gli operatori dell'emergenza, vittime di eventi traumatici, medici, a prevenire il burn-aut o il PTSD. Ricordiamo che “un’emergenza è un evento che minaccia, o effettivamente rischia, di danneggiare persone o cose” definizione congiunta del Federal Emergency Management Agency (FEMA) e del Emergency Management Institute.
Sono applicati in molti paesi europei e rientrano nelle buone pratiche indicate dalla Comunità europea. I principali strumenti di riduzione del “danno” da esposizione a forti stressor, sono il defusing e il debriefing, che sono protocolli per lagestione dello shock emotivo.
Strumenti adatti a integrare le informazioni parcellizzate, a creare una narrazione condivisa, a tradurre in linguaggio contenuti emotivi. Sono in grado di stimolare la capacità di coping – concetto che può essere tradotto con “fronteggiamento”, “gestione attiva”, “risposta efficace”ed indica l’insieme di strategie mentali e comportamentali che sono messe in atto per fronteggiare una certa situazione – , permettono una migliore gestione delle esperienze negative riguardo all'accaduto, infine consentono di individuare soggetti a rischio di sviluppare un PTSD. Sono insomma strumenti di “disinnesco” delle bombe emotive che alcune esperienze o interventi lasciano nei soggeti coinvolti. Non a caso sono rivolti specialmente a: vigili del fuoco, forze dell'ordine, militari, volontari, medici e infermieri, vittime di sequestri, rapine.
Il defusing è uno strumento non terapeutico, è appunto un “primo intervento” pensato per dare risposta ai bisogni specifici in fase iniziale: presenza, sostegno, ascolto, conforto, confronto, non necessita di specialisti ma solo di persone formate o con molta esperienza (caposquadra, volontari, colleghi).
Il debriefing è sempre un dispositivo di intervento d'urgenza ma viene attuato in una fase successiva al defusing. E' un intervento strutturato, effettuato da due a quattro giorni dopo, in un luogo diverso e tenuto da specialisti della salute mentale, coadiuvati da membri del gruppo. Ha una durata maggiore, è maggiormente centrato sull'espressione della sofferenza e all'evitamento della traumatizzazione, stimola: la descrizione ed elaborazione cognitiva, la consapevolezza delle reazioni, l'identificazione delle risorse, la normalizzazione, la pianificazione del futuro.
Da alcuni anni sia sul campo che nella fase successiva del trattamento di vittime e soccoritori, è entrato in scena un altro strumento che può essere adattato sia come “pronto soccorso emotivo” oltre che metodo psicoterapeutico vero e proprio. Si tratta dell' EMDR, una metodologia scoperta da Francine Shapiro nel 1989, il primo libro “Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Guilford Press” è del 1995, che è stata immediatamente sottoposta a sperimentazione e ricerca.
L’EMDR è centrata sui meccanismi di stoccaggio e di trattamento dell'informazione, quest'ultima può essere funzionale o disfunzionale. Benché la teoria in senso stretto non ricopra un ruolo centrale in EMDR, la mole di ricerche che ha iniziato e stimolato (presenti in numerose pubblicazioni scientifiche) a indotto molti psicologi e ricercatori ad interessarsi sia ai protocolli clinici sia al funzionamento neurologico, principalmente al legame esistente tra parte emozionale e parte cognitiva, oltre al ruolo svolto dalle sensazioni corporee nel fissarsi dell'informazione mnestica.
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