Camilla, già dal febbraio 2011, chiede di poter ricevere sostegno psicologico poiché si trova in un doloroso stato disforico dovuto alla separazione – di fatto e non legale – dall’ex marito, invaghitosi di una dipendente e andatosene di casa.
La donna si trova nella difficile condizione di dover crescere da sola le due figlie di 17 e 19 anni, nella casa enorme che il coniuge, decisamente benestante, le ha fortunatamente lasciato a disposizione. Riporta di sentirsi triste soprattutto perché non riesce più a fare le cose che prima le piacevano – leggere, ascoltare musica, sentire poesie – e passa gran parte del giorno a piangere.
Aprile 2011
Col passare del tempo e delle sedute, Camilla progressivamente si apre, e trova conforto dal sostegno psicologico, dall’ascolto, dalla proposta di una visione diversa di se stessa e della sua realtà.
Nel giro di un paio di due mesi comincia a riprendere le attività che la gratificavano, riscoprendo il piacere della lettura, della musica, della poesia, del giardinaggio, dell’accudimento amorevole alle figlie.
La rabbia che inizialmente sembrava covare depressivamente verso se stessa, viene finalmente rivolta contro l’ex marito, dipinto come un sociopatico narcisista, un eterno adolescente che deve sempre essere sulla cresta dell’onda, alla ricerca di limiti, perennemente pronto a sfide con la velocità in moto o in barca. Addirittura Camilla pare intravedere un lato dissociativo in quest’uomo, che si ripresenta talvolta a casa della moglie e delle figlie, a volte con fare estremamente violento, a volte con atteggiamento implorante, e non sempre appare in grado di ricordare che cosa ha effettivamente fatto nei diversi stati d’animo. Pare non capire perché la sua doppia vita di marito – un ruolo che a volte sembra disposto a riprendere – e di amante siano così in contraddizione; in ogni caso, Camilla sta perdendo l’atteggiamento inizialmente dipendente dal coniuge: ha capito che può costruire la propria felicità basandosi unicamente su se stessa anziché sulla presenza del suo ex; anzi, comincia ad aprirsi ad una nuova socialità.
Maggio 2011
Nel prosieguo delle sedute, Camilla dimostra di saper mettere in atto i cambiamenti positivi da lei stessa ipotizzati nei primi incontri: riprende definitivamente l’abitudine di leggere (molto!) sia letteratura che saggi che poesia, si dedica al jogging, alla floricoltura, alle amicizie, alle figlie. Sta letteralmente rifiorendo, ne è consapevole e grata; il marito invece sembra sprofondare sempre più, stando almeno a quanto riferito dalla donna, in uno stato depressivo, abbandonico, paranoide e forse apertamente dissociativo.
Le cose con Camilla sembrano insomma andare decisamente bene: forse troppo bene, tanto che mi chiedo se non tenti di distogliere volontariamente lo sguardo da un dolore che è ancora troppo forte per lei. Non a caso, durante una seduta, spende diverso tempo a parlare di un fratello che ha sempre avuto la tendenza a chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà. Mi chiedo se Camilla parli di lui per evitare di dire qualcosa che la riguarda invece in prima persona. Interrogata esplicitamente in proposito, con qualche difficoltà torna ad ammettere il dolore che ancora – ovviamente – la separazione le provoca.
La settimana dopo, Camilla non si presenta all’appuntamento: mi telefona cinque minuti prima, sconvolta, disperata; fra un singhiozzo e l’altro riesco a capire che ha avuto un’esplosiva crisi di ansia o panico dopo essere stata fermata per un controllo di routine da una pattuglia dei carabinieri. Mi ritrovo a pensare che il dolore non visto, di cui già si parlava due settimane fa, è esploso in tutta la sua virulenza di fronte ad un nuovo, inaspettato stop, successivo a quello della sua vita matrimoniale.
La seduta successiva, Camilla si presenta raccontando quanto le è successo la settimana scorsa, un episodio che mi ricorda le crisi isteriche della dame viennesi di fine ’800. Camilla descrive l’accaduto come una forma di “abuso di potere” da parte di una vigilessa, che le avrebbe sospeso la patente per 10 giorni (“controlli tossicologici”) dopo una crisi isterica (scambiata dalla vigilessa stessa per crisi epilettica) avuta da Camilla, fermata per una telefonata “fatta col vivavoce”. Capiamo che la crisi isterica è stata la reazione ad un altro “abuso di potere”, quello del marito che ha presentato (in modo descritto da Camilla come “fraudolento”) alla propria famiglia d’origine l’amante lo stesso giorno del suo compleanno, già festeggiato a pranzo con moglie e figlie: Camilla capisce che è ora di “chiudere i vestiti vecchi dentro l’armadio”, come le fa vedere anche un suo sogno, puntando finalmente a una separazione che il coniuge non si è ancora deciso a chiedere. Capiamo anche che questa crisi è esplosa perché davvero Camilla stava vivendo un momento di corsa maniacale, di incapacità di fermarsi a guardare un dolore che tuttora, com’è giusto, esiste; comprendiamo che la crisi è legata a un difficile rapporto con l’autorità, di fronte alla quale Camilla sembra incapace di trovare mediazioni: o schiaccia o viene schiacciata! Immaginiamo che questo possa risalire alla precoce morte del padre, che, proprio a causa del prematuro decesso, non ha potuto mettere alcun paletto alla Camilla adolescente, che così anche ora si trova a correre all’impazzata senza segnali direzionali, e senza poter capire quali sono le autorità da rispettare, quali quelle contro cui combattere, e quale il modo più funzionale per farlo. Pensiamo che un buon metodo per trovare modalità reattive più funzionali, e per disinnescare in partenza altre potenziali crisi isteriche, sia quello di apprendere la tecnica del training autogeno. I dubbi sull’utilità di questa tecnica in situazioni depressive vengono fugati dal fatto che Camilla non presenta praticamente nessuno dei sintomi elencati dal DSM-IV come indicativi di una depressione.
Giugno 2011
Ripercorriamo con Camilla le tappe relative al suo rapporto con l’autorità, chiedendoci da chi sia stata impersonata l’autorità dopo la morte del padre, avvenuta quando Camilla aveva 13 anni. Camilla mi racconta di un papà buonissimo, dolce, paziente: era certamente sua madre a dirigere in modo più ferreo la vita familiare. Ma Camilla individua altrove la fonte di quell’autorità di fronte alla quale ancor oggi non può far altro che soccombere o imporsi senza poter cercare un dialogo o un compromesso: Camilla ha vissuto infatti gran parte dell’infanzia e tutta l’adolescenza in un collegio di suore, e ricorda come le “religiose” avessero un atteggiamento rigido al limite – se non oltre il limite – del sadismo, con punizioni corporali e deprivazioni degne del film “Madeleine”. Camilla ricorda ad esempio lunghe ore trascorse chiusa per punizione dentro un armadio!
Iniziamo, come programmato, il training autogeno. Camilla sembra molto recettiva, entusiasta all’idea di potersi esercitare poi anche a casa. Durante il primo esercizio, focalizzato sulla pesantezza al braccio destro, avverte il braccio pesantissimo, lo visualizza come un blocco di cemento bianco, e sente molto calore in tutto il resto del corpo. Visualizza anche delle immagini, che fatica però a ricordare.
Durante la seduta successiva, Camilla mi racconta di aver iniziato a svolgere a casa gli esercizi di training autogeno: li ha effettuati con regolarità quasi ossessiva, tenendo il “diario” così come le era stato detto. Racconta di aver provato sempre, fin da subito, una grande pesantezza al braccio destro, ma di aver faticato enormemente a mantenere la concentrazione. Le “sensazioni psichiche” raccolte nel diario sono infatti un continuo ricorrere di “pensieri”. Camilla si sente distratta dai pensieri del quotidiano, e mi chiede se può registrare la propria voce per fare gli esercizi, in modo da potersi concentrare maggiormente. Ovviamente le rispondo di sì.
Proseguiamo la seduta con il secondo esercizio di training autogeno, riguardante la pesantezza al braccio destro e sinistro. Camilla avverte la pesantezza, visualizza le braccia come blocchi di cemento armato bianco, con all’interno una barra d’acciaio, sente calore e quasi finisce col “perdere la sensibilità delle braccia”. Manifesta alcune scariche autogene alle dita di entrambe le mani; non è disturbata da pensieri estranei: solo per un momento le compare l’immagine di una figlia. Vede poi l’immagine di un film, “Il miglio verde”, nella quale un condannato a morte siede sulla sedia elettrica, “ma solo perché è un film che ho visto da poco, e sentivo le mie mani e braccia così pesanti che mi sembrava di essere legata sulla sedia”. A livello psichico, riferisce di sensazioni di rilassamento, serenità, estremo benessere.
Proprio sul finire della seduta mi dice: “dottore, devo dirle una cosa importante: no conosciuto una persona… ma gliene parlerò la prossima volta!”.
Ed ecco che nella seduta successiva, Camilla mi racconta della sua nuova conoscenza. È un docente universitario di Scienze Politiche, “ma – racconta – mi sono già illusa e disillusa. Lui è molto presuntuoso, arrogante e mi tratta male, e mi sono rapidamente allontanata. La storia è iniziata e già finita!”. Ragioniamo su come si sia evoluta la sua situazione nel tempo: all’inizio, disperata dopo essere stata lasciata dal marito, temeva che non avrebbe mai più avuto nessuno da amare o da cui essere amata; ora ha dimostrato a se stessa che è in grado non solo di continuare ad amare e piacere, ma anche di essere selettiva nella scelta dei partner! “Di fronte a quest’uomo, appena ho visto che tendeva a umiliarmi – dice Camilla – mi ha molto aiutato anche il training autogeno, che mi ha permesso di avere una reazione controllata, molto diversa da quella che aveva avuto con la vigilessa”.
Mi rendiconta poi l’andamento degli esercizi a casa. Rispetto alla prima settimana, è riuscita a concentrarsi sicuramente di più, pur senza raggiungere la profondità che ottiene in studio; si sentiva le mani informicolate, pesanti, “come un paracarro. Il paracarro mi fa pensare a qualcosa che non cambia mai idea, invece io sto dimostrando a me stessa di essere in grado di cambiare. O a volte mi sembrava che le mani se ne andassero per proprio conto, come se stessi suonando un brano di musica classica al pianoforte”.
Passiamo poi ad esercitarci in studio, con il terzo esercizio, che mira a far percepire la pesantezza sia alle braccia che alle gambe. Camilla conferma la facilità di percepire la pesantezza alle braccia. Le dita delle sue mani sono percorse da diverse scariche autogene. Al ritorno all’abituale stato di coscienza, racconta di un senso di grande serenità, di vigile torpore.
La settimana successiva, mi racconta di come gli esercizi a casa le comincino a donare lo stesso senso di serenità che avverte anche in studio. Eseguiamo quindi il quarto esercizio di training autogeno, che porta la sensazione di pesantezza all’intero corpo. Camilla raggiunge velocemente uno stato di profonda serenità e avverte distintamente la pesantezza: “Mi sembrava di essere in mezzo ad un mare calmo, vicino alla spiaggia; mi vedevo in un canotto, con le braccia e le gambe a mollo nell’acqua; non le sentivo più, mi sembrava di avere solo il tronco; mi è capitato di pensare a come possono sentirsi i paraplegici, ma subito è tornata l’immagine del canotto, del mare, del benessere: sono stata davvero benissimo. Era splendido stare nel canotto da sola! Sto finalmente riscoprendo il piacere di stare da sola! È bellissimo!”. Sorride serena e poi aggiunge: “Che bello ritrovare il piacere della solitudine, e il gusto del mare… Dovrei fare la guardiana di un faro da grande!”. Lo dice con una voce da bambina – come se a 50 anni davvero non fosse grande! – che mi fa pensare a quanto il suo comportamento possa corrispondere al profilo di personalità isterica!
Luglio 2011
Camilla mi racconta di come il training le stia infondendo sempre maggiore serenità. Sta bene con gli altri e con se stessa; non è più ossessivamente turbata dal pensiero dell’ex marito, con il quale riesce a rapportarsi con civile distacco; sa difendere la sua dignità di donna, come si evince dalla capacità di resistere alle avances del docente di scienze politiche che “mi vorrebbe solo come una schiava, un oggetto da umiliare”. Mi dice di aver fatto gli esercizi a casa, o meglio al mare, dove si era recata per tutta la settimana. Dice con sollievo che “inizialmente percepivo gli arti pesanti e rigidi come cemento, e questo mi spaventava un po’, mi faceva sentire tetraplegica; poi, forse perché ero al mare, il cemento è diventato sabbia, e mi sono sentita molto più a mio agio. Ho visualizzato diverse volte l’immagine di buchi neri infinitamente profondi che m’inghiottivano, ma dopo pochi giorni questi buchi sono diventati bianchi, luminosi: dei tunnel di luce che mi hanno fatto venire voglia di percorrerli tutti per vedere cosa c’è dall’altra parte, anche se non sono ancora riuscita a percorrere tutto il cammino”.
In studio passiamo al quinto esercizio, introducendo il calore, esclusivamente alla mano destra. Camilla è attraversata da diverse scariche autogene alle mani. Al termine dell’esercizio mi dice: “ho visualizzato la mano destra grandissima, come se fosse un pallone; vedevo il sangue correre verso la mano e gonfiarla, e l’ho sentita molto calda”.
La settimana dopo mi narra dello svolgimento casalingo degli esercizi, e in particolare di una particolare avuta durante un esercizio. Si era vista sdraiata su una barca: “prima mi vedevo rigida, come un faraone nel sarcofago; poi ho riacquistato scioltezza e serenità e ho sentito gli arti piacevolmente abbandonarsi nell’acqua marina mentre io mi rilassavo nella barca. Sono stata davvero bene”.
Andiamo a svolgere il sesto esercizio, che porta il calore a entrambe le mani: Camilla, i cui arti superiori sono attraversati da diverse scariche autogene, riferisce di un senso di profondo e piacevole torpore, di pesantezza in tutto il corpo e di un gradevole calore alle mani, “che visualizzavo gonfie come le mani di Topolino”.
La seduta successiva, Camilla riferisce con soddisfazione che è migliorato il suo rapporto con l’ex marito: rileva tale miglioramento sia nel versante oggettivo del rapporto (“quando lo vedo mi sento molto meno in ansia”), sia nel versante della propria vita interiore: “penso molto meno a lui, e quando lo penso comunque non mi sento più né disperata né furiosa. Penso che molto dipenda dal training autogeno, che mi dona una grande serenità e consapevolezza. Anche durante lo svolgimento degli esercizi a casa non sono più disturbata dai pensieri ricorrenti che, in precedenza, tendevano a riportare continuamente la mia attenzione verso il mio ex marito”. Dice di aver approfondito senza problemi la sensazione di calore alle mani, “che mi sembravano brillare di luce propria, una luce gradevolmente calda”.
Passiamo quindi a svolgere il settimo esercizio, che espande la sensazione di calore ai piedi. Camilla riferisce che le sembrava di “avere i piedi in fiamme. Ho visualizzato me stessa come se fossi in spiaggia e se stessi camminando sulla sabbia bollente; a un certo punto il calore sembrava così forte che ho immaginato di dover indossare delle ciabattine infradito per lenirlo!”.
Durante l’incontro seguente, Camilla riporta di un periodo di difficoltà: la mancanza del lavoro, per via delle vacanze estive, e la partenza proprio per le vacanze di una delle figlie, le hanno riaperto gli occhi sul dolore per la separazione dal coniuge. A faticato a svolgere gli esercizi di training autogeno, pur imponendosi di farli. “Ho dovuto davvero faticare per mantenere la costanza negli esercizi, molte volte ho finito con l’addormentarmi dopo aver cominciato a farli”.
Decidiamo comunque di proseguire con l’ottavo esercizio, che porta il calore a tutto il corpo. Camilla appare visibilmente rilassata e distesa. Non riferisce di nessuna particolare visualizzazione, ma il suo sorriso all’uscita dello studio mi conferma che ha tutte le possibilità per riprendersi.
Agosto 2011
Durante la seduta successiva, Camilla mi dimostra che la caduta depressiva della volta precedente era solo un episodio. Anzi, riferisce che lo svolgimento casalingo degli esercizi di training autogeno “mi ha portato a sviluppare pensieri di spiritualità. Non so come mai questo sia accaduto… Forse dipende dal fatto che ogni volta che eseguivo gli esercizi del calore mi vedevo inondata di luce calda, pensavo al mio corpo come un corpo di luce, un corpo spirituale…”.
Anche dopo lo svolgimento del nono esercizio, finalizzata a percepire la regolarità del battito cardiaco, i temi dei discorsi portati da Camilla virano dalla rabbia che prova verso l’ex marito, verso la nuova direzione della spiritualità, della consapevolezza che il dolore le ha insegnato che la felicità è, per lei, un valore da riempire di contenuti ben diversi da quelli generalmente indicati dalla massa (i soldi, il lusso…): “Inizialmente sentivo il cuore battere forte, carico di rabbia verso il mio ex, poi l’ho percepito come se battesse all’unisono con l’universo, e sono stata invasa da una grande sensazione di pace”.
Rispetto a sette giorni fa, il tono dell’umore è decisamente più elevato, e Camilla si scopre consapevole che, per dirsi felice, deve frequentare persone con valori autentici, impegnate in un cammino di spiritualità. Conosce un gruppo di persone simili, da tanto avrebbe avuto il piacere di frequentarli perché “sono persone bellissime, davvero eccezionali”, ma non c’era mai riuscita, forse per timore, forse per mancanza di un reale bisogno. Ora decide che è giunto il momento di stringere i rapporti con loro. Esce dallo studio determinata e fiduciosa, sfoggiando un sorriso che tempo fa – o forse anche la settimana scorsa – sembrava impossibile da sfoderare. Rivedo Camilla la settimana successiva, dopo che la donna ha passato una settimana di vacanza. È raggiante, fiduciosa: ha passato un ottimo periodo di ferie, riuscendo a dedicarsi sia a se stessa e al proprio benessere e rilassamento, sia a nuove e vecchie amicizie. Sembra davvero rifiorita, mi parla con entusiasmo degli esercizi di training autogeno: “Nello svolgerli, mi sentivo in pace e sintonia col mondo, come se il mio cuore riecheggiasse il cuore della terra o dell’universo, e tutti e due battessero allo stesso ritmo”.
Andiamo a svolgere il decimo esercizio, quello relativo al respiro. Al termine, Camilla racconta, serena, che “mi sembrava che il mio respiro fosse come le onde del mare: ero distesa sulla spiaggia e le onde andavano e venivano secondo la medesima cadenza del mio respiro… È stato bellissimo!”.
Dopo due settimane di vacanza, rivedo Camilla alla fine di agosto. Mi narra con entusiasmo di un suo viaggio nei paesi scandinavi, fra “i fiordi e i fari che tanto amo”. Racconta di quanto fosse distensivo svolgere l’esercizio del respiro, “specie quando ero sulle navi, e sentivo intorno a me lo sciabordio delle onde. In alcuni momenti, mi sembrava di essere così rilassata da perdere quasi la concezione del mio corpo, ritrovandomi ad essere puro pensiero, puro spirito…”.
Eseguiamo l’undicesimo esercizio, che porta il calore al plesso solare. Camilla dice di essersi sentita “come se fossi al calduccio dentro uno dei miei amati fari scandinavi: fuori infuriava la tempesta, ma io ero al sicuro e al caldo all’interno del mio faro”. Ripensa a quant’è diversa questa sensazione rispetto al freddo interiore che sentiva quando, ragazzina, le suore la chiudevano nell’armadio. Torniamo a parlare del suo rapporto con l’autorità, e Camilla mi racconta con fierezza di come sia riuscita a mostrarsi ferma e determinata con l’avvocato dell’ex marito, che avanzava pretese assurde in vista della separazione; mi narra inoltre, con altrettanto orgoglio, di come finalmente, le sia stata restituita la patente che le era stata requisita dopo la crisi isterica che aveva avuto dopo essere stata fermata dalla vigilessa: “i controlli tossicologici hanno avuto ovviamente confermato che non avevo assunto niente di strano, e il comandante dei vigili urbani mi ha ridato la patente, con tante scuse!”.
Settembre 2011
Terminate le ferie, Camilla conferma lo stato di equilibrio raggiunto: il benessere provato durante il suo viaggio nei paesi scandinavi sta ancora elargendole benefici effetti; in campo professionale, ha ottenuto l’agognato full time; per quanto riguarda il rapporto col marito, sembra in grado di reagire nel migliore dei modi alla separazione che l’ex coniuge si è finalmente deciso a chiedere, ed appare grintosa e fiduciosa. “Immagino che questa risoluzione e questa serenità dipendano anche dal training autogeno; l’esercizio del plesso solare mi faceva sentire prima più radicata in me stessa, e poi come se fossi un globo di luce che si espandeva fino a ricoprire non solo tutto il mio corpo, ma la stanza, la città, il pianeta…”. Eseguiamo infine il dodicesimo esercizio: la freschezza alla fronte riporta a Camilla le piacevoli sensazioni del suo tour scandinavo. Ma la donna ha voglia di parlarmi non tanto delle sensazioni provate durante l’esercizio, quanto di un fatto quanto meno curioso, all’insegna di un’incredibile sincronicità: dopo essersi vista finalmente restituire la patente, è incappata di nuovo, andando a vedere una partita di calcio con una delle figlie (Camilla è anche tifosa di calcio!), nella vigilessa che l’aveva fermata a maggio: “Ci siamo immediatamente riconosciute! Stavolta mi ha fermato perché avevo imboccato una stradina di una ventina di metri in senso contrario per raggiungere più velocemente il parcheggio dello stadio”. Nonostante le premesse per una nuova crisi isterica o ansiosa ci fossero tutte, Camilla ha saputo reagire con straordinaria aplomb. Forse, lo svolgimento degli esercizi di training autogeno e l’analisi del suo rapporto adolescenziale con l’autorità rappresentata dalle suore hanno cominciato a portare i loro frutti.
Riferimenti bibliografici
Hoffmann B. H. (1977): Manuale di training autogeno, tr. it. Roma: Astrolabio, 1980;
Schultz J. H. (1966): Il training autogeno. Esercizi inferiori, tr. it. Milano: Feltrinelli, 1968;
Schultz J. H. (1966): Il training autogeno. Esercizi superiori, tr. it. Milano: Feltrinelli, 1971.
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