Molti autori hanno scritto sul Training Autogeno di J.H. Schultz, dandone le più svariate definizioni, ma quella che più fra tutte preferisco è riportata da Luciano Masi nella sua opera: Training Autogeno - Una psicoterapia breve.
Egli definisce il T.A. "una psicoterapia breve, fondata sui principi dell'ideoplasia e della concentrazione psichica passiva, che consente di realizzare, mediante uno speciale allenamento psicofisico, l'equilibrio neurovegetativo, la calma e positive modificazioni della personalità".
Come è noto a tutti, "training" significa allenamento e "autogeno" che si genera da sé. Ma l'allenamento del T.A. non è lo stesso cui siamo abituati a pensare. Di solito la parola allenamento si riferisce al concetto del "fare qualcosa" ripetutamente, apprendere un'abilità gradualmente ecc., nel Training Autogeno non è così.
Per capire di cosa si tratta bisogna ricorrere al concetto di commutazione. Commutare significa cambiare direzione, invertire la rotta, cambiare atteggiamenti mentali strutturati, modificare abitudini, usare in maniera diversa il pensiero, l'attenzione e la concentrazione. In definitiva: mentre nella quotidianità ci si addestra a fare qualcosa, nel T.A. ci si avvia verso il non fare.
Nella definizione di cui sopra si parla anche dei principi di ideoplasia e concentrazione passiva.
L'ideoplasia consiste nella capacità della mente di produrre modificazioni corporee. Prima di Schultz era noto l'effetto Carpenter, secondo il quale le immagini mentali hanno il potere di stimolare i muscoli interessati relativi all'oggetto immaginario, per cui la rappresentazione mentale di un movimento tende a provocare impulsi motori che possono essere registrati elettromiograficamente. Da qui l'idea che se i processi mentali, a seguito di rappresentazioni di movimento, hanno la capacità di produrre gli impulsi motori corrispondenti, devono avere anche la capacità opposta, e cioè quella di una riduzione degli impulsi e quindi rilassamento muscolare con rappresentazione di quiete. Così Schultz capì che si sarebbe potuto intervenire non solo sul tono muscolare ma anche in altri sistemi dell'organismo (respiratorio, digerente, cardio-circolatorio ecc.) raggiungendo una ottimale tranquillizzazione neurovegetativa.
L'altro concetto base del T.A. riguarda la concentrazione passiva, tale definizione apparentemente sembra essere contraddittoria, infatti viene spontaneo chiedersi: "come si può essere concentrati e nello stesso tempo passivi?". In situazioni normali la concentrazione dell'attenzione è sempre un processo attivo, mentre nel T.A. la concentrazione indica un modo diverso di essere della psiche che si esplica in assenza di sforzo, di volontà, di azione. Ciò che occorre è un atteggiamento dilasciare accadere. L'individuo che inizia il T.A. deve abbandonare la tendenza ad essere "protagonista" per diventare "spettatore" dei fenomeni che accadono dentro di sé, porsi nella condizione di lasciarsi andare ai meccanismi autogeni che fin dall'inizio cominciano a produrre positive modificazioni biopsichiche.
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