Quando le parole non bastano per il trauma

Freud nel 1893 affermò che il disagio mentale poteva convertirsi in un qualche disturbo psichico, pur non avendo un oggettivo riscontro clinico. Tuttavia, già alla fine del 1800 vi erano stati dei soggetti che lavoravano nelle ferrovie e avevano subito incidenti pur rimanendo illesi, e a distanza di meno di un mese dall’accaduto presentavano l’esistenza di paralisi motorie agli arti superiori o inferiori, o ad una parte di essi, come se ci fosse realmente stata una lesione o una menomazione vera e propria. Si trattava e si tratta anche ai tempi nostri di pseudo-ferite, maltrattamenti, abusi sessuali - subiti particolarmente durante l’infanzia - poi dimenticati, più propriamente “rimossi” direbbe Freud, sarebbe allora sufficiente ricordare il tutto per far sparire i disturbi somatici. Di fatto, non è così ! Infatti, pur essendo molto importante la rievocazione verbale, il sintomo può continuare ad esistere. Non esiste, una demarcazione precisa tra abusi reali e frutto della fantasia del soggetto, soprattutto se si tratta di un bambino, e lo stesso evento viene vissuto in modo diverso in base alla struttura psichica e alla maturità del soggetto. Infatti, gli effetti psicopatologici non scaturiscono dal trauma in sé, ma dal modo in cui viene vissuto a livello soggettivo. Un fatto può provocare un effetto patologico anche in un secondo momento e, precisamente, quando si collega a situazioni del momento di cui il paziente avverte e riconosce una certa gravità. Sono molto conosciute le storie dei soldati americani reduci dalla guerra in Vietnam, che dopo aver visto stragi di ogni tipo, a distanza di molto tempo presentavano disturbi tipici con l’accensione di ricordi angosciosi durante il sonno, stato di allerta e di ansia permanente, legata a stati di irritabilità, di impulsività e di distrazione per qualsiasi attività. Proprio in seguito a questo tipo di disturbi nel 1980 nel DSM3 (Disturbi Salute Mentale) si ritenne opportuno inserire la categoria specifica di “Disturbo post-traumatico da stress” (PTSD). Volendo considerare il “trauma mentale” legato a eventi spiacevoli, improvvisi da minare l’integrità dell’Io, nei casi di abusi su minori, di violenze e di maltrattamenti da parte dei genitori, esso assume una diversa connotazione in quanto ci si trova di fronte a contesti differenti e a diverse dinamiche psicologiche. Nei bambini, infatti, gli abusi possono essere sottovalutati o rimossi, con possibile distorsione degli aspetti mnestici. Proprio per la varietà dei tipi di traumatizzati il DSM5 ha apportato alcune modifiche. Rispetto alla terapia, in un minore abusato l’intervento è più complesso e l’iter da seguire è più articolato con  l’ausilio anche di pedagogisti, in quanto la semplice rievocazione verbale, particolarmente nei bambini con ridotte capacità linguistiche e introspettive, non è assolutamente sufficiente. Tuttavia, se la narrazione dell’evento resta comunque l’aspetto primario, in molti casi risulta impraticabile, in quanto non rappresenta una assimilazione graduale dell’evento traumatizzante, ma determina una ripetizione identica in cui ritornano le reazioni emotive angoscianti vissute all’epoca, con l’insorgere di aspetti somatici come: sudorazione, tachicardia, nausea, cefalea, tremore ecc. In questi ultimi decenni, per affrontare situazioni traumatiche sono state elaborate tecniche di intervento sul corpo dallo yoga, al biofeedback, alla mindfulness e alla EMDR (tecnica di desensibilizzazione e rielaborazione mediante movimenti oculari indotti) senza escludere tecniche ispirate allo psicodramma.

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