Buonasera, mi chiamo Marina e ho 23 anni. Sono una studentessa universitaria figlia unica. L'estate scorsa ho subito un trauma è solo scriverlo mi fa venire da piangere, che mi ha comportato diversi disturbi che non mi consentono più di riconoscermi. Ho un padre di 50 anni che in passato tutti invidiavano, perchè molto "giovanile", un uomo al quale piace stare con comitive giovani, bere, divertirsi. A casa il suo atteggiamento ha sempre creato problemi, ha sperperato tutto il suo patrimonio, senza mai voler lavorare perchè proveniente da famiglia nobile e benestante. L'estate scorsa aveva bevuto e per farla breve, non sto qui a raccontare i dettagli anche se importanti, ha avuto un incidente dopo avermi rubato la macchina con la sua amante 27 enne, entrambi ubriachi. Da quel momento è come se la mia vita fosse finita, ho cercato di concentrarmi sullo studio dando anche parecchi esami durante quest'anno e con ottimi voti, ma quando finivo di dare l'esame non provavo nè soddisfazione nè felicità. È come se non riuscissi più a sentire emozioni positive ed è una cosa che mi pesa moltissimo, perchè io ero una persona allegra e sempre sorridente, mi sentivo una ragazza fortunata. Non mi sento compresa in questo mio disagio e non lo comprendo nemmeno io. Non so come muovermi, mi viene da piangere senza ragione e ho spesso pensieri negativi. Avevo pensato di rivolgermi ad uno psicologo o ad un terapeuta, ma non ho la disponibilità economica per poterlo fare.
Comprendo molto il suo stato d'animo, sentirsi che la persona da cui ci si aspetta un supporto invece è quella stessa persona che ha contribuito a creare degli stati d'animo di sofferenza. Comprendo anche il suo agito di buttarsi a capofitto sullo studio, la sublimazione però non porta alla risoluzione del problema ma è una possibile via di fuga, anche se in questo caso funzionale.
Ci sono molti psicologi che fanno il primo incontro gratuito e poi ci si può accordare con il prezzo oppure provi ad andare presso un servizio pubblico per vedere se le possono essere di aiuto ma, non le consiglio di implodere e stare così male perchè non è per nulla produttivo e potrebbe sfociare in sofferenze maggiori.
In bocca al lupo
Gentilissima Marina, grazie della fiducia che ripone negli psicologi.
La sua lettera è assolutamente appassionante. Parla di una figlia assai devota ai genitori, in particolare al papà il quale sembra fare di tutto pur di farsi rincorrere e curare da lei stessa. Una figlia che non "può" occuparsi di se stessa, bensì dei genitori che giocano a fare gli adolescenti. Più il papà mette in atto le sue trasgressioni e più lei sembra dover agire per correggerlo e rimetterlo sulla corretta via. Ho l'impressione che per fare quello che sta facendo lei rischi di disintegrarsi e/o di consumare molti suoi anni o decenni per aiutare il papà. Lei, Marina, "ancora molto figlia", in questa sua fase di vita sembra porsi come genitore di suo papà, nel tentativo di sostenerlo e/o di attutire le sue cadute. E' vero che i figli vengono al mondo per aiutare i genitori a crescere e a morire, ma ad un certo punto occorre che, consapevolmente o no, quel figlio smetta di essere tale per iniziare ad occuparsi di sé e del suo progetto di vita. Se non si produce questo viraggio interiore, lucido e consapevole, si rischia di diventare cinquantenni ancora vincolati alle peripezie dei genitori. Questo non vuol assolutamente dire che di loro bisogna disinteressarsi, bensì attivare in se stessi la dimensione della scelta, non certo quella del dovere. Di questo ne sono profondamente convinto. Occupandosi di sé, coltivando le sue passioni e desideri, potrà, anche implicitamente, occuparsi dei genitori.
Ancora grazie e buona vita, Giulio