Vanno definiti gli strumenti (psicologici) attraverso i quali possiamo rilevare i fenomeni corporei. Ci si può riferire a due concetti - base (empatia e controtransfert) come strumenti fondamentali di rilevazione psicologica, basati sulla soggettività del terapeuta (operatore, anche se è necessario precisare l’uso che ne viene fatto nel contesto di questo lavoro).
CONCETTO DI “EMPATIA”
Il termine “empatia” fa la sua comparsa con Novalis nel 1978 per indicare un vissuto fondamentale dei romantici: il sentirsi da parte dell’uomo all’unisono con la natura, un tutt’uno con essa e il viverne le forze come se fossero quelle della propria anima. Si tratta qui di uno stile mentale che privilegia il sentire (pathos), si caratterizza per una forte prevalenza della proiezione e valorizza vissuti fusionali mettendo in secondo piano la separatezza soggetto/oggetto.
CONCETTO DI “CONTROTRANSFERT”
Per Freud il “controtransfert” è l’effetto dell’ “influenza del malato sui sentimenti inconsci del medico”; le reazioni controtransferali sono reazioni personali alla comunicazione affettiva percepita, e derivano dai complessi e dalle resistenze interne dell’analista.
In maniera antagonista alla definizione “classica”, il “controtransfert si è progressivamente evoluto in quella che viene chiamata la concezione “totale”: in questo senso “le reazioni conscie e inconsce dell’analista alla comunicazione del paziente sarebbero reazioni sia alla realtà del paziente che al suo transfert, ai suoi bisogni, sia reali che nevrotici e diventano un vero e proprio strumento di lavoro.
Secondo la Heimann (1950) la “risposta emotiva dell’analista, rappresenta uno dei più importanti strumenti del suo lavoro. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la presenza dei sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro, l’analista, ma soprattutto, l’intensità dei sentimenti provati e l’uso che ne fa, giacchè questi fattori sono interdipendenti”.
Occorre all’analista un’acuta sensibilità emotiva in modo da poter seguire i movimenti affettivi e le fantasie inconsce del paziente. Questo rapporto profondo affiora nei sentimenti che l’analista avverte in risposta al paziente, cioè nel suo “controtransfert”. Questo è il modo più dinamico in cui gli giunge la voce del suo paziente. L’analista che paragona i suoi sentimenti con le associazioni e la condotta del paziente possiede uno strumento assai prezioso per verificare se è riuscito a capire il paziente.
EMPATIA E CONTROTRANSFERT COME STRUMENTI DI RILEVAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI FENOMENI RELAZIONALI
I concetti di “empatia” e “controtransfert” vengono usati in genere in maniera difforme nella letteratura psicanalitica. Talora i due concetti vengono concepiti in modo analogo e cioè, alternativamente una posizione emotiva e, un metodo conoscitivo; altre volte però si possono riscontrare differenze notevoli nell’uso dei due concetti.
Berger (1987) chiarisce due principali distinzioni tra l’empatia e il controtransfert. La prima distinzione considera empatia lo stato emotivo vissuto dal terapeuta al contatto con il paziente come soggetto, mentre il controtransfert riguarderebbe lo stato emotivo vissuto dall’analista a contatto con l’oggetto del mondo interno del paziente.
Una riflessione metodologica “comparata” sull’empatia e il controtransfert viene tentata da Spacal (1989) nella quale viene proposto di considerare empatia e controtransfert non tanto come differenti metodi di indagine, quanto come posizioni emotive, cioè come “elementi conoscibili, o decodificabili, della soggettività”.
Mediante l’introspezione l’analista può derivare le proprie informazioni sia dal settore controtransferale dei propri vissuti che da quello empatico. C’è un messaggio appartenente alla soggettività del paziente che non è formulato ma che vuole essere percepito e l’analista può percepirlo con il suo atteggiamento empatico. Questo modo di considerare l’empatia e il controtransfert ci sembra molto utile per organizzare e ampliare la portata degli elementi ricavabili dal flusso delle emozioni e degli affetti del terapeuta nel suo incontro con il paziente.
L’orientamento empatico della sensibilità del terapeuta si basa su un atteggiamento di recettività conscia e inconscia nei confronti del mondo del paziente, del suo ambiente interno/esterno, dei suoi oggetti/sè, ma tutto ciò come via o mezzo per sintonizzarsi nella sua stessa lunghezza d’onda affettiva del paziente e immedesimarsi con l’Io del paziente, con con il soggetto-paziente, rimanendo contemporaneamente in contatto con la propria dimensione affettiva.
Anche la Alvarez (1993) differenzia in modo simile empatia e controtransfert : nella “percezione empatica” il paziente, attraverso la postura corporea, l’espressione mimica e altri elementi, trasmette qualcosa del suo stato interno al terapeuta; nel controtransfert, il paziente non è a conoscenza del suo stato interno e non lo lascia trasparire all’esterno, se non per “rovesciarlo fuori”.
EMPATIA E FENOMENI CORPOREI
L’attivazione della sensibilità empatica del terapeuta offre la possibilità di rilevare, osservare e comprendere i fenomeni corporei.
Costa (1990) descrive in maniera molto vivida l’organizzarsi in senso empatico degli effetti del terapeuta nel corso del primo incontro : l’empatia ha una qualità globale e sul piano conoscitivo prende infatti contatto con le operazioni intuitive che non sono razionali o discrete bensì appaiono caratterizzate da percorsi inconsci complessi e non dettagliabili. Il paziente si presenta alla nostra percezione affettiva come una gestalt globale. La sua comunicazione affettiva prende la via del racconto e del contenuto, ma il nostro canale percettivo è aperto alla ricezione di elementi stilistici, alla percezione emotiva della voce, della modulazione sintattica, dei silenzi, che saranno riempiti da gestalt posturali e motorie, dai prodotti tangibili dell’affettività espressiva (un sorriso, un aggrottamento, un atteggiamento fisico rilassato o teso). La nostra risposta è canalizzata “su regioni compresenti del nostro Sè”, sintonizzata sui registri ineffabili della nostra parola-emozione oltre che del discorso, o della nostra cenestesi globale, delle nostre posture microscopiche, della nostra visceralità...
In sintesi vediamo come la sensibilità empatica orientata sui fenomeni corporei costituisca quella condizione facilitante di una certa osmosi (emotivo-affettiva, ideativa, linguistica) tra i due membri della coppia terapeutica, osmosi che può essere funzionale alla costituzione e al consolidamento di un assetto di lavoro.
CONTROTRANSFERT E FENOMENI CORPOREI
La disponibilità all’ascolto dei messaggi provenienti da qualsiasi parte e da qualsiasi livello consente - anche in assenza di emozioni e affetti - di cogliere anche le proprie sensazioni corporee, di accettarle come un dato essenziale e ineludibile del contesto, discriminarle ed eventualmente ricollegarle all’insieme o al momento dell’esperienza con quel paziente o anche considerarle indicative del suo difetto o arresto evolutivo.
STILI COMUNICATIVI DI FRONTE AI FENOMENI CORPOREI
L’attenzione al registro corporeo della propria esistenza, alla fisicità della propria interazione col paziente e ai fenomeni corporei che costellano l’evoluzione della relazione terapeutica, comporta sul versante del terapeuta lo sviluppo di una particolare sensibilità nei confronti dello stile comunicativo dei propri interventi.
In tal senso contribuisce alla formazione dell’insight non soltanto le interpretazioni, bensì anche interventi non interpretativi, variamente denominati, e per lo più poco valorizzati come le “preparazioni” (Loewenstein, 1951), le “confrontazioni” (Devereux, 1951), le “chiarificazioni” (Bibring, 1954).
Langs (1973-74) propone una classificazione completa degli interventi del terapeuta: silenzio, domanda e chiarimenti, confrontazioni, interpretazioni, ricostruzioni e interventi di appoggio. Secondo questo autore le confrontazioni sono degli interventi basati sul contenuto manifesto del materiale, coi quali il terapeuta richiama l’attenzione del paziente su di un comportamento o un pensiero evidenti a entrambi; si differenzierebbero dalle interpretazioni in quanto farebbero cadere maggiormente l’accento sulla superficie del materiale psichico e si ricollegherebbero più strettamente ai conflitti reali.
Al fine di prendere in considerazione le diversità del campo emotivo che si stabilisce a seconda dei vari interventi del terapeuta, può essere utile ricordare l’uso delle “chiarificazioni” così come illustrato da Greenson (1967) dal punto di vista della tecnica di chiarificazione delle resistenze:
“Il paziente che resiste cerca di evitare emozioni penose, come l’angoscia, la colpevolezza, la vergogna, la depressione, o un loro miscuglio. Qualche volta, nonostante la resistenza, l’affetto penoso è penoso perchè il paziente si comporta nella maniera caratteristica di quel particolare affetto. Ad esempio un paziente che parli a fatica, con frasi fatte, o divaghi attorno a banalità, può tradire il suo senso di vergogna arrossendo o coprendosi il viso con le mani, o voltando il capo per non farsi vedere, nascondendo la zona dei genitali con le mani o accavallando tutt’a un tratto le gambe. Comportamenti che tendono a nascondersi indicano vergogna. Tremori, sudore, sensazione di avere la gola secca, tensione muscolare, brividi o rigidità possono essere segni di paura. Un paziente che parla lentamente, con voce triste, la mascella contratta, sospirando, fermandosi, deglutendo con fatica, con con i pugni stretti, può tradire la lotta contro il pianto e la depressione. In tutti questi casi si cerca di cogliere le reazioni fisiche, non verbali, in quanto ci possono offrire qualche indizio sul particolare affetto penoso contro il quale il paziente lotta”.
Greenson sottolinea alcuni aspetti rilevanti della tecnica : il linguaggio deve essere chiaro, concreto e schietto; le parole non devono poter essere fraintese, quindi nè vaghe nè generiche. Il termine usato per descrivere l’affetto contro cui il paziente potrebbe essere alle prese, non deve essere adultomorfo, bensì potenzialmente evocativo di esperienze infantili. Inoltre la parola deve essere appropriata al momento, quantitativamente, qualitativamente e per il tono di voce.
Qui gli aspetti corporei del paziente vengono valorizzati come indizi utili al fine di smantellare le resistenze del paziente da parte di un terapeuta che assume un atteggiamento definito ad esempio da Schafer come “belligerante”, proteso cioè a superare le trincee difensive del paziente.
In antitesi a tale atteggiamento è stato descritto un atteggiamento empatico caratterizzato principalmente dalla ricerca della risonanza emotiva e della sintonizzazione affettiva. Può trattarsi però di una contrapposizione artificiosa in quanto per lo più accade, inevitabilmente e talora inconsapevolmente, di dover percorrere con lo stesso paziente questo passaggio dalla “belligeranza” all’empatia.
L’attenzione agli atteggiamenti corporei sia del terapeuta che del paziente e l’accorgersi di assumere le stesse identiche posture del paziente, portano il terapeuta a pensare di essere sul punto di mettere in atto una sorta di istintiva imitazione del paziente, una spontanea duplicazione al proprio interno, un collocarsi nei panni dell’interlocutore molto elementare ma sostanziale: tutto questo ha a che fare con l’empatia, quasi un inseguimento empatico.
Buie (1981) sottolinea come l’empatia sia fondata su fenomeni di percezione ordinati che determinano inferenze sullo stato mentale dell’altra persona: si tratterebbe quindi di un processo di “risonanza” basato sulla capacità di dare risposte automaticamente imitative. Anche per Basch (1983) l’empatia è basata su fenomeni di percezione e risonanza: un segnale affettivo provoca nell’osservatore un’imitazione automatica, quasi impercettibile, dei movimenti e delle posture di chi lo invia.
Vi sono tuttavia pazienti handicappati “nel rappresentare mentalmente quanto accade nella loro realtà psichica e nella loro vita emozionale: una evidente incapacità di sognare, un blocco nel seguire le tracce della vita fantastica, l’espressione del conflitto attraverso l’azione piuttosto che attraverso l’elaborazione mentale” (Mc Dougall, 1992).
Il compito del terapeuta diviene quello di prestare ascolto ai terrori anonimi che stanno dietro le associazioni analitiche, aiutare cioè il paziente a trovare il coraggio di ascolare i propri sentimenti, sostenere le angoscie schiaccianti, immaginare le fantasie che si possono accompagnare a certe emozioni e infine dare un nome a ciò che di terrificante è senza nome. Questi interventi li possiamo definire di “nominazione”.
In alcuni casi gli eventi corporei possono prendere il posto delle interpretazioni. La verbalizzazione diventa quindi il secondo stadio di un processo costituito di due stadi, entrambi necessari perchè si possa giungere a una vera introspezione, ma di cui il secondo è efficace in quanto è il risultato del primo, cioè dell’evento corporeo.
Va anche sottolineato che - nella prospettiva relazionale - può talora essere più importante rispetto al contenuto delle interpretazioni, quel tanto di inevitabile e parziale acting out del controtansfert che si esprime nella forma (emotivo-affettiva) con cui le interpretazioni vengono date: infatti sarebbe questo elemento metacomunicativo che “permette al paziente di capire che il terapeuta viene toccato da ciò che è stato proiettato, che sta lottando per tollerarlo e per mantenere la propria prospettiva analitica senza compiere grossolani acting out” (Steward 1992).
Alla luce di quanto esposto finora, acquistano importanza non secondaria anche tutta una serie di interventi del terapeuta diversi dalle interpretazioni: interventi di chiarificazione, di confrontazione, di “nominazione” di stati d’animo, di descrizione di elementi sensoriali, emotivi, affettivi, che spesso - particolarmente con i pazienti borderline e psicotici - costituiscono una rete comunicativa indispensabile per l’evolvere della relazione terapeutica.
CONCLUSIONI
Abbiamo visto come all’affinamento e all’ampliamento della gamma degli stili comunicativi a disposizione del terapeuta nel suo rapporto con il paziente possa portare un notevole contributo l’ingresso nel campo percettivo del terapeuta della presenza sensibile del corpo del paziente e del terapeuta stesso. E’ infatti attraverso la mediazione di tale presenza corporea che le emozioni possono essere vissute, comprese e riferite a determinati processi ideativi e il paziente può essere raggiunto con delle parole vive, che non lo lascino indifferente, ma che lo aiutino a procedere sulla strada della maturazione personale e a prendere veramente contatto con se stesso e con l’altro.
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