Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nunzia vetustatis
La storia è testimone di tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità.
CICERONE -De Oratore-
Cicerone sosteneva che chiunque non fosse a conoscenza del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé.
Che cos’è il tempo che passa che ci rende diversi a ogni istante? È la nostra capacità di cambiare, ma anche di ricordare ciò che accade.
Passato, Presente, Futuro: una successione temporale, un fil rouge che accompagna il divenire della nostra identità e dell’intero universo.
La res gestae integrandosi con le materie scientifiche attraverso studi interdisciplinari, illumina il più possibile il nostro percorso evolutivo. Un esempio di multidisciplinarietà può essere offerto dalla psicologia evoluzionistica e dalla neuroestetica che si propongono di dare conto di moltissimi fenomeni umani basandosi sullo schema evoluzionistico generale.
In particolare due studiosi, Leda Cosmides e John Tooby, hanno mirato a dare un fondamento su base psicologica alla cultura. La loro premessa principale è data dal fatto che vi è una natura umana universale, ma che tale universalità si esprime in primo luogo a livello dei meccanismi psicologici frutto dell’evoluzione e non di comportamenti culturali espressi. Perciò la variabilità culturale non è un elemento in contraddizione con l’universalità, bensì un insieme di dati che permette di comprendere meglio la struttura dei meccanismi psicologici sottostanti.
Il secondo aspetto che gli studiosi hanno evidenziato è costituito dal fatto che i meccanismi psicologici frutto dell’evoluzione sono adattamenti, costruiti dalla selezione naturale sul lungo periodo. La percezione “estetica” non è allora un sottoprodotto ininfluente della selezione, ma una precisa risposta adattiva, emersa però nell’ambiente in cui si sono evoluti per due milioni di anni i nostri progenitori.
La neuroestetica (nuovo ramo della psicofisiologia, particolarmente interessato alla neuropsicologia della produzione artistica visiva, dell’osservazione di reperti archeologici e della localizzazione cerebrale delle aree addette all’emozionabilità musicale) si muove dalle moderne conoscenze sul funzionamento del cervello, dall’architettura generale alla fisiologia della percezione, per spiegare l’esperienza estetica in termini della neurobiologia.
I neurofisiologi, Semir Zeki e V.S. Ramachandran hanno individuato le aree cerebrali deputate all’arte. Per poi, da qui, ricollegarsi alla storia evolutiva.
Scoprire cosa si prova a tenere tra le mani un frammento antico e tentare di ricomporlo con l’immaginazione nell’oggetto originale dopo che si è setacciata la terra proprio per incontrare e toccare quel reperto archeologico è ciò che studia la neuroestetica.
Proviamo ad immaginarci mentre entriamo in un museo e, per caso, in una vetrina vediamo un oggetto. Cosa proviamo nel contestualizzare il reperto nel suo contesto originale?
Quando osserviamo un'opera d'arte o entriamo in un museo o leggiamo un’epigrafe l'attivazione cerebrale riguarda la corteccia frontale e la corteccia prefontale deputate all'attribuzione delle specifiche proprietà estetiche e, infine, il sistema limbico, coinvolto nella memorizzazione di eventi emotivamente significativi, che ci permette di influenzare il giudizio estetico.
Queste aree cerebrali comunicano direttamente con le cortecce somosensoriali e motorie per organizzarsi in modo che l'osservatore possa rispondere con un movimento corporeo ed essere coinvolto direttamente nella scena.
Inoltre il processo empatico, di immedesimazione e di condivisione delle emozioni offre ulteriormente la possibilità di percepisi come se fossimo lì con la persona che ha utilizzato quell’oggetto o fatto quel movimento.
Il nostro cervello crea l’arte, l’estetica. L’ intensità dell’attività neurale, inoltre, almeno in alcune delle aree attivate, mostra una correlazione diretta con la forza dell’emozione che il soggetto dichiara di provare. Più è attiva un’area, più l’emozione è forte.
A tal proposito e solo ai fini di accenno, ci viene in aiuto il meccanismo dei “neuroni specchio” (particolare classe di cellule localizzate nella corteccia premotoria, nel lobo parietale e nell'area vicino alla regione di Broca deputata al linguaggio) che ci aiuta a comprendere più approfonditamente che la risposta della mente al capolavoro artistico “si rispecchia” in noi tramite le emozioni e le sensazioni corporee vissute dai protagonisti raffigurati nelle opere o immaginati nelle azioni di ricostruzioni di reperti archeologici: le loro tensioni muscolari, le espressioni facciali, le emozioni.
Il meccanismo dei “neuroni specchio” ci porta persino a rievocare dentro di noi anche il gesto dell’artista, il colpo di pennello, la costruzione dei primi utensili con i vari materiali.
Date tutte queste premesse si evince che studiamo la storia per capire noi stessi. Studiamo noi stessi per capire la società, lo Stato, la civiltà nella quale viviamo, anche e soprattutto, in rapporto con il passato e il futuro.
La mancanza di identità, cioè la non conoscenza delle proprie radici, e l’incapacitá di “cadere nel tempo” e conoscerlo, fanno percepire invece una fragilità della coscienza e una sorta di discontinuità senza una linearità naturale.
Dalla nascita ereditiamo anche quel patrimonio genetico personale e collettivo che è il nostro passato, con cui manteniamo i legami con il nostro successivo agire e divenire.
La principale difficoltà nello studio della storia consiste nel fatto che solo una parte di essa è documentata da fonti scritte, e non tutta la storiografia antica è pervenuta fino ai nostri giorni.
Il contributo delle scoperte archeologiche, con le sue fonti non scritte, ha permesso di studiare la civiltà antica grazie al ritrovamento, all’analisi e all’interpretazione di reperti, necropoli e insediamenti.
A questo proposito ci viene in aiuto il concetto di memoria storica, quale continuità di conoscenza che ci aiuta a non dimenticare ciò che è stato, a ricordare e trovare un continuum con ciò che è e ciò che sarà.
Il filosofo G.W.F. Hegel sosteneva che “solo con lo sguardo rivolto al passato si può comprendere il presente: esiste, infatti, un’indossolubile legame tra le due dimensioni temporali, esse sono connesse dall’inesorabiltà del divenire storico”.
Per Hegel spiegare la storia significa “svelare le passioni dell’uomo, il loro genio, le loro forze attive”. Ciò permette ad ognuno di noi di riconoscerci appartenenti ad un contesto storico non avulso da un “prima” e da un “dopo”.
Nell’idealismo hegeliano la concezione di storia è ottimista: il mondo non è una realtà caotica, un susseguirsi disordinato di eventi, bensì è dominato da un ordine razionale. La realtà è divenire, è un processo governato dalla razionalità che progredisce verso una meta che intende raggiungere, essa è un cammino verso la libertà dell’uomo, verso il miglioramento dell’umanità.
In quale misura allora, la memoria storica è “utile” all’uomo ?
La memoria storica come fonte di conoscenza e di analisi permette all’uomo intelligente di evitare ciò che nel passato ha penalizzato l’esistenza, cercando una strategia di comportamento per la vita nel futuro.
La consapevolezza del possesso di un patrimonio culturale da salvaguardare e tramandare ai posteri offre il punto di partenza da cui sviluppare una riflessione e un’interpretazione della propria realtà passata e presente. Così, ogni cultura, in diversi modi crea dei mezzi che attraversano il tempo, superano la mortalità dell’uomo rendendo immortali ed eterni i valori e le azioni degli uomini.
Lo storico E.J.Hobsbawm sostiene che la presenza e l’attività degli storici, il cui compito è ricordare ciò che gli altri dimenticano, siano di essenziale importanza, e da qui nasce l’idea che gli storici non debbano essere dei semplici cronisti e compilatori di memorie.
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