Nella quotidianità (familiare-sociale-lavorativa) spesso si sentono definire alcune persone come “invidiose”!! In alcuni contesti mi è capitato di poter valutare tale definizione come superficiale se non addirittura scorretta o confusionaria poiché si trattava di gelosia e non di invidia. Anche nella mia attività professionale in studio ho riscontrato questo tipo di errore/valutazione.
Ritengo quindi che sia opportuno - prima di parlare dell’invidia - di fornire una semplice spiegazione che permetta di differenziare i due tipi di sentimenti.
L’invidia è quello stato emozionale in cui un soggetto sente un forte desiderio di avere ciò che l’altro possiede (persona o oggetto) oppure sente il desiderio di distruggere ciò che l’altro ha o rappresenta. L’individuo non ha qualcuno/qualcosa e vorrebbe ardentemente averla. In alcuni casi, nell’invidioso/a, esiste il desiderio che la persona invidiata perda l’oggetto (bene o affetto) senza che l’invidioso ne tragga poi effettivo vantaggio.
La gelosia, invece, scaturisce dall’ansia/paura di perdere qualcosa che appartiene già al soggetto (paura che qualcuno possa portargliela via)!! La gelosia può essere considerata come una conseguenza o meglio un’evoluzione elaborata del primitivo senso di invidia. Anche la gelosia in alcuni casi estremi, se unita ad un forte pretesa di possesso, può divenire patologica e distruttiva ma questo tema non sarà trattato in questa sede.
Alcuni autori distinguono tra ‘invidia buona’ ed ‘invidia cattiva’.
Nell’invidia buona/costruttiva vi è l’esistenza di alcuni meccanismi positivi che portano l’individuo a confrontarsi/misurarsi con un'altra persona o ciò che rappresenta (es.: risultati scolastici - lavorativi - sportivi) al fine di migliorarsi, di ottenere risultati soddisfacenti per sé stesso. In tal senso può esserci un’identificazione positiva con l’altro. I sentimenti in questo caso - stimolati da una sorta di invidia bonaria - si possono modificare in stima, ammirazione, fascino per la persona che è risultata stimolante.
Mentre nell’invidia cattiva/distruttiva si verificano meccanismi che tendono sempre a svalutare l’altro (relativamente alla stima/importanza/affetti - agli oggetti posseduti - agli eventi) o addirittura a volere distruggere la sua felicità o sperare che succeda. Così l’invidia diventa un’emozione che genera solo ‘dolore’ sia per chi la prova sia per coloro che la subiscono.
Altri autori teorizzano che l’invidia è soltanto di tipo negativo/cattivo in quanto esiste sempre il senso di ostilità e di rancore ed in ogni caso è un sentimento enormemente spiacevole che porta l’invidioso ad un confronto inevitabile con l’altro, che gli mette in risalto il suo ‘senso di inferiorità’ e che va a rafforzare la sua - già esistente - scarsa autostima. A formare il sentimento dell’invidia contribuiscono altri stati emozionali spiacevoli come la rabbia, il rancore, il risentimento fino ad arrivare all’odio.
L’invidia - emozione dolorosa ed inconfessabile - è considerata dalla religione cattolica uno dei vizi capitali ma contrariamente agli altri (superbia, avarizia, lussuria, gola, ira, accidia) produce solo sofferenza e mai soddisfazione e/o piacere poiché induce a comportamenti meschini, malevoli, subdoli che inquinano e/o avvelenano le relazioni. In letteratura si trovano molti esempi di eccellenti e simbolici ‘invidiosi’: Lucifero verso Dio (anche se in questo caso il cristianesimo parla di peccato di superbia) - Caino verso Abele - Iago verso Otello - la matrigna di Cenerentola etc….
L’nvidia é un sentimento antico che nasce con l’individuo già agli albori della vita sia in scala filogenetica che ontogenetica. Si instaura fin dalla nascita (alcuni autori affermano che può instaurarsi già nella vita intrauterina) ed è un sentimento che durante l’età evolutiva va elaborato e raffinato - ogni volta che si presenta - affinché non diventi distruttivo per sé e per gli altri. Già Freud parla del ‘complesso di evirazione’ vissuto dalla bambina nell’infanzia che vive il sentimento di ‘invidia del pene’ quando viene a conoscenza del sesso maschile. Secondo la teoria Kleiniana, l’invidia è molto più primitiva poiché sperimentata fin dalla nascita già nella relazione madre-figlio; la Klein la ritiene fondamentale per il successivo sviluppo emotivo-affettivo del bambino. In questo prima infanzia, se l’invidia non è eccessiva ed é adeguatamente supportata ed elaborata può essere superata e ben integrata nell’Io attraverso sentimenti di gratitudine. In sintesi se le esperienze buone - relative soprattutto all’affettività/emotività - prevalgono su quelle cattive, il senso d’invidia man mano diminuisce per cedere il posto al senso di soddisfazione e gratitudine. Si creano, quindi - nel bambino in formazione - quegli ‘anticorpi psichici’ necessari per fronteggiare lo spiacevole senso di invidia che può facilmente insinuarsi in ognuno di noi. Questo è un compito che spetta nei primi anni ai caregivers (genitori e/o vicari) e successivamente anche a coloro che sono preposti alla formazione/educazione civile/sociale (docenti scolastici) dei bambini e adolescenti.
L’invidia è un sentimento complesso che non va negato né censurato anzi va riconosciuto prima di tutto dentro noi stessi, affinché possiamo analizzarlo, elaborarlo e trovare dunque un’adeguata possibilità per superarlo. Negarlo e/o non riconoscerlo, quasi sempre provoca nell’individuo - oltre ai sentimenti astiosi già descritti sopra - un senso di ansia generalizzato che lo pone in una continua e spiacevole situazione stressante che può provocare anche notevoli somatizzazioni (attacchi di panico - cefalee, coliti, gastriti dermatiti etc.). Questo stato ansioso è causato proprio dal perseverante confronto con l’altro che mette continuamente in risalto lo scarso senso di autostima dell’invidioso. L’individuo sentendosi invaso da questo schiacciante e persecutorio sentimento - che si consuma in una vorticosa spirale senza uscita - sente un impellente bisogno/desiderio di attuare comportamenti distruttivi, verso l’altro, che comunque, in nessun caso, generano gratificazioni.
Secondo il mio modesto parere di psicologa, dall’invidia nessuno è completamente immune!! Si tratta di saperla distinguere, leggere ed affrontare. Bisogna essere più benevoli verso sé stessi e verso l’altro, più duttili e con atteggiamenti positivi. Quando operiamo un confronto con l’altro deve essere un confronto che ci permetta di imitarlo positivamente ma con le nostre risorse e capacità, personalizzando il nostro operato. Il confronto è quasi uno studio, ci deve risultare utile per capire come dobbiamo muoverci per ottenere i nostri risultati e non gli stessi risultati dell’altro. Dobbiamo avere l’intenzione e la convinzione di migliorare noi stessi con le nostre risorse. Qui torniamo al concetto di ‘autostima’ che se non completamente sano è sempre possibile sanare con un adeguato processo cognitivo ed introspettivo.
(Bibliografia: R.Spitz ‘Teoria dello sviluppo affettivo’ - ‘Relazioni oggettuali del neonato’ - S.Freud Boringhieri vol. 11, 1932 - Miller e Baruch Analisi relazione madre-bambino 1948 - M.Miceli ‘L’Invidia’ Il Mulino 2012.
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