Natale si avvicina; è indubbiamente una festa a carattere religioso, ma ormai in più parti del mondo la sentiamo tutti comunque, al di là di una decisa connotazione consumistica, un’opportunità di condivisione, incontro e dono di sé.
Ciò che sembra non potere accadere nel resto dell’anno, desideriamo che accada e talvolta ne accompagniamo il concretizzarsi a Natale.
Credenti e non ci sentiamo richiamati a evocare il “bimbo” che nasce e ri-nasce: il nostro.
In molte culture anche distanti tra loro, nel tempo e nello spazio, il periodo in cui ricade il Natale, che ha origini pagane, ricordando il giorno della nascita del dio sole, è stato ed è indicato quale principio di tutto, momento nel quale ricade il solstizio d’inverno, ed in questo la notte più lunga ed il giorno più corto. Questo tempo-tempo sembra configurarsi simbolicamente quale passaggio verso altro da sè, verso la speranza, il nuovo, il non compiuto ancora, le risorse non ancora esplorate.
A partire da fine dicembre, le giornate si allungano ed il tempo che il sole è presente nelle nostre giornate si fa più lungo e caldo. Il sole rappresenta la vita; ci si prepara alla stagione della rinascita: la Primavera. Insomma ragioni profonde, direi quasi archetipiche e collettive, che azzerano cronologie e mappamondi, ci rimandano a temi di contemporanee e sempre forti risonanze, che echeggiano in modo profondo ed intenso, legati alla disponibilità al cambiamento, al vitalizzare spazi di rinascita, alla possibilità di condivisione dello spazio interno del sé con la nostra storia e radici, quale base dalla quale partire per il lungo viaggio che la propria vita ci richiede.
Accade pertanto che nonostante, anzi direi meglio proprio a fare sfondo a stimoli dissonanti e stridenti che i media ed un’idea infantile interna idealizzata ci rimandano del Natale, spesso in questo periodo così pieno di suggestioni antropologiche e convenzionali, ad un certo punto facciamo i conti con ciò che siamo, ciò che resta, ciò che non c’è e non c’è più, ma anche con ciò che vorremmo essere e sentire. Il bilancio consuntivo e preventivo, spesso preclude un rilancio propulsivo e ci si ritrova a fare i conti con spazi di sé ancora tremanti e pieni di solitudine.
Nella mia attività professionale, più che ventennale, registro un aumento sensibile di pazienti che chiedono aiuto in questo periodo dell’anno e che si trovano a fare i conti con tematiche ridondanti e spesso non ancora elaborate e “sanate”. Il senso di vuoto e solitudine sembrano essere i commensali attesi alla propria tavola. Ciò che sfavilla e suona a festa arriva come una distorsione percettiva dentro la propria esperienza emotiva, che fa affiorare altri suoni, altri silenzi, altre ombre, che ancora forse non si è imparato ad incontrare ed abbracciare.
Questo periodo può essere una strada, una luce dentro, fioca ma presente, di attesa, mesta ma fiduciosa ed attenta, verso quelle parti di sé bambine e non, che hanno da dire e da dare, che vogliono essere abbracciate e poi lasciate andare, che vanno incontro a parti nuove fiere e luminose, fragili ma intonate, proprio perché quella canzone inedita, tra musiche e parole, la stai scrivendo TU.
Nel ringraziarvi per l’attenzione che avete offerto nella lettura di questo contributo, vi invito a scrivermi nel form predisposto, nel quale sarò lieta di rispondervi, vi auguro Buon Natale e Buona Nuova Luce.
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