La comunicazione è stata studiata da molto tempo e io ho deciso di fare mia la frase di P. Watzlawick: "Non si può non comunicare". Pensiamoci bene: riusciamo a non comunicare con qualcuno? Possiamo rimanere in silenzio, chiudere gli occhi, giraci dall'altra parte, essere inattivi o completamente inespressivi ma anche quella è una forma di comunicazione. Tutti questi esempi e molti altri, fanno sempre parte di uno scambio di comunicazione allo stesso modo di avere una discussione. Quindi la conclusione è che tutto ciò che facciamo deve essere visto nell'ottica della comunicazione e dell'interazione, stiamo sempre e comunque scambiando messaggi con il prossimo. Ora sta a noi decidere cosa vogliamo trasmettere agli altri e con quale modalità. Cosa vogliamo trasmettere? Si può comunicare uno stato d'animo, un sentimento, un ragionamento, una frivolezza, siamo sempre noi che decidiamo cosa trasmettere agli altri. Possiamo trasmettere gioia per il racconto di qualcuno o allo stesso tempo orrore, possiamo far capire la nostra paura o il nostro disgusto per quel cibo, la nostra stanchezza anche se è inizio giornata, la noia di ascoltare e via dicendo. La nostra testa elabora le informazioni che riceve e le rimanda al nostro interlocutore, non è possibile "non rispondere" a chi ci sta davanti, anche la non risposta è appunto una risposta.
Con quale modalità trasmettiamo il nostro pensiero? Se sorridiamo siamo contenti, se urliamo saremo (quasi sicuramente!) arrabbiati, possiamo annuire facendo credere di aver capito qualcosa, ci inseriamo in una comunicazione perchè ci interessa oppure andiamo via perchè siamo annoiati; anche in questo caso si possono fare tanti esempi. Ma siamo sempre noi che decidiamo, che autonomamente con il nostro linguaggio verbale e non verbale definiamo cosa l'altra persona deve capire di noi.
E quindi perchè gli altri non mi capiscono? A volte siamo troppo focalizzati sull'aver ragione che non ci guardiamo, non ci rendiamo conto di come stiamo dicendo una cosa e di come ci stiamo ponendo nei confronti dell'altro. Conoscere se stessi, il proprio modo di relazionarsi, significa riconoscere la propria modalità comunicativa. Chi di noi non si è trovato in una relazione (di qualunque entità sia) e ha pensato "questo non capisce niente". Perchè non pensiamo mai "sto comunicando nella modalità giusta?" E' più facile incolpare il prossimo che mettere in dubbio noi stessi. Dubitare di quello che si sta dicendo non significa non essere capaci, o più banalmente avere torto, significa semplicemente esitare rispetto al nostro atteggiamento. Se è appunto impossibile non comunicare, perchè nessuno ci ha mai insegnato a comunicare in maniera efficace? Per ottenere un risultato sportivo mi devo allenare per mesi o anni in palestra, devo esercitarmi nella disciplina che ho scelto e poi devo essere in grado di gareggiare con i miei avversari. Da piccoli le nostre figure di accudimento ci insegnano a parlare, quali sono le parole migliori, come comporre le frasi, per questo andiamo a scuola; crescendo impariamo a relazionarci, a "stare" con gli altri, e mettiamo in pratica quello che ci hanno insegnato. Ma poi entrano in gioco le emozioni, gli stati d'animo, le belle e le brutte giornate e allora la nostra comunicazione risulta poco adeguata. Fare "palestra" comunicativa significa conoscere noi stessi, saper riconoscere i nostri stati d'animo per poterli trasmettere in maniera efficace nella nostra relazione, affinchè il nostro interlocutore sia in grado di comprendere e la comunicazione risulti veramente appagante per tutti.
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