Mi sembra di vedere la vita nuda e cruda, senza senso

federica

Salve, sono una ragazza di 26 anni, figlia di una madre severa e depressa, caduta in depressione quando nacqui io, la seconda di tre figli, e un padre opprimente, che mi ha sempre umiliata. Iniziai a sentirmi depressa alle elementari (ero schiva, non avevo amici), poi alle medie iniziarono i disturbi alimentari (condotte restrittive) e al liceo soffrii di Binge (periodo in cui concepii idee suicide). All’università studiai fuori, ritrovando così un po’ di serenità, ma in realtà i problemi non erano finiti: temevo il giudizio degli altri, mi svalutavo continuamente, mi sentivo inutile, iniziai ad ubriacarmi spesso con gli amici e capii che mi sentivo attratta da quarantenni, soprattutto quelli più stronzi. Le mie condotte “autolesioniste” mi costarono perfino uno stupro. Ora mi sento come una barca in mezzo al mare, non so quale sia la direzione da prendere (come in ogni situazione) e faccio frequentemente esperienza del “vuoto”: mi sembra di vedere la vita nuda e cruda, senza senso, e quando mi viene questo pensiero non riesco più a fare quello che stavo facendo e devo interrompere ogni azione. I miei, tra l’altro, vorrebbero che stessi sempre con loro e io sono spaventata dall’idea che un domani dovrò tornare a vivere con loro (perché non si trova lavoro).Mi chiedo: ho una nevrosi? Necessito di psicofarmaci? Che tipo di terapia fa al mio caso? Ho bisogno di un analista maschio per migliorare il rapporto pessimo che ho col maschile? Grazie!

14 risposte degli esperti per questa domanda

Salve Federica,

mi sembra dalla descrizione che Lei abbia avuto una vita piuttosto complessa e pesante. Chiaramente non è possibile fare una diagnosi rispetto alla informazioni che ha fornito nella mail. Io lavoro Bologna, qualora voglia avere una prima consultazione gratuita presso il mio studio mi può contattare.

Cordialmente

Gentile Federica,

Io esercito in privato a Ferrara. Seguire un percorso di psicoterapia potrebbe favorire la rotta verso una sua "stella polare". Utile a vivere con meno angoscia e con la forza di gestire adattativamente la sua vita.   

Può eventualmente contattarmi per un chiarimento ulteriore.

Salve, quando si nasce nel dolore, cresciamo pensando che la vita stessa sia dolore. Il dolore diventa parte di noi, come un vestito che ci viene cucito addosso e di cui non riusciamo a liberarci. Le sue paure sono fondate, soprattutto quando una persona sperimenta nuove esperienze più gratificanti e nutritive. Ma le ferite non curate continuano a sanguinare e dovrebbero essere curate. Rimarrà sempre una cicatrice, ma la ferita non farà male. Lei mi chiede se necessita di una terapia o di un sostegno e io le rispondo che traumi come il suo (stupro, mancanza di affettività genitoriale) insieme a una mancanza di autostima e continua autosvalutazione necessitano di una cornice di ascolto. Prima di consigliarle una terapia farmacologica, le consiglio di rivolgersi ad uno psicologo prima, i farmaci curano, ma non potranno mai aiutarti ad elaborare il tuo vissuto.

Cara Federica,

leggendo la tua risposta, mi hanno colpito vari aspetti: il primo è l'innegabile carico di dolore che ti porti dentro; il secondo, connesso al primo, è quanto senso di colpa tu abbia verso te stessa, e quanto tu stessa ti senta artefice del tuo dolore; l'ultimo, infine, è che malgrado queste premesse io non legga le parole di una persona arresa alla vita, o vagamente debole. Io vedo forza, voglia di reagire, di capire le ragioni del tuo disagio. Sei una giovane donna sensibile e profonda, che sa guardarsi dentro: ti chiedo solo, per favore, di non pensare che sia tu ad esserti causata determinate situazioni sgradevoli (penso allo stupro: non c'è comportamento che tu possa aver messo in atto per "meritarti" qualcosa di così lacerante. Siamo esseri umani, sperimentiamo quello che sembra poterci far bene in certe fasi della nostra vita: è naturale, non va né punito, né vissuto con sensi  di colpa: senz’altro, poi, non devono essere gli altri a punirci! Tuttavia, e qui torna il nocciolo della questione, sta a noi decidere, una volta verificata la disfunzionalità delle nostre scelte, provare a cambiare strada: non è escluso che si possa cadere per strada, probabilmente succederà, ma ogni giorno è un giorno nuovo. La scelta di affrontare un percorso di cura è una scelta dolorosa, difficile, ma anche coraggiosa: vedo in te la voglia di provarci, e l’energia per riuscirci. Ti sconsiglio, inoltre, di cercare etichette per quello che stai provando: innanzitutto perché un inquadramento nosografico richiederebbe maggiori dettagli, e poi soprattutto perché in questa fase non toglie e non aggiunge nulla al tuo vissuto. Tu sei tu, e basta. Per quanto riguarda l’orientamento alla terapia, mi sentirei di consigliarti un approccio sistemico – relazionale, che in questa fase mi sembra rispondere bene sia all’immagine che hai di te che della tua storia (non ritengo casuale il peso che attribuisci, nella genesi dei tuoi disturbi, ai rapporti con i tuoi genitori, o al tuo temperamento schivo che ti ha impedito di stabilire relazioni con i pari). La necessità di psicofarmaci andrà valutato in base alle istanze che emergeranno in un colloquio più approfondito; non mi sentirei di suggerirti, invece, un terapeuta maschio, proprio per quelle ragioni che tu indichi (è vero che potrebbe esserci un transfert più immediato, ma potrebbero entrare in gioco, fin dal primo momento, aspetti che forse andrebbero affrontati con più gradualità).

Ti auguro ogni bene, e resto a disposizione per ogni informazione.

Cara Federica,

non hai una nevrosi, ma sentimenti depressivi per curari i quali ti suggerisco sia l'utilizzo di un antidepressivo (contatta il tuo medico di base), sia una psicoterapia ad orientamento dinamico oppure cognitivo-comportamentale. Per quanto riguarda la ricerca di un terapeuta maschio non lo ritengo strettamente necessario dato che, da quanto scrivi, anche il rapporto con tua madre (e con il femminile) non è stato dei migliori.

Sentiti saluti.

Buongiorno Federica, lei è stata molto dettagliata nello spiegare le sue vicende di vita. Ma per fare una diagnosi accurata sono necessari molti più elementi. Il mio orientamento è cognitivo costruttivista, noi pensiamo che non sono le cose in se a fare stare male le persone ma come vengono interpretate. Se ha piacere potremmo vederci per un appuntamento.

Cordiali saluti

Salve Federica, dalla tua relazione sembrerebbe emergere come l’aver avuto una madre depressa, depressione indotta dal tuo venire al mondo, ti ha portato a rappresentarti non solo come il “frutto” nocivo della depressione di tua madre(caduta in depressione quando nacqui), ma anche come la personificazione ed estrinsecazione del suo problema, cosa che potrebbe averti indotto a vederti portatrice del problema fin dalla fase evolutiva. Probabilmente non solo ti sei sentita fin dalle prima fasi di vita investita di una problematica che non ti apparteneva quanto poi sei stata “designata” come portatrice del problema stesso. Ovviamente, fin da piccoli tutti noi abbiamo bisogno di un punto di riferimento quale possa essere la figura materna, ma tu hai avuto come riferimento la depressione che ti ha presumibilmente ti ha portato a vederti come una bimba non timida o riservata ma “malata”. Questa assenza di confini familiari, senza ruoli, sembrerebbe averti condotto con il tempo a sentirti “una barca in mezzo al mare” perché il mare è proprio “senza confini”. Hai paura, forse, di restare ingabbiata in un sistema dal quale sei fuggita ma senza trovare te stessa, in quanto tu barca o mare devi ancora trovare la riva. Si potrebbe sostenere, dunque, che le tue condotte sono state una fuga da te stessa come parte integrante di una famiglia, sia come adolescente che come donna accettata solo se “debole”. L'esternare il tuo disagio è già un primo passo verso il coraggio di volersi definire e per questo motivo ti consiglio un approccio con un terapeuta che si interessi alle relazioni e ai sistemi di riferimento.

Dott.ssa Tiziana Liguori

Dott.ssa Tiziana Liguori

Salerno

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Gentile Federica, le sensazione e i pensieri che descrive potrebbero essere sintomi di una reazione da stress post traumatico, compatibile con l'esperienza di violenza cui ha accennato e le ripetute esposizioni a critiche e umiliazioni. Può sembrare strano ma in presenza di traumi emotivi la nostra mente può reagire in diversi modi, uno dei quali è il distacco, il vuoto e la sensazione che niente abbia senso. É normale e denota un buon istinto alla sopravvivenza, più che una tendenza auto-lesiva. É necessaria tuttavia una consulenza per valutare meglio i sintomi che descrive e ricostruire la sua storia in tutti i suoi aspetti, passati e attuali. Le consiglio di contattare un terapeuta esperto in terapia EMDR, che sia in grado di aiutarla ad elaborare e superare gli aspetti traumatici delle esperienze che ha descritto. Saluti, 

Dott.ssa Camilla Marzocchi

Dott.ssa Camilla Marzocchi

Bologna

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Gentile  Federica,

trovare il coraggio di sintetizzare in poche righe la sua sofferenza non deve essere stato facile.

Le sue parole arrivano come un S.O.S. lanciato da quella “barca in mezzo al mare” e rappresentano il presupposto del cambiamento, che nasce dalla disponibilità a farsi aiutare.

Nel suo caso mi sembra evidente la necessità di farsi accompagnare nel suo percorso da un professionista.

Le caratteristiche di genere dello psicoterapeuta a cui deciderà di rivolgersi, dipendono da quanto ritiene potrà sentirsi a suo agio in un caso o nell’altro: provi a immaginarsi di fronte al/alla terapeuta e a sentire in quale delle due situazioni riuscirebbe a esprimersi più liberamente e a raccontare di sé, sentendosi accolta.

Poi faccia la sua scelta con fiducia che, a prescindere dal proprio genere, lo/la specialista sarà preparato/a a elaborare con lei i nodi del suo rapporto col maschile.

Nel caso, sono a sua disposizione per un colloquio conoscitivo gratuito.

La saluto cordialmente.

Dott.ssa Rossella Migliori

Dott.ssa Rossella Migliori

Bologna

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Buongiorno Federica,    

     capisco dalla sua e-mail il suo stato di malessere e di vuoto e anche il bisogno di trovare una bussola di orientamento.

Mi colpisce come subito in apertura alla sua e-mail indichi alcune caratteristiche dei suoi genitori la cui entità possiamo ipotizzare abbia influito sul suo attuale stato di malessere e di vuoto.  L’atmosfera che si respira nell’ambiente famigliare in cui si nasce e cresce, soprattutto l’atmosfera che si respira nei primi mesi e anni di vita, è in grado di incidere in maniera significativa sul senso di sé e della propria vita.

Spesso, quelli che definiamo “disturbi  della condotta” (che possono esprimersi per esempio attraverso il cibo, l’alcool, la ricerca di relazioni autodistruttive) sono dei tentativi di “autocura”  che però alla fine generano più malessere di prima. Sono disturbi in quanto effettivamente “disturbano” la percezione di sé, le relazioni, la propria capacità di affermarsi in maniera costruttiva nel mondo, ma al tempo stesso sono tentativi di uscire da uno stato di malessere profondo. Dalla sua e-mail mi sembra che abbia fatto in tal senso diversi tentativi fino a rendersi conto ora che il confronto con il vuoto e con il non-senso è molto duro da affrontare da sola.  E in questo un professionista può aiutarla a dotarsi di strumenti, costruendoli assieme. Il forte malessere che ora sta vivendo può essere anche un’occasione per cambiare. Penso che un percorso di aiuto con un professionista possa aiutarla a trovare ciò che cerca.

Rispetto al genere sessuale della persona a cui rivolgersi, penso che questa sia una cosa che è importante che sia lei a sentire: sia un uomo che una donna possono aiutarla a vedere meglio il suo rapporto col maschile, ma penso, da quanto scrive, che ci siano diverse cose importanti da rimettere a fuoco e riordinare, affinchè lei possa meglio orientarsi nella sua vita in generale, oltre che con gli uomini . Rispetto all’uso eventuale di psicofarmaci è un’ipotesi che penso sia importante valutare, perché se ben mirati gli psicofarmaci possono essere molto di aiuto, uniti però ad un percorso terapeutico di tipo psicologico.

Ha un’età ottimale per iniziare un percorso terapeutico. Su Bologna i professionisti sono molti e dal sito Psicologi-Italia.it a cui ha scritto penso possa trovare diversi profili di terapeuti tra cui scegliere. Vale la pena fare questo tentativo. Le cose possono, anche se con fatica, cambiare molto e in meglio.

Il fatto che lei abbia scritto questa e-mail è già un importantissimo primo passo. Spesso quando si sta male non si vedono vie d’uscita e si perde anche la speranza che qualcuno possa aiutarci. Spero che la mia risposta alla sua e-mail le sia di aiuto a mantenere viva la speranza, grande o piccola che sia, di poter essere aiutata e le faccia scegliere di contattare un professionista per un primo incontro.

Personalmente sono disponibile a vederla per parlare meglio di tutto ciò. Mi occupo sia di percorsi psicologici “classici” che di percorsi psicologici a mediazione artistica attraverso l’arte terapia. 

Le segnalo inoltre , se vorrà partecipare, un evento gratuito che terrò con una collega sabato 31 maggio dalle 10 alle 13, dal titolo “Le emozioni violente nei legami: creare filtri e confini”. Si tratta di un workshop di arte terapia in piccolo gruppo patrocinato dal Comune di Casalecchio di Reno che si svolgerà a Casalecchio di Reno presso la Casa della Solidarietà, in via del fanciullo 6, o  alla sezione “Eventi” può trovare il programma dell’evento. Se le occorrono maggiori informazioni può contattarmi.

Le segnalo anche un’altra iniziativa che terrò in occasione delle Festa della Salute il 1 giugno a Rocca di Bazzano: si tratta di un altro workshop di arte terapia dal titolo “Attivare le risorse in 5 step”. A breve sarà disponibile sul mio sito anche il programma di tale evento.

Cordiali saluti

Gentile Federica, ritengo positivo il fatto che lei abbia deciso di scrivere una mail a professionisti che potranno fornirle una prima indicazione di massima: avere la consapevolezza di portare in sé e nelle relazioni con gli altri un disagio e decidere di intervenire è già un segno in direzione del cambiamento, iniziare a mettere un freno alle condotte autolesioniste. L'esperienza del "vuoto" è un vissuto molto comune quando manca un coinvolgimento affettivo e significativo nelle situazioni vissute, nei rapporti umani. O la difficoltà a trovarle attorno a sé. L'esperienza del vuoto tuttavia, come dicevano gli antichi, non è pensabile per l’essere umano, nel vuoto si potrà trovare qualcosa di buono da cui partire. Non è necessario essere terapeuta maschio piuttosto che femmina per migliorare le relazioni con l’altro sesso; la cosa fondamentale in una psicoterapia è la creazione e il mantenimento di una relazione profonda, affettiva e di fiducia nel proprio terapeuta, se manca questo rapporto, la relazione terapeutica s’incrina alla prima difficoltà, quando la terapia inizia a mettere in luce emozioni e paure, anche contrastanti. Sia femmina o maschio, l’importante è che sia un terapeuta pronto ad accogliere. Ho studio a Bologna, in zona murri e a Firenze in zona viali. Se vuole.  

Dott.ssa Mirella Caruso

Dott.ssa Mirella Caruso

Roma

La Dott.ssa Mirella Caruso offre supporto psicologico anche online

Gentile Federica, ha fatto una descrizione molto dettagliata dei suoi sintomi, dei suoi pensieri, delle sue esperienze trascorse. Una terapia farmacologica potrebbe essere necessaria ma deve valutarla uno psichiatra. Il consiglio che le do e di prendere un appuntamento con uno psicichiatra (maschio o femmina non importa) così da poter farsi dare qualche consiglio ed iniziare un percorso terapeutico.

Per altre informazioni mi contatti pure.

Grazie

Cara Federica ,

ho letto con attenzione la sua lettera e la prima cosa che mi ha colpita è come, pure nelle grandi difficoltà  che ha dovuto affrontare dall’infanzia , lei sia riuscita comunque a

destreggiarsi e a raggiungere buoni risultati scolastici. Parla di liceo, di università,  percorsi d’apprendimento non adatti a chiunque e che comportano una seria disciplina, volontà , e capacità di tollerare la frustrazione per raggiungere un obbiettivo, nonché buona intelligenza, memoria, abilità ed efficienza nel ragionamento e nella riflessione. Queste e forse molte altre sono le qualità che contraddistinguono buona parte del  suo ego  cosciente  . Quindi, è possibile che per quanto opprimenti, e inadeguate sul piano della responsività emotivo-affettiva, i suoi genitori le abbiano fornito sufficienti mezzi per conquistarsi un posto nel mondo.  Oggi questa è lei: Una persona che vive una vita adeguata sul  piano intellettivo  mentre al contrario il suo vissuto emotivo –affettivo-relazionale  presenta carenze e problematiche che si trascinano da troppo tempo. Il ritratto che offre di sè  parla di una spiccata tendenza depressiva e in queste sindromi, disistima e autosvalutazione  ne rappresentano spesso  corollario inevitabile .  Vorrebbe sapere se lo stato in cui si trova possa definirsi una nevrosi. Per prima cosa il termine” nevrosi” , non la deve spaventare. Freud stesso diceva che  tutti siamo un po’ nevrotici anche nella migliore delle ipotesi possibili. In secondo luogo, non è tanto importante etichettare un disagio, quanto il comprendere la portata e il significato del dolore che induce la persona a cercare risposte , rimedi e  sostegno e in Lei, questa sofferenza appare bruciante. Non essendo medico non posso esprimermi con esattezza, ma chi opera nel nostro campo a volte può trovarsi nella condizione di dovere inviare un paziente da uno specialista , in genere, medico psichiatra, per la prescrizione di farmaci antidepressivi o ansiolitici. Soltanto dopo una accurata anamnesi, sarà comunque possibile esprimere un parere. Tamponare con un farmaco la sua sofferenza potrà lenire il dolore per un po’, ma non potrà sicuramente aiutarla a rafforzare e rimodulare le sue difese psichiche per le quali come ha ben compreso, è necessario un percorso di elaborazione all’interno di una relazione psicoterapeutica. Per quanto attiene alla scelta dello specialista,  spetta a Lei  sola decidere con chi si troverebbe più a suo agio. Intuendo però una richiesta non espressa, penso che il primo problema che dovrà affrontare, non sarà quello legato al cattivo rapporto con gli uomini che comunque sicuramente dovrà essere approfondito, ma quello con la madre  che è la prima figura di cura, sostegno , nutrimento fisico , psichico e di contenimento affettivo. Il rapporto con essa infatti pone le fondamenta della fiducia e della gioia di vivere. La sua volontà ad uscire dalle difficoltà mi pare forte e questo non può che costituire un dato prognostico positivo. Ricordi che una forte motivazione è già di per sé, indice di felice riuscita di qualunque impresa.

Le propongo i titoli di alcuni libri che possono esserle d’aiuto nella comprensione della sua problematica:

“Le ferite delle donne”- Vera Slepoi - Mondadori Editore

“L’insicurezza femminile”-Marina Valcarenghi - Bruno Mondadori Editore

“Mamma non farmi male”- Marina Valcarenghi”-Bruno Mondadori Editore

Un caloroso saluto

Parma

Salve Federica,

le domande che lei pone sono certamente complesse e necessiterebbero di un approfondimento che non credo possa esaurirsi via web. Tuttavia, vorrei provare a dare un piccolo contributo alle risposte dei colleghi.

Fermarsi ad etichettare il suo malessere potrebbe essere utile a chi è interessato a un'analisi statistica o forse a qualche collega che voglia proporre una soluzione farmacologica, forse.

Da quello che scrive lei, penso invece che la sua richiesta implicitamente sia rivolta a comprendere meglio il senso di ciò che ha vissuto fino adesso, riuscire a dare un significato, se possibile, alla sofferenza provata e comprendere come mai certe sue esperienze siano andate come sono andate. In questo senso, penso che nessun farmaco possa "risolvere" il suo problema. Certo gli approcci psicoterapici sono tanti e a volte il paziente non sa orientarsi nella scelta.

Nelle psicoterapie cognitive, in particolare cognitivo-.costruttiviste, il terapeuta aiuta il paziente proprio a costruire un senso, un significato a quel che ha vissuto, ma soprattutto a quel che vive oggi; lo sostiene in un percorso di costruzione di senso di Se stesso e delle relazioni con gli altri. La possibilità di comprendersi meglio e di trovare dentro di sè un significato per la propria vita diventa così il presupposto per attenuare e forse risolvere i problemi relazionali o i sintomi o comunque quei problemi più visibili della sofferenza interiore, ma che ne fanno la spia.

Ho scelto di non entrare nei dettagli della sua storia cui ha accennato, per consigliarle più che altro un tipo di psicoterapia che possa rispondere meglio alla sua richiesta. Per quanto riguarda il genere del professionista cui si rivolgerà, consideri che lui/lei sarà uno strumento di comprensione di sè, quindi sia uomo o donna, lei potrà essere aiutata a rispondere alle sue domande.

Mi scuso se non sono stata sufficientemente esauriente e le offro la mia disponibilità a chiarire aspetti della mia risposta.

Un saluto.