Buongiorno, sono la mamma di una bimba di 8 anni. L'insegnante di matematica ci ha segnalato, già dall'anno scorso, che la bimba è spesso con la testa fra le nuvole, però, nonostante ciò, sa rispondere alle domande, quindi si distrae parzialmente...
Il primo anno scolastico si è concluso con i seguenti voti: 10 in comportamento, 8-9 in matematica e italiano, quindi non parliamo di un elemento problema per la classe, nè di un bambino con difficoltà serie di apprendimento. Eppure, di recente, la bambina che ormai è in seconda elementare, è stata messa fuori classe, senza essere nemmeno sorvegliata da un altro docente .... perchè durante la lettura di un testo, ha perso l'attenzione e quindi non sapeva più a che paragrafo fossero arrivati i suoi colleghi con la lettura a voce alta...
Al ritorno in classe, tutti i colleghi hanno riso in coro e la bambina si è sforzata per non piangere per la vergogna. Il risultato è stato l'umiliazione e l'ulteriore paura di esprimersi e di difendersi.
A distanza di alcuni giorni, mia figlia non vuole più parlarne, vorrebbe dimenticare ..io non posso ..vorrei accertarmi che questo metodo non sarà più utilizzato nella sua classe, ma soprattutto con mia figlia. Come madre mi chiedo se la pedagogia insegna questo metodo ai nostri maestri? Possibile che la prassi per un bambino che perde il filo della lezione, sia quella di isolarlo sul corridoio della scuola, senza che sia nemmeno sorvegliato?
Le colleghe della bambina mi hanno riferito che la maestra ne richiama spesso l'attenzione con rimproveri, quindi tutti i suoi colleghi la trattano ormai come se avesse un problema. Anche in questo caso , se apro il dialogo, mia figlia non desidera molto parlarne e sfugge appena possibile... mi piacerebbe capire anche in che modo posso aiutare la bambina ad evitare tali situazioni in futuro. Grazie
Buonasera.
Sinceramente lo trovo un po' eccessivo come metodo educativo, anche perché potrebbe esserci un disturbo dell'apprendimeno o un problema di deficit dell'attenzione dietro ed, in entrambi i casi, tale metodo può soltanto peggiorare la sintomatologia di sua figlia.
Se sua figlia non ne vuole parlare è perché evidentemente si è sentita ferita, sia dalla punizione che dalla reazione dei suoi compagni, al suo rientro in classe. Eviterei di insistere nel farla parlare, proprio per questo motivo: in qualche modo è come se riaprisse quella ferita.
Quello che invece potrebbe fare, è chiedere un consulto ad un esperto di psicologia infantile, per identificare esattamente il problema e cercare la soluzione ottimale. In alternativa, potrebbe valutare l'idea di cambiare scuola, il che significherebbe, però, recidere eventuali relazioni significative per sua figlia (non so se, ad esempio, è paticolarmente legata a qualche compagna di classe).
Valuti lei quale delle due strade è meglio perseguire.
Gentile Camelia, colgo la sua preoccupazione.
Riassumo i punti salienti della sua lettera e della sua preoccupazione:
- senso di vergogna e di umiliazione della bambina per la derisione dei compagni;
- tendenza attuale della bambina ad evitare di parlare a casa del disagio conseguente allo scherno dei compagni, dopo l’essere stata messa fuori dall’aula;
- metodo costruttivo?
- possibile problema… ????
Parto dall’ultimo punto poiché è quello che mi sembra il più ambiguo.
Lei scrive: Le colleghe della bambina mi hanno riferito che la maestra ne richiama spesso l'attenzione con rimproveri, quindi tutti i suoi colleghi la trattano ormai come se avesse un problema. Se ho interpretato bene la parte finale della sua lettera, quindi, sarebbero gli altri bambini a trattare sua figlia come se avesse un problema e non gli insegnanti ad averle segnalato particolari difficoltà della bambina nell’apprendimento e/o nel comportamento. Mi sembra anche di capire che voi genitori non abbiate parlato dell'episodio in questione con l'insegnante.
Ora, dunque, se la mia interpretazione delle sue parole è stata corretta, passo ad esprimerle alcune riflessioni sugli altri punti che sembrano, invece, essere il problema da parte di sua figlia.
Lei ci chiede un'opinione sul tipo di intervento che ha applicato la maestra, cioè se sia stato costruttivo oppure no per sua figlia. Lei ci chiede implicitamente un giudizio di valore sulla maestra, che ritengo inopportuno rivolto a noi, dato che non conosciamo l’insegnante, esattamente come non conosciamo Lei, ma ci basiamo solo su ciò che ci viene raccontato per offrire qualche spunto di riflessione.
Ad ogni modo Camelia, per capire se tale intervento educativo sia risultato efficace, ovvero "costruttivo" al raggiungimento di una maggiore attenzione in aula da parte della bambina, evidentemente per saperlo dovrà andare a chiederlo all’insegnante. E' l'unica persona che può darle una risposta a riguardo.
Immagino che il punto che le stia più a cuore è il disagio di vergogna e di umiliazione, che ha riscontrato nella bambina dopo questo evento.
- Dal mio punto di vista, sarebbe opportuno che lei andasse a parlare, insieme a sua figlia, con la maestra di matematica. Questo incontro potrà essere utile per diverse ragioni. Per :
fare sapere alla maestra che lei è stata informata dalla bambina della sua disattenzione e che l’episodio ha creato scherno da parte di alcuni compagni. (Questo dialogo servirà per comprendere il punto di vista dell’insegnante sull’accaduto e anche l'insegnante avrà modo di avere delle informazioni sul vissuto della bambina che evidentemente finora non ha avuto. Tale dialogo potrà servire anche a capire se sono state evidenziate particolari problematiche dell’attenzione e/o dell’apprendimento. Qualora vi venissero segnalate, ovviamente, andranno approfondite da esperti dell’età evolutiva);
- dare l’occasione alla bambina di prendere parte all’ascolto delle vicende scolastiche che la riguardano;
- facilitare il dialogo tra maestra e bambina;
- facilitare il dialogo tra maestra e genitori;
- offrire la possibilità alla bambina di esternare alla maestra il suo vissuto successivo all’episodio (e affrontare così l’attuale paura di esprimersi, anche se con vergogna o timore).
Camelia, capisco la sua perplessità riguardo ad un intervento educativo, che forse giudica severo. Educare sicuramente è un compito complesso. Esso è frutto di un lento e paziente lavoro di costruzione di relazione con chi si educa (figli o allievi che siano).
Proprio per questa ragione, gli adulti che se ne occupano (insegnanti, genitori) hanno il compito di essere i primi a collaborare ed a costruire tra loro un reciproco dialogo e rapporto di fiducia. Solo il dialogo permetterà di facilitare la crescita armoniosa dei piccoli, sia sul piano scolastico che relazionale. Una strada che si costruisce insieme, con tutti i componenti coinvolti (allievi, genitori, insegnanti), e che porta nel tempo all’arricchimento umano di tutti. Cari saluti