Adolescenti e pandemia: crescere ai tempi del covid.
Se si dovesse utilizzare una sola parola per descrivere gli ultimi due anni, con molta probabilità penseremmo a paura...si fa riferimento alla paura di leggere l’esito di un tampone, alla paura di essere contagiati e di contagiare le persone care, alla paura per le ripercussioni presenti e future sulla propria vita…
La necessità di contenere i contagi ha costretto a misure estreme di intervento, come il lockdown dello scorso anno, che, se da una parte è stato necessario sicuramente per garantire la protezione personale, dall’altra ha creato situazioni di isolamento e restrizioni sicuramente difficili da gestire.
I giovani, sia bambini che adolescenti, non sono stati risparmiati da questo scenario, anche se, in un primo momento sono forse passate inosservate le ripercussioni della pandemia sul loro sviluppo.
Per questo motivo è opportuno prestare attenzione a questa fascia di età per capire che cosa sta accadendo loro e poter intervenire in maniera tempestiva ed adeguata.
Numerosissimi studi condotti in varie parti del mondo, dal Canada, agli Stati Uniti, ma anche Cina, Gran Bretagna e Italia (…) hanno evidenziato il diffondersi su larga scala e in maniera significativa di sintomi psicologici conseguenti alla pandemia. Se in un primo momento rispetto alla diffusione del virus, i disturbi esternalizzanti (disturbi del comportamento, ADHD, disturbo oppositivo/provocatorio) hanno avuto un impatto maggiore sugli equilibri delle famiglie, adesso si assiste ad un aumento generalizzato di sintomi interiorizzanti (ansia legata all’incertezza e depressione provocata da un senso di impotenza e rassegnazione rispetto al futuro).
Per comprendere meglio la portata e il senso della diffusione di questa sintomatologia basta fare un breve excursus su quello che è l’adolescenza e sulla sua funzione.
L’adolescenza viene definita come un periodo dello sviluppo personale in cui l’individuo passa, o dovrebbe passare, da uno stato fisico e mentale infantile ad uno stato adulto. Come individuato dal ciclo di vita, l’adolescenza è pertanto una fase delicata per tutto il nucleo familiare perché prevede trasformazioni fisiche e caratteriali che richiedono continue ridefinizioni di ruoli e compiti da parte di tutti i componenti della famiglia.
In questa fase della vita i ragazzi costruiscono la propria identità e il proprio carattere partendo dal modello proposto dai genitori per metterlo continuamente alla prova e confrontandolo con altri modelli che incontrano fuori casa, fino a crearne uno proprio. E’ quindi facile intuire quanto questo periodo sia di per sé denso di ansie derivanti dal distacco dei legami affettivi intrafamiliari a favore di un investimento emotivo-affettivo esterno alla famiglia. Queste ansie, del tutto naturali e fisiologiche, cercano contenimento e rassicurazione nei rapporti di amicizia con coetanei dello stesso sesso o inserendosi in un gruppo.
In questi due anni quindi i ragazzi sono stati privati della possibilità di crescere attraverso il confronto, dei legami che avrebbero dovuto dare loro sicurezza e, in molti casi, anche del contenimento emotivo da parte dei genitori, travolti a loro volta da ansie, paure e incertezze!
Una riflessione a parte andrebbe fatta per tutti quei ragazzi che si trovavano a vivere già prima dell’arrivo del covid, situazioni familiari delicate se non addirittura traumatiche; pensiamo alle famiglie litigiose o con genitori in fase di separazione o violenti...quanto può essere stato angoscioso ritrovarsi chiusi per giorni, settimane, mesi in un ambiente così ostile?!
Ritornando a quanto sopra, per riassumere brevemente, abbiamo assistito allo sviluppo di disturbi comportamentali o disturbo oppositivo-provocatorio nella prima fase di impatto con il covid (violare il coprifuoco o le resistenze ad indossare la mascherina non sono comportamenti superficiali messi in atto dai giovani ma si possono tradurre come risposte sintomatologiche usate per gestire l’ansia e mantenere un controllo illusorio sulla paura e sulla propria vita).
In questo primo momento è stato fondamentale per tutti, non solo per gli adolescenti trovare rassicurazione in un sentimento di vicinanza, nella condivisione collettiva e in un senso di appartenenza: ricordiamo le danze sui balconi con le radio che trasmettevano tutte le stesse canzoni, ma anche gli stessi slogan – “Lontani ma vicini” o “Insieme, senza paura”...sono tutti esempi immediati del tentativo di mantenere il controllo per contrastare il dilagare della paura. Un altro esempio molto diffuso è rappresentato dall’abitudine di rimanere svegli a lungo durante la notte, come a reclamare la libertà persa durante il giorno. Una giornalista cinese ha usato un’espressione per indicare questa tendenza che potrebbe essere tradotta con “rimandare il momento di andare a letto per vendetta”.
Ritornando ai ragazzi, ancora chiusi in casa, ancora privati della scuola (non intesa come didattica ma come luogo di socializzazione e confronto), ancora limitati con coprifuoco, attività sportive sospese e locali chiusi...sono diventati terreno fertile per lo sviluppo di stati depressivi e ansiosi, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare, autolesionismo, stati ipocondriaci, episodi di violenza e uso di sostanze alcooliche (being drinking) o stupefacenti.
Mai come in questo anno i maturandi hanno dimostrato livelli di ansia e preoccupazione così alti in prossimità dell’esame, associati a sentimenti di tristezza e rabbia per non aver potuto condividere con i compagni l’ultimo anno di studio e tutti i rituali che lo accompagnano.
Oltre a coloro che mostrano una sintomatologia delineata, quasi la totalità dei restanti sta sviluppando un particolare e caratteristico stato d’animo. Il sociologo Corey Keyes ha coniato il termine languishing per indicare lo stato di assenza di gioia che caratterizza gli adolescenti del 2021. Non sono ragazzi depressi, ma manca speranza, benessere, progettualità...non ci sono sintomi ma non “funzionano” perché c’è un profondo senso di stagnazione e vuoto che ostacola le azioni e le emozioni. Il New York Times ha paragonato questo stato d’animo al “guardare la propria vita scorrere attraverso un finestrino appannato” e non è escluso che questo “languire” possa essere un sentimento predittivo del rischio di sviluppare uno stato depressivo e ansioso a lungo termine.
Il pericolo più grande è rappresentato dall’inconsapevolezza legata al languishing perché se non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto.
Che fare di fronte ad uno scenario simile?
Per prima cosa è necessario promuovere la conoscenza e consapevolezza delle risposte sintomatiche o predittive di sintomi. Sapere che esistono non solo sintomi specifici ma anche il languishing o una stanchezza emotiva che rende difficile la gestione quotidiana o ostacola la tanto aspettata ripartenza, è una tappa fondamentale perché normalizza le sensazioni e mette in grado di chiedere aiuto e supporto ai genitori ed agli specialisti.
E’ utile, quanto importante diffondere il concetto, non solo tra gli adolescenti, che l’assenza di malessere non necessariamente coincide con il benessere, sia sul piano fisico che psicologico e che per poter stare bene è necessario assumere una posizione attiva nella vita...pulire il finestrino, aprire il vetro o meglio ancora uscire fuori per farlo con le proprie gambe il viaggio, se vogliamo riprendere la metafora del Times.
Intervenire poi in maniera tempestiva ed adeguata è fondamentale, ma non dimentichiamo che i giovani hanno grandi capacità di adattamento e una grande resilienza e che non c’è niente di irreversibile sul piano sintomatico perché, come ha detto Fabrizio Starace, psichiatra della task force di Conte, “nella memoria dell’evento traumatico, c’è anche il ricordo di averlo superato”.
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