Nella radice etimologica del termine adolescenza è già possibile rintracciare la complessità di questa fase evolutiva, in cui si intrecciano significanti relazionali e trame simboliche specifiche. La dimensione del crescere (da adolesco) rinvia all’esercizio di un ruolo attivo e in prima persona di un soggetto che è chiamato a sviluppare la propria autonomia, attraverso un investimento globale di aspettative (culturale, sociale, familiare, individuale); la dimensione del soffrire (doleo) condensa la fatica di questo processo e il coinvolgimento di un’emozionalità intensa e travolgente, che diventa lo spazio transizionale tra l’adolescente e l’ambiente, in cui si modella ogni forma di processo mentale creativo, uno spazio in cui c'è la potenzialità o la capacità di essere in una certa maniera, in una dinamica di costruzione e di riconoscimento di sé e gli altri. Per ultimo ma non ultimo, la dimensione del nutrire (aleo) , che implica la presenza di un altro significativo che sostenga l’adolescente in questo fase evolutiva e che quindi consenta una funzionale conquista dell’autonomia soggettiva, attraverso la possibilità di vivere la dipendenza come vincolo di integrità del modello relazionale.
Il nutrimento rimanda alla centralità del corpo nell’adolescenza, in un complesso trifunzionale rappresentato dal corpo dei bisogni, quello del desiderio e quello simbolico. Nel percorso che porta l’adolescente a integrare queste diverse rappresentazioni della corporeità, egli si trova a fronteggiare la transizione da corpo infantile a corpo adulto, nella dinamica conflittuale tra narcisismo e godimento. Il corpo diviene il teatro della costruzione identitaria e attraverso la sua simbolizzazione è possibile condensare le esigenze del corpo dei bisogni e del desiderio, attraverso il nutrimento e il riconoscimento della propria sessualità adulta, dimensioni necessarie per esercitare la propria generatività.
In tal senso gli attacchi al corpo, rilevabili in differenti forme cliniche, reificano la difficoltà a simbolizzare i nessi tra le due dimensioni corporee sopracitate, in veri e propri attacchi al legame, in una scissione tra mente e corpo, infanzia e adultità, bisogni e desideri.
Gli stessi attacchi al legame sono evidenziabili nella relazione con i genitori e tra i genitori. Infatti nella transizione attuale da famiglia etica a famiglia affettiva, l’adolescente si trova ad attuare i suoi movimenti di separazione valicando i confini relazionali piuttosto che solamente comportamentali, ciò attiva maggiori difficoltà nell’espressione di sé e sensi di colpa sia nel figlio che nella coppia genitoriale, proprio perché questi movimenti (data la cultura familiare) sono sentiti come attacchi al legame affettivo; per un altro verso questo a sua volta poggia su una difficoltosa integrazione tra ruoli genitoriali e personali, che nutre una rappresentazione della realtà in una continua altalena tra fusionalità e scissione.
Questo contribuisce a importanti difficoltà nella realizzazione del processo di separazione sia all’interno della coppia coniugale che in quella filiale, negando quindi la possibilità di un legame autentico, fondato sul riconoscimento di sé e dell’altro. Ciò ostacola lo sviluppo di una rappresentazione integrata della realtà e delle relazioni, che spesso nell’adolescente si condensa in un fallimento nell’integrazione dell’immagine corporea.
I disturbi alimentari, tra separazione e individuazione
In una condizione di impasse evolutiva come quella descritta, il ruolo dell’Ideale dell’Io come forza propulsiva per la crescita, differenziazione e integrazione, subisce una perversione diventando un’ idea organizzatrice dominante, una forma arcaica di Io ideale a cui l’adolescente si aggrappa per evitare la rottura del contatto sociale e la dissoluzione della propria identità, in una sorta di bolla narcisistica. Questo Io ideale si impone su tutta la personalità del soggetto con le modalità di un Super- Io molto rigido e prevaricante, che nella teoria dei codici di Fornari si traduce nella prevalenza di un codice affettivo inconscio saturante la famiglia e l’adolescente stesso. In ambito clinico psicopatologico, i disturbi alimentari nelle adolescenti, con particolare riferimento al disturbo anoressico, sono il tentativo di trovare un rinforzo alla fragilità nei valori del codice paterno, in una forma rigida e caricaturale, che emargina il codice femminile e quello materno. La perversione del codice paterno assume rilevanza e significato rispetto alla scelta del sintomo se si rileva come gli stessi valori occidentali della femminilità si sviluppino verso un investimento sull’efficienza, la competitività, il potere della mente e la svalorizzazione della dipendenza, della passività, del prendersi cura e del potere del corpo tipici del vecchio modello femminile/materno.
Oltre che ad una conflittualità tra i due codici di genere, è possibile evidenziare una conflittualità interna al codice femminile, tra valori materni e valori femminili, in un duplice misconoscimento: da una parte del potere generativo dell’essere madre, traslato nel fare la madre, con una regressione alla primordialità narcisistica; d’altro canto un misconoscimento del potere seduttivo e della dinamica desiderante, tradotta in mancata valorizzazione della sessualità e del potere relazionale (quindi transitivamente generativo); dinamiche che trovano una replica quasi identica (nel senso dell’Idem) nel mondo intrapsichico dell’adolescente con dca (disturbo del comportamento alimentare) e nella coppia coniugale. In quest’ultima spesso predomina infatti una mancata integrazione di erotemi e parentemi , in una configurazione affettiva che fa del codice materno l’unico modello relazionale possibile e che condensa l’assenza del terzo, come dimensione del limite, del desiderio, della dinamica genitale fondata sullo scambio e sulla simbolizzazione.
In tal senso il rifiuto del cibo, nel sintomo anoressico, rappresenta un tentativo di opporsi difensivamente alla dipendenza inglobante e saturante del pensiero familiare, innescando paradossalmente un ulteriore dipendenza di stampo narcisistico nel rapporto con la realtà e bloccando dunque il processo di separazione- individuazione.
La complessità della fase adolescenziale è insita proprio nell’intrecciarsi di compiti evolutivi a più livelli, comprensibili solo all’interno di un paradigma sistemico che abbandona le logiche lineari, sia nel delimitare il confine tra fisiologico e patologico, che poi nella valutazione e presa in carico di una condizione di interesse clinico.
È necessario sottolineare come in tal senso, sia di prioritaria importanza costruire una cornice di alleanza poggiata sulla co- progettazione e la collusione degli obiettivi dell’adolescente e della sua famiglia, che tramite declinazioni più funzionali rappresentano gli stessi obiettivi della terapia, ovvero lo sviluppo dell’identità autonoma dell’adolescente e la conquista dell’essere genitori in senso generativo, elaborando una seconda nascita di sé e del proprio figlio in senso sociale, un sociale immaginario e intrapsichico.
Dr.ssa Veronica Rinaldo
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