L’adolescenza è una fase molto importante del processo di crescita. Tradizionalmente questo periodo è compreso tra gli 11 e i 18 anni, ossia tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’inserimento nel mondo adulto. Attualmente, pur rimanendo invariati i criteri che individuano l’adolescenza, viene preso in considerazione un arco di tempo più ampio (fino ai 25 anni di età), definito “tarda adolescenza”. Il periodo adolescenziale è uno stadio del ciclo di vita della famiglia, molto complesso, dal momento che la crisi è innegabilmente presente. Le famiglie con figli adolescenti, generalmente, fanno i conti con dei cambiamenti e devono proporre confini qualitativamente diversi, da quelli utilizzati quando i figli erano più piccoli. I confini diventano più permeabili, perché il genitore inizia a perdere quel senso di autorità, che fino ad allora gli apparteneva. Tipico, in questa fase del ciclo vitale, è l’acquisizione di una nuova scala di valori, che gli adolescenti apprendono nella relazione con gli amici. Questa è la fase del conflitto tra genitori e figli. I continui scontri con gli adulti servono al giovane ragazzo/a a mettere alla prova i confini del proprio sé ed a infrangere i limiti definiti dalle regole di comportamento, imposte dalla società o dalle leggi. Il periodo adolescenziale è contraddistinto soprattutto dal cambiamento corporeo, dalla maturazione sessuale e da elementi di attesa e di passaggio. Infatti un ragazzo/a, in questa fase, diventa diverso da “ciò che era prima”. E’ “in procinto di diventare”, ma “non è ancora quello che sarà”. Nonostante ancora non possieda gli strumenti e le capacità necessarie, un giovane, durante questo stadio di crescita, è alle prese con compiti corrispondenti sia il suo sviluppo fisico, che la definizione ed il mantenimento delle relazioni con gli altri. Da un punto di vista psicologico, le emozioni connesse a questi cambiamenti, hanno un ruolo importante, perché, se ben riconosciute, aiutano un individuo ad essere consapevole sia di sé che degli altri. Un adolescente trascorre molto tempo con il proprio gruppo di amici. Quest’ultimo rappresenta per un giovane, un necessario e fondamentale “salvagente”, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il gruppo infatti comprende in se la vita sociale, affettiva e lo scambio di pensieri di un ragazzo/a. Può essere quindi considerato non soltanto come un rischio, ma anche come un’opportunità.
Il disagio di un adolescente è, il più delle volte, correlato al conflitto interiore, tra il sentirsi ancora fanciullo ed il desiderio di crescere. Generalmente, in questa fase di passaggio, un giovane avverte paura, ansia, preoccupazione, etc.. In alcuni casi, potrebbe rimanere talmente scosso o bloccato da queste emozioni, da rinchiudersi in se stesso. In questi momenti un ragazzo potrebbe affermare di sentirsi solo, incompreso e fragile. Se la risposta proveniente dall’esterno è un sovraccarico di questi aspetti, un adolescente potrebbe correre seri rischi, come tendere verso una chiusura sociale, un disturbo della condotta o, in casi estremi, optare addirittura per il suicidio.
Attualmente il cambiamento della struttura valoriale della società o della famiglia e l’incertezza concreta del futuro, causata dalla disoccupazione, fa aumentare, in maniera esponenziale, il livello di disagio tra i giovani. L’omologazione culturale e la difficoltà di reperire modelli identitari di riferimento, rappresentano importanti fattori di rischio, che fanno accrescere la condizione di disagio psico-relazionale di un adolescente.
Nella mia esperienza di psicologa ho conosciuto molti ragazzi adolescenti, che esprimevano un forte senso di appartenenza al gruppo di amici. Proprio questo elevato livello di dipendenza dal gruppo, mi ha fatto comprendere quanto questi ragazzi si sentissero soli. Oggi gli adolescenti sono costantemente sottoposti dalla società, a continue spinte di accelerazione, che non riescono a sostenere. Questi meccanismi non fanno altro che accrescere l’individualismo, la competizione ed il consumo, tutti valori che pian piano iniziano a depositarsi nell’inconscio dei nostri ragazzi. La sindrome da dipendenza (es. droghe, alimentari, internet, videogames, etc.) potrebbe essere un chiaro ed evidente sintomo del disagio giovanile.
Oggi i ragazzi, a causa della disoccupazione, della mancanza di stimoli importanti per una costruzione identitaria del proprio sé e per l’evolversi del tradizionale modello di struttura familiare e valoriale, avvertono molta noia. Questa emozione può essere considerata un’anticamera della depressione. Questi ragazzi sono apatici, non hanno voglia di far niente, nulla li interessa e spesso abbandonano anche gli studi. L’ansia è un altro importante indice di disagio, che, in alcuni casi, esprime la mancanza di riconoscimento, di sostegno e di ascolto. Infatti alcuni ragazzi dichiarano di non avvertire la presenza del proprio genitore, o di sentirsi ipercontrollati. Questo tipo di relazione genitore-figlio, regolato dall’aggressività, invece che da un reale desiderio di comunicazione, può sia inficiare il senso di fiducia, che un giovane ha verso di sé e gli altri, che provocare un’implosione emozionale, che può condurre a forme patologiche del comportamento. L’incertezza del futuro è un’altra emozione che appartiene ai giovani della nostra provincia. Essi vivono soltanto nel “qui ed ora”, prediligendo momentanee e fittizie sensazioni di benessere, come le droghe, per alleviare il proprio senso di disagio. Gli adolescenti in generale acquisiscono, a causa dei media, bisogni impersonali, rischiando di mettere da parte ciò a cui ambiscono realmente. Infatti le informazioni veicolate dai mezzi di comunicazione di massa, se subite e quindi non adeguatamente filtrate, possono inglobare i nostri ragazzi in meccanismi numerici, che impongono canoni predefiniti (es. reality show).
L’ascolto e la comprensione dei bisogni degli adolescenti, potrebbe essere un primo passo per comprendere la natura dei loro conflitti. La figura dello psicologo nella scuola, che rappresenta un altro importante luogo di strutturazione dell' identità e della capacità relazionale di un ragazzo, è fondamentale. Gli insegnanti e le famiglie andrebbero sostenuti da esperti del settore, sia per comprendere il significato che si cela dietro il disagio manifestato da un giovane, che per acquisire nuove possibilità di relazione, di intervento e di comunicazione. Un altro aspetto è quello di sensibilizzare tutta la società a questa realtà di disagio giovanile. Troppo spesso nei discorsi della gente si sente usare il termine “ormai”, riferito a un tempo trascorso che non ritornerà più. Quell’ormai fa pensare che viviamo una situazione irrecuperabile ed irreversibile. Queste affermazioni non sono altro che pericolose etichette per i nostri giovani. Infatti se questi ragazzi vengono riconosciuti come “tutti uguali”, vuol dire che si sta negando loro la possibilità di una dignità identitaria. Tutte queste definizioni non fanno altro che rinforzare quell’idea di omologazione, di noia, che contribuisce a far crescere nei giovani della nostra provincia quel senso di cristallizzazione del presente e allo stesso tempo di incertezza del futuro.
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