L’ADOLESCENZA
L’idea di adolescenza non è così scontata ed universale come può apparire. Si tratta, al contrario, di un concetto che ha, da un lato, precise origini storiche e, dall’altro, modalità interpretative diverse, legate a specifici contesti sociali, economici e temporali.
L’adolescenza è considerata un periodo complesso in quanto durante questa età avvengono diversi cambiamenti. Alcuni di questi cambiamenti sono causati da fattori interni (come la crescita fisica e la maturazione sessuale), altri invece sono la risultante dell’azione congiunta di fattori esterni operanti nell’ambiente sociale, scolastico e familiare, come ad esempio il livello culturale, i fattori economici, i cambiamenti demografici, i rapporti tra i sessi, gli atteggiamenti educativi, le prospettive di inserimento nel lavoro, le aspettative che l’ambiente ha (o non ha) nei confronti dei giovani.
Esistono perciò modi diversi di vivere questa età che dipendono solo in parte dalle caratteristiche individuali.
Nelle cosiddette “società primitive” esistono fondamentalmente tre età della vita: infanzia, età adulta e vecchiaia. L’adolescenza è un periodo breve dello sviluppo che in pratica coincide con la maturazione sessuale. Un’altra caratteristica di quelle società è che in esse sono quasi del tutto assenti quelle manifestazioni di insofferenza e di incertezza sulla propria identità, che caratterizzano l’adolescente della società occidentale contemporanea.
Dalle ricerche fatte da Margaret Mead nelle isole di Samoa si è potuto osservare come il passaggio dal mondo infantile a quello adulto sia più breve, e quasi mai traumatico. La vita sociale comporta pochissime restrizioni; l’allontanamento temporaneo dalla famiglia è considerato normale anche quando i figli sono molto piccoli; la società è omogenea e non soggetta a trasformazioni, perciò il giovane non deve orientarsi tra diverse ideologie, diverse fedi, studiare e acquisire nuove abitudini. Egli apprende una serie di abilità già durante l’infanzia (accudire i bambini, costruire canoe, praticare la pesca) così all’età di 12-14 anni non si verifica in pratica nessun cambiamento improvviso – soprattutto sul piano fisico – che desti particolare attenzione. Il bambino di queste isole è nato per essere introdotto in una società permissiva nella quale la permissività continuerà ad essere la caratteristica principale e se egli deve affrontare delle “prove” queste sono codificate in un rito di passaggio cui partecipa coralmente tutta la comunità.
Anche nelle società pre-industriali europee non era previsto un periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta, né esisteva un modo uniforme di preparare i giovani attraverso la scolarizzazione obbligatoria. Le situazioni potevano presentarsi alquanto diverse. Molti trascorrevano la loro adolescenza entro i confini della famiglia; le ragazze in particolare imparavano tra le mura domestiche, dalla madre e dalle altre donne, a svolgere tutte le mansioni femminili, ad occuparsi dei bambini e dei vecchi. Alcuni giovani, già verso i 10-12 anni, venivano inseriti come apprendisti presso degli artigiani, altri erano inviati come servitori nelle famiglie dei ricchi, altri seguivano il modello paterno, altri ancora studiavano e vivevano a pensione lontano da casa. C’era poi l’abitudine diffusa soprattutto in Francia ed Inghilterra, di inviare per alcuni anni i figli (maschi e femmine) in un’altra famiglia dove svolgevano i lavori domestici o altre attività. Questo serviva alla famiglia per guadagnare qualche cosa ed al ragazzo per abituarsi a vivere fuori casa con persone diverse dai familiari. Questa abitudine di “mandare i figli fuori”, non apparteneva solo alle classi meno abbienti ma anche alla classe media, e non indicava necessariamente dei legami familiari deboli ed uno scarso interesse per i figli. Al contrario, si trattava di un modo di allevare i giovani che aveva tra gli altri obiettivi anche quello di renderli autonomi attraverso un metodo che consentiva un distacco graduale e non traumatico. Le famiglie che ospitavano questi ragazzi (e che a loro volta avrebbero inviato o potevano aver inviato i propri figli presso altre famiglie) se ne assumevano la responsabilità e si occupavano della loro formazione senza iperproteggerli (come invece avviene più facilmente in famiglia). Vivendo fuori casa, ma non in situazioni pericolose, i ragazzi e le ragazze si abituavano ad assumere dei ruoli adulti in alcuni settori della loro vita. Tornando a casa alcuni di loro potevano ritornare sotto il controllo dei genitori, ma intanto si erano abituati ad essere indipendenti ed a contare sulle loro forze. In questo stile di allevamento c’era anche un altro vantaggio: risiedendo fuori casa per lunghi periodi, i ragazzi e le ragazze avevano minori occasioni di tensione e di scontri con i familiari e questo serviva a mantenere dei buoni rapporti nel tempo.
Il fatto che esistesse un “continuum tra generazioni” ed una sorta di offuscamento delle distinzioni tra la giovinezza e l’età adulta non significa, tuttavia, che l’idea di giovinezza fosse assente. Questa idea è sempre esistita, fin dall’antichità, ed era collegata alla consapevolezza di un diverso modo di atteggiarsi verso la vita dovuta alla minore esperienza dei giovani; ma sebbene le differenze di comportamento tra giovani e adulti fossero evidenti e riconosciute, nella società tradizionale l’età giovanile non era caratterizzata da valori suoi o da una sola cultura o addirittura da una cultura di opposizione a quella degli adulti, come invece è accaduto nel nostro secolo. La cultura era soltanto adulta, e anche il potere, ed i modelli cui il giovane si ispirava appartenevano al mondo degli adulti. Insieme agli adulti ed in mezzo a loro il giovane avrebbe un giorno trovato un posto nella vita pubblica. E’ ovvio, che con queste premesse il giovane non avrebbe potuto esprimere la propria individualità ed il suo spazio rimaneva limitato.
Nella società agraria pre-industriale la giovinezza assumeva caratteristiche variabili a seconda dello status. Tra i contadini, per esempio, i giovani maschi celibi formavano dei gruppi spontanei. La consuetudine, il fatto di essere cresciuti insieme, creava tra questi una solidarietà, che durava poi tutta la vita e che assolveva insieme ad un’esigenza emotiva e pratica: con in genitori, si condivide solo una parte della vita, gli amici ci accompagnano spesso per tutto l’arco vitale.
Tra i rari giovani che frequentavano le università erano più frequenti gli atteggiamenti anticonformisti, provocatori e ribelli. Questi giovani maschi – pochi – si costituivano in comunità compatte, che manifestavano la loro specificità nelle strade e nei locali pubblici, con atti trasgressivi ed azioni violente. La realtà sociale che questi giovani rappresentavano era quindi troppo settoriale e riduttiva, in quanto gli altri giovani, quelli che lavoravano nei campi o erano impegnati nei commerci non si riconoscevano. Per tale motivo, il giovanilismo universitario restò confinato alla goliardia, senza alcuna possibilità di incidere sul resto della società.
Quando nasce l’adolescenza?
Come soggetto sociale l’adolescente nasce nella nostra cultura, quando incominciano a prolungarsi i tempi della sua formazione e quando un numero crescente di famiglie può impegnarsi, soprattutto economicamente, a fornire ai propri figli un’educazione individuale che ritarda il loro inserimento nel lavoro.
Il cambiamento nei confronti dei giovani e dei bambini andò di pari passo con l’ascesa della borghesia, con un nuovo modo di vivere e di pensare che, a partire dal 700, si estese anche alle altre classi sociali. A tal proposito si inserisce a quel tempo la trasmissione patrimoniale del lavoro; pertanto, il mestiere di agricoltore è più trasmesso che acquisito, anche se ormai all’erede si consente di frequentare un liceo agricolo prima di subentrare nell’attività paterna. La stessa cosa vale per i piccoli imprenditori e le professioni liberali, come quella del medico o dell’avvocato.
Quindi, la nascita dell’adolescenza come età della vita separata e diversa, va di pari passo con il prolungamento degli anni della formazione ed anche con una nuova attenzione della coppia moderna nei confronti della propria discendenza.
Un elemento discriminante per un adolescente è il tipo di rapporto che egli ha con i genitori: sottomissione o indipendenza; affetto o timore; confidenza o inibizione; fiducia o sfiducia; continuità o discontinuità. In passato, l’autorità paterna era forte. Il destino di un giovane era tracciato prima ancora che egli nascesse e tra i compiti istituzionali di un padre c’era quello di addestrarlo alla sottomissione e di indirizzarlo al ruolo previsto per lui.
Le mutate condizioni hanno consentito una modifica a tutto ciò, anche se forse oggi, si finisce per non riconoscere più alcuna autorità alle figure genitoriali ed agli adulti in genere.
L’adolescente oggi vive una fase dello sviluppo in cui non possiede per un certo periodo di tempo una identità precisa ma “diffusa”, non sa cosa fare di sé, in quale direzione muoversi, evitando spesso delle scelte e l’assunzione di responsabilità. Di fatto, molti giovani, sperimentano uno sfasamento tra l’immagine propagandata di un individuo padrone del proprio destino e autorizzato (dai media e dai genitori) a nutrire aspirazioni ambiziose, e le effettive possibilità che essi hanno di realizzare ciò a cui aspirano. C’è una difficoltà a far combaciare gli ideali con la realtà dei fatti e c’è l’effetto paralizzante della libertà; chi deve scegliere in un clima di totale (sia pur apparente) libertà può alla fine fare una scelta “al buio” in quanto non sa verso quale obiettivo orientarsi o a che cosa rinunciare. Si capisce, quindi, perché le scelte fondamentali vengano rimandate nel tempo.
Il raggiungimento di una identità adulta richiede che l’individuo tralasci le sue pretese di gratificazione infantile, di deresponsabilizzazione, e rinunci ad aggrapparsi alle fantasie di onnipotenza ed alla paura di crescere. Insomma, se si decide di entrare nel mondo degli adulti, egli deve scegliere tra alcune alternative e successivamente impegnarsi nella scelta che ha fatto.
E’ evidente che una mancata evoluzione va imputata sia a caratteristiche proprie dell’individuo, sia al clima familiare, sia alle opportunità che l’adolescente ha o non ha di realizzare le proprie aspirazioni o di individuare un progetto che vale o per cui vuole impegnarsi. Osserverò alcuni casi o possibilità.
Prima possibilità: un giovane non riesce a trovare un’identità sociale in quanto non ha sviluppato una sufficiente fiducia di fondo negli anni infantili ed ora, temendo di perdere l’identità, non riesce a creare dei legami stabili o a concludere ciò che intraprende. Seconda possibilità: un giovane è bloccato nel processo di autonomizzazione dai genitori che si ostinano a nutrire aspirazioni eccessive o che gli consentono di agire solo all’interno di ruoli infantili. Terza possibilità: un giovane che non riesce a realizzare un progetto e che regredisce all’età infantile dopo aver tentato di abbandonarla, ricerca poi l’appoggio dei genitori e questi, vedendolo in crisi, ristabiliscono una dipendenza infantile. Quarta possibilità: un giovane che non riesce a realizzarsi in positivo scegliendo una identità negativa, si dà cioè una identità opposta a quella che ci si aspetterebbe da lui. Quinta possibilità: se nel giovane la realizzazione di sé non può avvenire attraverso le vie ufficiali della creatività, dello studio o dell’amore o se le forme di realizzazioni possibili in questi ambiti sono vissute come riduttive e non soddisfacenti, egli può cercare forme alternative di realizzazione al di fuori di quelle previste. Le due ultime possibilità si riferiscono ad una situazione in cui l’adolescente è “contro” e non integrato o addirittura fuori dalla contesto sociale (emarginato).
Molti genitori di questa generazione, centrati sui loro problemi, talvolta ancora “troppo figli” per poter fare i genitori, hanno abdicato al ruolo genitoriale e finiscono per non dare quella stabilità psichica di cui i ragazzi hanno bisogno anche con la loro autorevolezza. Una “sana negazione” motivata, può far crescere molto di più di “facili consensi”, anche se questi sono più comodi per tutti. La difficoltà di molti adolescenti risiede proprio nel fatto che i genitori non offrono un modello cui ispirarsi e da cui differenziarsi, tutto ciò “non fa crescere”.
Al di là di tutti questi aspetti psichici e sociali, l’adolescente comunque inizia a sentire il proprio corpo, avvertire delle pulsioni, maturare sessualmente. Queste modificazioni profonde e visibili se pure con ritmi diversi si presentano in entrambi i sessi: lo sviluppo sessuale nelle femmine avviene non solo più precocemente, ma anche in modo più rapido. L’attenzione per il proprio corpo diventa una realtà immediata, raggiungendo talvolta, livelli esagerati. L’adolescente può manifestare, non di rado, anche una preoccupazione molto forte per il proprio peso, per la propria statura, per difetti fisici, reali o presunti.
La maturazione sessuale rappresenta un momento particolarmente critico che deve essere affrontato con equilibrio e gradatamente. Bruciare le tappe e precorrere i tempi significa negarsi la scoperta di un partner al momento giusto, quando gli ormoni acquisiscono fisiologicamente una collocazione adeguata e non squilibrata come è di norma all’inizio.
Adottare comportamenti nuovi come il fumare, bere alcolici, usare sostanze stupefacenti, svolgere un’attività sessuale precoce non comportano soltanto dei rischi per la salute immediata e futura del ragazzo e della ragazza, ma espongono anche alla censura sociale, talvolta con conseguenze penali. Mentre alcuni di questi comportamenti, come il fumo, non sono di per sé puniti dalla legge (se non in certi contesti), e vengono ritenuti non appropriati per lo più a causa della giovane età, altri come l’uso di sostanze, sono sempre perseguiti.
Non si può omettere quanto ha affermato l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) in cui il 90% del cancro delle alte e basse vie respiratorie deriva dal fumo!
Dott.ssa Maura LIVOLI
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