Questa bellissima riflessione di una mia paziente di 18 anni all'articolo de La Repubblica "la prima cosa bella" trasmette un messaggio di speranza che ritengo utile condividere. Non cediamo mai alla negatività e al pessimismo.
« Commento articolo da “La Repubblica”. di S.F.
Nel mio piccolo ho sempre immaginato come sarebbe potuto essere vivere in prima persona un’epidemia, vista la mia passione per la cinematografia apocalittica e post-apocalittica, ma mai avrei pensato che quel giorno sarebbe arrivato cosi presto e che le mie aspettative potessero rivelarsi cosi errate.
Sin dall’inizio della diffusione del coronavirus in Italia, da quando i casi erano meno di una decina, ho provato una profonda paura che mi ha portata a sconvolgere radicalmente il mio stile di vita quotidiano; prima è iniziato con il lavarsi sempre più spesso le mani, poi sono arrivati gli obblighi di distanza ed infine la reclusione autoinflitta.
Il virus è entrato da un giorno all’altro nelle nostre vite, nelle nostre case e nei nostri pensieri mutando il modo di essere di ognuno di noi in senso radicale ma non immediato: quante volte ci capita ancora oggi, a quasi due settimane dall’inizio della quarantena, di vedere persone irresponsabili che passeggiano tranquillamente per la città ormai deserta?
Fortunatamente è maggiore il numero di coloro che posseggono un minimo di buonsenso e che scelgono di stare a casa sia per amor proprio ma anche per il prossimo; queste piccole ma significative azioni sono ciò che mi sta strappando tanti piccoli sorrisi ogni giorno, quando guardando i social si vedono monumenti da tutto il mondo tinti con il tricolore, video di persone che cantano dal proprio terrazzo l’inno d’Italia, raccolte fondi per aiutare gli ospedali sovraffollati e i singoli aiuti che si offrono i vicini di casa per far passare il tempo.
Solidarietà, sarà la parola con cui ricorderò questi mesi bui del 2020, non con “paura”, “virus” o “quarantena”; sarà confortante poter raccontare di come tutta l’Italia si sia stretta in un caloroso abbraccio, del patriottismo che ne è risultato e della gioia nel sapere che presto avremmo potuto rivedere i nostri cari. In un mondo così digitale si era perso il valore del contatto umano, di un abbraccio o di un bacio mentre adesso che ne siamo inevitabilmente privati ne sentiamo la mancanza; siamo così spinti ad aggrapparci ai bei ricordi, alle canzoni che ci rammentano di coloro che vorremo con noi in questo momento e al pensiero fisso che presto torneremo a stare insieme, più di prima, con più amore e consapevolezza. Non è più un “sto a casa per proteggere me stesso” ma un “sto a casa per proteggere gli altri” e penso sia la più bella risposta che si possa dare in un periodo così inusuale e, per certi versi, spaventoso.
L’attesa è la parte peggiore della quarantena, non sai quanto ancora possa durare e non hai la possibilità di stare con chi vorresti davvero; però, oltre ad essere necessaria per contrastare la diffusione del virus, diventa anche un’opportunità di riflessione e un invito a riprendere tutte quelle attività interrotte per i vari impegni che obbligatoriamente sono saltati.
Si cercano modi per distrarsi, far passare il tempo più in fretta e distanziarsi dai brutti pensieri che può comportare una reclusione forzata; ed è vero che nei momenti più duri le persone diventano più buone, lo vediamo ogni giorno e lo percepiamo quando ci sentiamo finalmente parte di quella società che per molto tempo non abbiamo mai compreso, quando con gioia partecipiamo ai flash mob dalle finestre di casa nostra e ogni qualvolta in cui ci facciamo prendere dalla malinconia in mancanza di qualcuno.
La quarantena per me si sta rivelando una dura sfida, la voglia di uscire è tanta ma è più forte la consapevolezza che ogni mio sacrificio fatto oggi sarà ripagato dai miei amici nel momento in cui potremo tornare ad abbracciarci di nuovo nell’indomani.»
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento