Gentile Signora Antonella, cercherò, dagli elementi che mi ha fornito, di formulare una delle possibili ipotesi in relazione al problema esposto, che per essere confermata richiederebbe un approfondimento. Leggendo la sua richiesta, la prima cosa che colgo è che suo figlio ha 12 anni. Si trova quindi a vivere una fase di sviluppo chiamata “preadolescenza”. Si tratta, in generale di un’età critica, difficile, complessa e delicata durante la quale il bambino che si era convinti di conoscere bene, mostra aspetti nuovi e comportamenti inaspettati. A quest’età i ragazzi e le ragazze spesso si mostrano irritabili, agitati, svogliati con uno stato d’animo mutevole e oscillano fra momenti di ritiro assoluto nel silenzio ed esplosive manifestazioni di collera. Iniziano a scontrarsi con i genitori e a scuola sono nervosi, inquieti, disattenti e nello studio manifestano problemi di concentrazione e attenzione. La ragione di tutto questo va ricercata nella crisi che i ragazzi attraversano a questa epoca, crisi legata ai cambiamenti che avvengono sul piano fisico, psichico e sociale e dovuta ad un compito di sviluppo che il ragazzo deve assolvere: quello della separazione. In questa fase il preadolescente deve superare l’immagine del genitore onnipotente e perfetto che ha dentro di sé; deve staccarsi da chi ha rappresentato nel corso di tutta il suo unico riferimento. Per poter raggiungere questo obiettivo dapprima deve criticarlo, contestarne le idee, rifiutarne gli atteggiamenti, mettere in discussione il suo potere. Questa fase di crescita è faticosa per il ragazzo portando con sé paura, ansia per il futuro, incertezza e sentimenti ambivalenti quali il bisogno di autonomia da un lato e il desiderio, ancora profondo, di coccole e attenzioni dall’altro. La crisi è il segno di un passaggio evolutivo che comunica la necessità di cercare nuovi equilibri. La crisi dunque ha un significato maturativo, non rappresenta patologia ma l’evoluzione. Anche i genitori si trovano contemporaneamente ad affrontare un momento difficile: vivere la complessità delle trasformazioni nei loro figli mette di fronte al compito di trovare nuove modalità di essere genitori e questo mette a dura prova sia il senso di stima di sé che le proprie certezze. Dalla sua lettera, per quello che mi è possibile cogliere, emerge il tentativo infruttuoso di adottare strategie, tese al ripristino del precedente equilibrio, caratterizzate prevalentemente da punizioni. I suggerimenti che sentirei di darle, nel caso la mia ipotesi fosse corretta, sono di condividere co suo marito delle strategie comuni: dare importanza alle regole (che siano chiare e spiegate) ma anche di essere attenti a riconoscere anche piccoli sforzi o qualità e apprezzarli mediante lodi e gratificazioni, al fine di nutrire l’autostima del ragazzo. Inoltre cercare di ascoltare non solo le parole ma anche quello che lui comunica attraverso il linguaggio non verbale. Per parlare di sé il ragazzo ha bisogno di sentirsi rispettato, considerato, accettato. La saluto cordialmente