La peculiarità dell'autismo è duplice: da un lato si tratta di una disabilità o patologia - che dir si voglia... - psichica che si installa nei primissimi anni di vita del bambino, se non nei primi mesi o addrittura "si da subito", secondo descritto da Kanner nel celebre articolo del 1943; dall'altro, colpisce la relazione nascente genitore-bambino e quindi, se anche l'autismo risiede nel cervello del piccolo, in realtà è soprattutto dentro il contesto familiare. Pertanto, è una condizione di sofferenza dell'intero sistema parentale. E infatti è proprio così che si presenta.
E lo si evince proprio entrando in contatto con le famiglie non soltanto di bambini molto piccoli ma anche di bambini più cresciuti, di adolescenti e talvolta anche di adulti. Si coglie, negli sguardi dei genitori, nei discorsi la presenza di un vero e proprio "trauma" persistente, anche a distanza di anni, si una sorta di shock, di smarrimento che tuttora li pervade.
Si tratta delle due peculiarità specifiche del disturbo autistico, descritte magistralmente da Kanner - precocità del disturbo e centralità del danno relazionale - e rispetto alle quali ogni altra considerazione è di secondo piano. Ascoltando un genitore che racconta la propria esperienza, alla fine di prende coscenza del fatto che in quelle parole c'è tutta la sofferenza di chi non comprende non tanto che cosa sia l'autismo bensì chi sia quel figlio così indecifrabile, come capirlo, come provare ad avere una qualche forma di scambio, di incontro, di condivisione.
Lo smarrimento del genitore, smarrimento che viene trasmesso a chi è in ascolto come vera e propria esperienza traumatica, risuone nella mente dell'operatore in ascolto come l'eco di un evento lontano ma infinitamente inesauribile. Il danno inferto dall'autismo alla relazione non è un punto discreto collocato in un tempo definito di un epoca storicamente e definitivamente alle spalle. E' invece "oggi come allora", con però l'aggravante dell'accumularsi delle patiche, l'avanzare degli anni, i timori per il futuro, con un figlio che magari migliora sotto molti aspetti ma non in quello centrale: la relazione.
Un figlio o una figlia che arriva persino a dire qualche parola, più parole, frasi intere, talvolta a comunicare. Ma è proprio in questi miglioramenti che il genitore coglie lo scarto tra comunicazione e relazione, La relazione per l'essere umano non ha a che fare con il raggiugimento di un oggetto per poter soddisfare un bisogno bensì con l'amore, con il desiderio, con nient'altro che non sia l'affetto. In fondo, quante volte ci è capitato di incontrare nei nostri ambulatori, nei nostri spazi educativi giovani autistici particolarmente capricciosi, e genitori per i quali è naturale accontentare.
E' chiaro: quando la relazione, che è fondata sullo scambio del niente, è ferita da un danno iniziale, è l'amore stesso a essere danneggiato ed un genitore articola la sua capacità di amare dando, dando continuamente, accontentando ancor prima che giunga la richiesta, per saturare la falla dell'incompresione e della mancata comunicazione.
C'è dolore nel figlio autistico non ascoltato nè ascoltabile, non compreso ma c'è ancora più dolore nel genitore che non comprende, che sente il muro presente dentro di sè. Sta male doppiamente: contemporaneamente per sè e per il figlio. Due anni fa, incontrai una signora, madre di un figlio autistico di 20 anni, la quale mi disse che "viveva tutti i giorni con una spina conficcata nel cuore". Una immagine rappresentativa del paradosso di un dolore discreto e al tempo stesso continuo.
Credo che l'operatore debba provare, con gli strumenti che ha in sè e con quelli di cui in un certo senso deve dotarsi, a vivere la duplice condizione sopra descitta, ossia del tempo discreto e contemporaneamente continuo in base al quale la lettura di un comportamento e conseguentemente la costruzione di un intervento debba essere a due dimensioni: il tempo evolutivo della crescita, rassicurante e protocollato, ed il tempo ciclico dell'eterno ripresentarsi del medesimo schema "traumatico", del medesimo schema di rottura della relazione.
Recentemente, durante un corso di formazione, un allievo ha esclamato: ma allora il problerma della relazione emerge con lo sviluppo della relazione stessa.
E' proprio così.
Entrando in contatto con il paziente autistico, e non saltuariamente ma attraverso lo scambio quotidiano, se da una parte ci pare di costruire un ponte di fragilità autistica, dall'altra contemporaneamente riviviamo la peculiarità della relazione autistica e con quella persona specifica con autismo e quindi il "trauma" della rottura inaspettata.
Una contraddizione che è bene tenerci cara, se desideriamo noi come operatori, imparare e provare ad essere un pò più efficaci, al di là della tecnica o della metodologia acquisita.
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento