«È con le migliori intenzioni che il più delle volte si ottengono gli effetti peggiori»: l’aforisma di Oscar Wilde è perfettamente calzante all’evoluzione del rapporto fra genitori e figli in Italia negli ultimi decenni.
Nelle migliori intenzioni del genitore vi è la volontà di crescere bambini sereni e forti, ma poi la realtà dei fatti risulta piuttosto sconfortante e ci parla di altro…bimbi insicuri, sovrappeso, depressi, ansiosi e con adolescenti privi di punti di riferimento e assidui fruitori di sostanze psicoattive e di dispositivi elettronici, come sostengono le principali testate giornalistiche. Paradossalmente, in un mondo che offre davvero tutto, sembra mancare la terra sotto i nostri piedi e questo pare verificarsi sempre prima negli anni.
Se da un lato fare il genitore è il mestiere più bello del mondo, dall’altro è anche il più complesso, e nessuna scuola lo insegna!
Secondo una ricerca-intervento condotta sulle problematiche adolescenziali e della famiglia svolta presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, due tendenze nello stile educativo dei genitori italiani sono particolarmente frequenti e dannose se estremizzate: l’iperprotezione e l’amicizia tra genitori e figli.
A dispetto di quanti sono convinti che l’amore profuso non possa fare che bene, la ricerca dimostra quanto l’amore possa essere soffocante e come l’aiuto non richiesto produca più danni che benefici, come diceva Denis Diderot: «Non è sufficiente fare il bene, bisogna anche saperlo fare. Un bene fatto…male, può essere più dannoso che utile».
C’è una perfetta complementarietà tra le posizioni protettive dei genitori e quella di privilegio richiesta dai figli che è in realtà una forma patogena di relazione familiare, in quanto ritarda o addirittura blocca il naturale percorso evolutivo del giovane che, per diventare adulto, ha bisogno di rendersi autonomo ed indipendente e deve essere in grado di assumersi responsabilità personali e sociali, di superare delle difficoltà.
Se il quadro relativo all’età evolutiva sembra davvero grigio, decenni di ricerche hanno messo in luce alcuni punti fondamentali per poter crescere bambini sostanzialmente sereni.
In primis, l’effetto positivo sembra essere prodotto dai modelli familiari nei quali regna l’autorevolezza. Il genitore autorevole (e sembra che basti anche uno solo tra i due), adotta uno stile comunicativo e relazionale basato su quello che potremmo chiamare “affetto fermo”, ovvero si mostra amorevole, accogliente e rispettoso, ma estremamente fermo nelle regole e nei valori per lui importanti. Il rispetto in questi casi è dato dalla conoscenza e dalla saggezza, non dal timore e dal potere. Il genitore autorevole è colui che fornisce delle regole chiare, che possono anche essere discusse o negoziate. Si aspetta un comportamento maturo da parte del figlio ed interviene se non vengono rispettate delle regole o in caso di comportamenti inappropriati. Anche se il genitore controlla il figlio, come è naturale che sia in determinate fasi dello sviluppo, crea anche un rapporto molto affettuoso e comunicativo, spiegando le motivazioni che sono alla base delle sue richieste e dando al figlio la possibilità di esprimere il suo punto di vista. Lo stile autorevole promuove lo sviluppo della capacità di autoregolazione e porta il bambino e, successivamente, il ragazzo, ad avere fiducia in sé e nelle sue abilità, oltre che ad essere responsabile.
Il genitore perfetto non esiste, così come non esiste il figlio perfetto, ma sapere quanto sia importante imparare ad accogliere un figlio per quello che è, anche con i suoi limiti, le sue diversità e complessità, aiuta certamente a percorrere la sua dimensione e ad apprezzarne le varie sfaccettature della sua anima e soprattutto a renderlo capace di affrontare le sue paure, per mostrarsi al mondo senza nascondersi.
I genitori non sono gli unici responsabili dello sviluppo “sano” del bambino, eppure spesso si sentono colpevoli (o vengono colpevolizzati) quando il figlio manifesta un problema emotivo o comportamentale: come ad esempio, situazioni di mutismo in situazioni particolari o con determinate persone, forte ansia e paura nell’andare o restare a scuola, enuresi, comportamento provocatorio ed ostile nei confronti degli adulti, paura verso animali, situazioni, oggetti.
In realtà, occorre considerare anche le caratteristiche temperamentali del bambino, che non è un destinatario passivo dei segnali educativi dei genitori, così come il genitore non è un semplice distributore di insegnamenti e cure: la condotta del bambino influenza la relazione con l’adulto tanto quanto l’atteggiamento genitoriale stesso, così come non va trascurato, il contesto in cui la famiglia è inserita: situazioni di disagio economico, isolamento sociale, malattie, etc., contribuiscono a rendere più fragile l’interazione tra genitori-figli[1].
Quando, come genitori, non ci si sente in grado di affrontare al meglio il proprio ruolo, è sempre possibile rivolgersi ad uno psicologo per un intervento di sostegno alla genitorialità, in questo caso il terapeuta prepara il terreno per il cambiamento, cercando di far sviluppare nuove capacità ai genitori, per aiutarli a possedere la stabilità emotiva e psicologica per guidare la barca senza cadere in mare. Le onde arrivano, ma il capitano le sa incassare, sa come posizionarsi per non lasciarsi affondare, nè si abbandona alla disperazione, oppure, a sua volta alla rabbia e allo sconforto[2].
[1] G. Nardone, Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Problemi e soluzioni per il ciclo di vita, Ponte alle Grazie, Firenze 2019.
[2] G. Nardone, E. Giannotti, R. Rocchi, Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli, TEA, Milano 2007.
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