In questi anni stiamo assistendo a una crisi totale del dialogo, in casa non si parla più, ormai anche la vecchia generazione si è adattata al modo di comunicare della nuova generazione, sempre più sintetico e tecnologico. Si vedono genitori impegnati nell’apprendere come funzionano i social network, le App di messaggistica istantanea e diventano sempre più investigatori informatici per comprendere le abitudini e le amicizie del figlio.
Per i giovani la famiglia è alla base della crescita e della formazione dell’identità personale, ma la scarsa comunicazione tra genitori e figli è spesso alla base di un malessere giovanile e del disagio sociale che oggi vivono gli adolescenti; da qui si evince l’importanza del dialogo famigliare come metodo educativo e formativo per i figli, ma anche per i genitori che devono apprendere come ascoltare i bisogni e le esigenze dei figli per sostenerli, consolidando i rapporti famigliari, e diminuendo le possibilità di disagio giovanile.
Lo Psicologo Arthur Cassidy suggerisce di trasmettere un doppio messaggio ai figli, soprattutto agli adolescenti: che li amate e siete interessati a ciò che fanno, ma che non volete invadere la loro privacy.
E possibile individuare alcuni comuni errori comunicativi che ostacolano un buon dialogo:
fare troppe domande (Come è andata oggi, che hai fatto?..).questo rende il genitore frustrato perché non ha risposte argomentate come vorrebbe ma sfuggenti, ed il figlio si sente incalzato; bisogna invece dare spazio, aspettare che lui parli, cercare di cogliere un suo segnale di dialogo anche non verbale, sintonizzarsi; lamentarsi(sui compiti, faccende..) , perché i figli dopo un pò non ascoltano più, inoltre il brontolio continuo porta a discussioni; fare un rimprovero lungo e polemico non è utile, il ragazzo non si sente invitato a parlare e si disconnette; meglio una comunicazione aperta, non monologhi o lunghi discorsi, ma uno scambio, aspettando l’altro e i suoi tempi; imporre (si deve fare così), genera chiusura e una sensazione di sentirsi schiacciato; dare ordini(smettila ,fai..), questo comunica non accettazione e scarsa stima per il figlio, genera risentimento e rabbia e comportamento ribelle; minacciare(se lo fai te ne pentirai..), perchè genera timore, ostilità, verifica se la minaccia sarà eseguita; fare la predica ( è bene che tu..) , porta a sensi di colpa, sensazione che il genitore non si fida di lui ; mettersi a litigare-discutere con il figlio: gli adolescenti sono polemici per natura, perché discutere, opporre la propria opinione è un modo per affermarsi, quindi scendere nella diatriba equivale ad incastrarsi e tirarla alla lunga; rispondere alla polemica con altra polemica è come aggiungere benzina sul fuoco; voler avere l’ultima parola, è un inutile gioco di potere che non porta a nulla; criticarlo, soprattutto quando si è arrabbiati: ci si può pentire dopo, diciamo le cose in modo sbagliato, e la rabbia porta un messaggio così critico che può danneggiare l’autostima del ragazzo, lo fa sentire inferiore e finirà con buona probabilità ad essere davvero così come viene descritto, lo fa sentire inadeguato, porta a tenersi le cose per sé; la reazione è interruzione della comunicazione per paura di un altro giudizio; denigrarlo quando lo rimproveri ( “come hai potuto fare questo?”..), perché è una critica alla persona, ma si può spostare l’attenzione sul gesto e non sul ragazzo; umiliarlo, ridicolizzarlo, trasmette un non sentirsi capito, svalutato; danneggia l’immagine di sé, suscita mortificazione, resistenza e opposizione; interpretare i suoi pensieri, analizzarli ( “tu in realtà volevi dire questo”..); si sente smascherato se l’osservazione è giusta, crea imbarazzo e si sente accusato ingiustamente se è sbagliata; porta a blocco della comunicazione; cambiare argomento, minimizzare, ironizzare : suggerisce che conviene evitare le difficoltà e non affrontarle, e il figlio si sente scoraggiato a parlare se ha dei problemi; il ragazzo non sente rispettati i suoi pensieri e il messaggio che si trasmette è che non si è interessati a lui.
E’ importante, inoltre, usare frasi che cominciano con Io ( perchè spiega le nostre emozioni, è autentico, fa capire bene) e non tu ( tende a dare la colpa) ; ad es: “io mi sento arrabbiato” e non “tu mi fai arrabbiare”, perchè l’uso del tu mette sulla difensiva, con l’io si è più disposti ad ascoltare.
Non solo, ma occorre stabilire regole chiare insieme a loro ed eventuali conseguenze, ma non serve di continuo ricordare la regola, si invia un messaggio di svalutazione di sé ( non so farmi ascoltare) e del figlio ( te lo ripeto perché non mi fido e non mi capisci).
Non dimenticare, inoltre, di valorizzare il positivo che ogni figlio ha, parlare con franchezza, saper chiedere scusa; questo è il modo migliore per distendere gli animi e indurre l’altro all’ascolto, offrendogli il giusto esempio di comunicazione come modello cui ispirarsi.
Dunque la comunicazione in famiglia non accade meccanicamente, ma va curata in un clima di rispetto e accettazione.
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