La genitorialità o parenting, ovvero il processo psichico mediante il quale una donna e un uomo diventano genitori, non si innesca automaticamente con l’evento della nascita di un bambino, bensì si fonda sullo spazio che i partner costruiscono nella propria mente al fine di contenere l’idea di un figlio e l’immagine di sé come madre e padre; tale spazio è strettamente connesso all’immagine dei propri genitori, del rapporto, reale e/o fantasmatico, instaurato lungo gli anni con loro e all’immagine di sé come figli (Di Vita e Brustia, 2008). Anche quando l’esperienza della genitorialità è positiva, rimane comunque legata a un potente processo di riorganizzazione intra e interpsichica che va a modificare la fisionomia dei legami (Ammaniti, 2001). La funzione genitoriale, quindi, non equivale semplicemente a un insieme di pratiche educative riguardo il modo di allevare i figli, bensì si configura come una realtà più complessa che comporta delle specifiche abilità che si apprendono nel tempo; le azioni dei genitori sono strettamente legate a un insieme di cognizioni, verso le quali spesso c’è inconsapevolezza, che riguardano lo sviluppo e l’educazione (Errante, 2006). Gli adulti credono di possedere in misura diversa le capacità necessarie alla cura e all’educazione filiale e, dunque, pensano di esercitare in modo più o meno incisivo il proprio ruolo genitoriale; si tratta di un’efficacia percepita che racchiude in sé la dimensione della competenza (le abilità della coppia ad assolvere alla cura dei figli) e la dimensione della soddisfazione, legata a una sfera soggettiva dell’esperienza genitoriale (Errante, 2006). Alcune ricerche (Benedetto, 2005; Perricone, 2005; Errante, 2006) hanno messo in luce il fatto che queste convinzioni circa la propria efficacia educativa risultano correlate all’effettivo comportamento dei genitori nei confronti dei figli: madre e padre, convinti di possedere le capacità necessarie per provvedere all’educazione della prole, interagiscono con maggiore frequenza con essa, mettendo a disposizione tempo, presenza, affetto e fantasia nelle attività ludiche; tali genitori affronteranno con un più alto livello di ottimismo i piccoli e grandi adattamenti quotidiani, essendo più inclini a trovare soluzioni e a mettersi in discussione come individui e come coppia (come affermato da Di Vita e Brustia nel 2008, è necessario ricordare che la nascita di un figlio determina numerosi cambiamenti non solo nel singolo genitore, ma anche all’interno delle dinamiche di coppia: i genitori devono effettuare il passaggio da “relazione a due” a “relazione a tre”, accettando di ricostruire, anche a livello pratico, la quotidianità, ora caratterizzata primariamente dalla comprensione e soddisfazione delle necessità infantili e dalla ricerca del giusto equilibrio tra stili educativi eccessivamente permissivi da un lato e marcatamente esigenti o manipolatori dall’altro). Naturalmente, non manca il risvolto negativo di tali cognizioni: genitori con un basso senso di autoefficacia tendono a non essere altrettanto disponibili con i figli e a non svolgere pienamente il loro ruolo di “base sicura”, per cui si instaurerà un parenting disfunzionale dovuto alla difficoltà dell’adulto di sostenere adeguatamente il figlio (Massie, 2002). Nell’ambito del parenting possiamo distinguere diverse funzioni:
- Funzione protettiva: consiste nell’offrire cure adeguate ai bisogni del bambino, protezione e sicurezza; Brazelton e Greenspan (2001) sostengono che le modalità attraverso le quali le figure di riferimento assolvono a tali compiti subiscano l’influenza della cultura della comunità sociale di cui la famiglia fa parte e che la funzione protettiva è quella che più di ogni altra determina il legame d’attaccamento
- Funzione regolativa: la regolazione va intesa come la capacità del bambino (presente dalla nascita) di regolare i propri stati emotivi, l’esperienza e le risposte comportamentali adeguate che ne conseguono
- Funzione normativa: conseguente all’evolversi della funzione regolativa, va intesa come la capacità genitoriale di dare una struttura comportamentale coerente di riferimento che consenta al bambino di soddisfare la necessità di avere dei limiti
- Funzione predittiva: consiste nella capacità genitoriale di prevedere il raggiungimento della tappa evolutiva imminente; i genitori “adeguati” sanno percepire in modo realistico l’attuale stadio evolutivo del figlio e cogliere i comportamenti promotori o anticipatori di quello successivo
- Funzione significante: capacità di dare al figlio un contenuto utilizzabile dall’apparato psichico alle percezioni e alle sensazioni infantili, giacché ancora prive di spessore psichico (“funzione alfa bioniana”)
- Funzione triadica: secondo la Scuola di Losanna (2001) si deve intendere come la capacità dei genitori di sviluppare un’alleanza cooperativa, caratterizzata da sostegno reciproco, capacità di lasciare spazio all’altro o di entrare in una relazione empatica con il partner e con il bambino
- Funzione differenziale: la genitorialità ha due modalità di espressione, la modalità materna (maternalità) e la modalità paterna (paternalità) che, all'interno di una coppia genitoriale, devono essere presenti per permettere un gioco relazionale sano. In modo semplicistico possiamo dire che, nelle prime fasi evolutive, la funzione materna si ancora in una modalità relazionale duale mentre la funzione paterna ha da una parte il compito di proteggere la diade da interferenze esterne e dall'altra di aprirla e riportarla in un ambito triadico; in tutte le fasi evolutive del bambino, il gioco tra le diverse modalità genitoriali diventa essenziale per uno sviluppo psichico sano
- Funzione transgenerazionale: immissione del figlio dentro a una storia, una narrazione, che è quella familiare; questa funzione concerne i rapporti tra generazioni e, quindi, le modalità con le quale i genitori si collocano nell’ambito della rispettiva storia familiare e con le quali viene inserita la nascita dentro quel particolare momento della storia generazionale (Brazelton e Greenspan, 2001).
Un concetto si rileva intrecciato a quello di genitorialità: stile educativo (Fonzi, 2001). Esistono molti modi attraverso i quali i caregivers cercano di favorire l’autonomia e l’autoregolazione del bambino e questi modi, o stili, possono essere spiegati in rapporto alle “quattro dimensioni fondamentali” messe in luce da MacCoby e Martin (1983):
- Dimensione permissività/severità: si riferisce alla libertà che i genitori lasciano al bambino
- Dimensione sollecitudine/ostilità: si riferisce al calore affettivo che i genitori mettono nel rapporto con il bambino, rapporto che può essere incoraggiante e comprensivo verso gli inevitabili errori oppure improntato alla denigrazione e alla trascuratezza
- Dimensione chiarezza comunicativa: si riferisce alla capacità genitoriale di comunicare con i figli e fa, quindi, allusione al dialogo genitore-bambino e alla disponibilità nello spiegare al figlio le proprie scelte educative, qualora non siano chiare
- Dimensione aspettative verso il figlio in termini di maturità o immaturità: si riferisce al fatto che il genitore possa proporre al bambino standard comportamentali più elevati rispetto all’età, aspettandosi una condotta assai più matura, oppure può infantilizzarlo, comportandosi come se non fosse in grado di raggiungere standard minimi.
Incrociando tra loro tali dimensioni, emergono quattro stili educativi:
- Autoritario: genitore freddo, controllante, poco disponibile al dialogo e a giustificare le richieste infantili, eccessivamente esigente circa un comportamento filiale maturo
- Permissivo: genitore scarsamente controllante, affettuoso e comunicativo, ma anche infantilizzante
- Autorevole: genitore controllante, affettuoso e comunicativo, ma con alte aspettative circa la maturità filiale
- Trascurante: genitore scarsamente controllante e comunicativo, nutre scarse aspettative sul figlio (MacCoby e Martin, 1983).
Baumrind (1991) ha riscontrato come lo stile autorevole sia il più efficace nel promuovere la autoregolazione, giacché i bambini appaiono più fiduciosi nelle loro capacità, più socialmente responsabili e cooperativi. Nonostante tali studi abbiano avuto il merito di aver messo a fuoco le dimensioni del rapporto educativo e di aver tracciato i profili genitoriali educativamente rilevanti, è necessario non dimenticare che non esiste uno stile educativo familiare che non possa subire leggere variazioni (ad esempio, a causa di cambiamenti nel numero dei figli) e che non si costruisca nel tempo (ovviamente, si tratta di sane modificazioni diverse dalla nociva “incoerenza educativa” che prevede il repentino e continuo passaggio da uno stile all’altro, a seconda delle preferenze genitoriali) (Fonzi, 2001).
Bibliografia
- Ammaniti M. (a cura di) (2001), Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Raffaello Cortina Editore
- Brazelton B., Greenspan S., I bisogni irrinunciabili dei bambini, Cortina
- Di Vita A., Brustia P. (2008), Psicologia della genitorialità; modelli, ricerche e interventi, Antigone Edizioni
- Errante M. (2006), Il sostegno alla genitorialità, in Di Vita A., Garro M. (2006), Il fascino discreto della famiglia; mutazioni familiari e nuove competenze, Franco Angeli
- Fonzi A. (2001), Manuale di psicologia dello sviluppo, Giunti Editore
- Massie H., Szanberg N. (2002), The relationship between mothering in infancy, childhood experience and adult mental health: result of the brody prospective longitudinal study from birth to age 30, in “International Journal of Psychoanalysis”, n°1, pp.35-55
- MacCoby E, Martin J. (1983), The role of psychological research in the formation of policies affecting children, in “Annual Progress in Child Psychiatry & Child Development”, pp.457-465