Per la coppia la nascita di un figlio, soprattutto se desiderato, è un evento eccezionale, di straordinaria importanza. Dopo nove mesi di attesa, magari neanche sereni, arriva il fatidico giorno. Le dinamiche della coppia cambiano come cambiano i rapporti tra gli altri componenti della famiglia. Mai come in questo momento della loro vita una donna e un uomo ripensano ai loro genitori. E in modo particolare al rapporto con il proprio genitore omologo (dello stesso sesso). Il primo proponimento che ci poniamo è quello di non fare gli stessi errori che pensiamo abbiano fatto i nostri genitori con noi. Salvo poi smentirci, alle prime difficoltà e capire che non esistono genitori perfetti; anzi, il ruolo di genitore diventa sempre più difficile, faticoso e coinvolgente. Quando la coppia non riesce ad affrontare i problemi che gli si presentano giorno dopo giorno, entra in crisi: ci si accusa a vicenda di essere cambiati, di non riconoscersi più, di non aver più tempo disponibile l’uno per l’altra.
La possibilità che la coppia continui a funzionare come un insieme in questo periodo non disgregandosi a causa delle ansie e dei conflitti che all’interno di essa possono manifestarsi, riuscendo al contrario a contenerli e risolverli, dipende certamente dal livello di maturità che ciascuno dei partner è riuscito a raggiungere nel corso del suo sviluppo, dalle circostanze interne ed esterne della vita di coppia. L’identità personale non è una realtà statistica ma dinamica. Essa si modifica nel continuo processo evolutivo della persona e nel rapporto con l’ambiente umano circostante il quale modificandosi a sua volta incessantemente, induce ognuno a continui adattamenti. La persona priva di orientamento riesce con maggiore fatica tener dietro ai cambiamenti e percepisce il rapporto con gli altri pericoloso. Accade anche che con l’arrivo del bambino venga sconvolto soprattutto l’impegno di lavoro dei genitori. Mentre i cambiamenti interni alla coppia si potrebbero riassorbire facilmente, l’ambiente dove si lavora comincia a dare segni di insofferenza.
La madre che allatta viene tempestata di richieste perché smetta e torni al lavoro al più presto, al padre difficilmente si concedono permessi perché aiuti la moglie. In questo modo la pressione psicologica sulla coppia raggiunge livelli altissimi, si tratta di una vera e propria violenza psicologica. È vero che oggi si tende a valorizzare la gravidanza, ma sembra che dopo il parto tutto sia finito, ogni problema risolto. Invece è proprio in quel momento che la donna ha bisogno aiuto, di essere riconosciuta nel suo valore. Molte, per esempio, combattute tra il desiderio di restare con il figlio i primi anni di vita e quello di tornare subito al lavoro, scelgono la seconda soluzione anche quando non esistono problemi economici. Il motivo è che realisticamente, intuiscono che il loro valore è stabilito sulla base del lavoro che svolgono. E rinunciare alla propria occupazione vorrebbe dire ricoprire una posizione di serie B.
Esprimere al compagno queste sensazioni però, è spesso difficile, e l’immagine che si rimanda è quella di frustrazione, stanchezza inspiegabile, insoddisfazione che deludono e disorientano l’altro. Per questo molte neo mamme, dopo il primo periodo trascorso col neonato, riconoscono che tornare in ufficio è quasi un sollievo: la realtà è che spesso si è lasciate sole nel difficile compito di crescere un bambino. Ricadono sulle proprie spalle i problemi organizzativi: la madre nel pieno della sua depressione dopo il parto, si troverà ancora più sola, più carica di lavoro e di disperazione, non riuscendo a fare tutto ciò che vorrebbe e che sarebbe necessario. Il passaggio da coppia a famiglia seria, determina cambiamenti davvero radicali: anche l’uomo come la donna, durante il percorso verso la “genitorialità”, affronta una serie di cambiamenti relativi al passaggio dalla posizione di figlio e marito a quella di padre. L’uomo si trova anch’egli in una fase di sviluppo, a confronto con importanti cambiamenti che gli richiedono la destrutturazione del suo precedente equilibrio e un lavoro di riadattamento e di riorganizzazione.
La comprensione e la partecipazione del marito all’evento, giova allo stato psicologico della donna. Ma altrettanto importante e determinante è “poter” contare e non solo per un aiuto pratico, sulle rispettive famiglie d’origine: il punto di riferimento rappresentato dal rapporto d’amore primario con il genitore del medesimo sesso, permette non solo di guardare con più tranquillità agli imprevisti di una condizione del tutto nuova, ma anche di dare le giuste dimensioni a quello che succede. La possibilità di utilizzare l’appoggio e il sostegno del partner e la capacità di coinvolgerlo e non escluderlo dall’esperienza è realizzabile attraverso l’elaborazione dei conflitti e delle angosce che il passaggio da un rapporto diadico a uno triadico comporta. Inoltre tali conflitti possono risultare tanto più intensi quanto più il rapporto di coppia è impostato in modo che uno dei due partner giochi nei confronti dell’altro/a un ruolo genitoriale (surrogato del genitore omologo) soddisfacendo o meglio credendo di soddisfare così desideri simbiotici della partner o del partner.
La nascita di un figlio cambia improvvisamente la vita personale e quella di coppia: è un momento di grande smarrimento. Ma sappiamo che alla base dei rapporti primari c’è l’amore incondizionato e una volta imboccata la strada giusta, che è quella di vedere confermata la propria identità personale, attraverso il rapporto con il genitore omologo, è possibile affrontare, non senza difficoltà, tutte le problematiche riguardanti la vita con i propri figli e non solo con loro.
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