Quanto è difficile essere genitori quando all’improvviso ci si accorge che in casa non c’è più il proprio bambino, ma un preadolescente estraneo? E quanto è difficile per un educatore? Con un preadolescente, maschietto o femminuccia che sia, non è sempre facile comunicare, capirne i desideri e gli interessi ed aiutarlo a ragionare. Come trattarli? Non sono più bambini e neppure adolescenti. Provare a capire il loro “mondo” è il primo passo da fare per capire il tipo di disagio evolutivo che caratterizza questa fase della vita: è importante dunque riconoscerne la specificità in modo da non trattarli come bambini ed evitare, al tempo stesso, di spingerli verso una crescita troppo rapida. La preadolescenza rappresenta un “ponte” tra la fine dell’infanzia e l’avvio dell’adolescenza e quanto più viene vissuta bene, tanto più può influire positivamente sui successivi anni di crescita. E’ l’età del cambiamento: da un corpo infantile verso un corpo adulto, dalla famiglia, come unico punto di riferimento, all'ingresso nel gruppo dei pari, da una definizione di sé, fondata sull' identificazione, all'elaborazione di una propria identità personale e sociale. In questa fase anche il rapporto tra il preadolescente e l'adulto diventa inevitabilmente più complesso rendendo non sempre facile il lavoro. I genitori soni i primi ad essere “messi alla prova” dai loro ragazzi e per questo devono continuamente dimostrare di essere in grado di “sopravvivere”, senza sentirsi distrutti o umiliati: questo significa che i genitori non devono rinunciare alla propria funzione educativa anche quando questa viene messa in crisi. La presenza educativa dei genitori, e degli adulti in genere, è fondamentale perché con il proprio ruolo di contenimento e protezione compensano la scarsa capacità critica che caratterizza i preadolescenti e gli adolescenti e che li porta spesso a cacciarsi in situazioni per loro rischiose. Qual è allora il ruolo di noi adulti? E di noi psicologi in particolare? Come una bilancia in continua oscillazione, l’adulto deve “pesare”: da un lato, deve essere accogliente, valorizzare il minore e promuoverne l’autostima, anche spronandolo alla sperimentazione, dall'altro, deve guidare, correggere e limitare il ragazzo o la ragazza quando intraprende condotte negative. È l'equilibrio di queste due tendenze che può permettere al preadolescente di potersi sperimentare nell'autonomia e sentirsi protetto dai suoi genitori e dagli adulti che lo circondano. Nel caso poi di alcune famiglie diventa evidente come, proprio nella fase critica della preadolescenza di un figlio, vengano a galla le difficoltà dell’intero nucleo: gli stessi ragazzi hanno difficoltà a trovare negli adulti dei validi punti di riferimento e le loro nuove esigenze sociali ed evolutive non vengono riconosciute (o perché gli stessi genitori sono restii a riconoscere qualunque nuovo bisogno, volendo considerare i loro figli eternamente bambini o perché gli concedono troppa libertà, attribuendogli spesso anche responsabilità che competerebbero agli adulti). Si tratta certamente di gestire una fase delicata; talvolta è davvero difficile capire i ragazzi e le ragazze perché, non riuscendo neppure loro stessi a capire le emozioni che provano, si chiudono in sé stessi. Forse questa è la principale ragione per la quale difficilmente chiedono aiuto nascondendo le loro insicurezze dietro un'apparente serenità. A prima vista i preadolescenti sembrano facilmente accessibili, ma quando il discorso entra nella sfera degli affetti si rilevano chiusi e sfuggenti. La difficoltà di comunicare con il preadolescente non esprime solo la fatica di comprendere ed esprimere a parole il proprio mondo interiore, ma anche quella dell'adulto di mettersi in sintonia con lui o lei. La comprensione del ragazzo e della ragazza comporta che l'adulto ripercorra la propria preadolescenza: un compito evidentemente non facile, non tanto per la distanza temporale che intercorre con quella età, ma soprattutto per il senso di incomprensione con cui noi adulti l’abbiamo vissuta a nostro tempo. E’ vero inoltre che una modalità privilegiata dal preadolescente, per comunicare con gli adulti, è quella dell'agito piuttosto che quella del detto, per cui risulta più complicato anche il ruolo dell’esperto chiamato a decodificarne le condotte. La principale sfida educativa diventa allora quella di cercare di capire il “non detto”, di entrare in una relazione autentica con il ragazzo o la ragazza: in punta di piedi si prova ad entrare nel vissuto dell’altro in modo da coglierne i bisogni. Come genitori e come educatori si deve essere in grado di ascoltare, di rispondere alle “domande mute”, alle richieste di aiuto non compiutamente espresse, che i preadolescenti rivolgono al mondo degli adulti. L’esperto stesso si pone così come “anello di congiunzione”, che deve facilitare la comunicazione, la conoscenza, l’emergere dei bisogni di ogni singolo soggetto coinvolto nel progetto educativo di vita.
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