Segreto familiare e malessere relazionale

SEGRETO FAMILIARE E MALESSERE RELAZIONALE

Il presente articolo vuole essere un contributo al tema della terapia di coppia condotta in presenza di un segreto familiare, l’inseminazione eterologa;  questo è l’evento che caratterizza la famiglia giunta alla nostra osservazione in un servizio consultoriale e che ci ha offerto lo spunto di riflessione per il presente lavoro.

Il  segreto ritenuto adatto a essere mantenuto tale varia con il variare dei contesti storici;  la famiglia che vive in un certa cultura può così ritenere vergognosi eventi che in un'altra non tenderebbe invece  a coprire. Esiste però un tipo di segreto che, seppure con veste diversa, ha attraversato tutti i tempi e gli ambienti: quello attinente la nascita, quando questa è legata a circostanze del concepimento che si discostano dalle regole  sociali. Da sempre persone con  origini inusuali portano con sé caratteristiche negative, attribuite loro dalla società che presumibilmente si sente minacciata dalla violazione delle consuetudini che condivide al suo interno. Per la cultura occidentale e cattolica la nascita fuori dal matrimonio è stata così vergognosa che fino al 1975 il nostro Codice Civile non ne rendeva possibile la legittimazione: i bambini “senza padre” e i loro discendenti venivano additati per tutta la vita. A lungo la filiazione adottiva  è stata oggetto di  mistificazione; anche oggi per alcuni genitori adottivi resta difficile comunicare sulla propria vicenda, pur essendo questa sempre più diffusa e commentata anche nell’ambiente sociale. L’articolo 251 del Codice Civile tuttora vigente recita inoltre: “ I figli nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, (i figli incestuosi, n.d.a.) non possono essere riconosciuti dai loro genitori”.

Oltre a queste diverse filiazioni, oggi è possibile una nuova modalità di nascita inusuale, quella proveniente dall’inseminazione eterologa, tanto controversa da essere stata oggetto di referendum nel nostro Paese.
Tra le soluzioni pensate per rispondere ai frequenti problemi di sterilità, tale tecnica  è una modalità per soddisfare il desiderio di gravidanza e maternità di molte coppie; sempre più diffusa, è diventata  tema di notevole attualità sotto più profili: legislativo, medico, etico, psicologico.
Anche dopo il referendum le coppie italiane  possono continuare a  sognare di diventare genitori scegliendo tra una moltitudine di centri specialistici all’estero. Ma la scienza medica sviluppatasi nei nostri tempi, oltre ad un figlio, può dare  loro anche l’occasione per coltivare un altro tipo di segreto che riguarda le origini. Queste coppie spesso vivono in grande solitudine i cicli di fecondazione assistite intrapresi, impegnativi sotto tutti i punti di vista (medico, psicologico). Si trovano  sole di fronte ai frequenti fallimenti, sole ad iniziare il loro percorso come genitori di figli nati in provetta o con un patrimonio genetico diverso dal proprio.
Sole ed isolate davanti ad un evento inusuale, rischiano di farlo diventare segreto  qualora non  riescano a comunicarlo e poi condividerlo appieno nel  sistema relazionale. E’ proprio sulla modalità comunicativa e sull’esclusione di significati da parte del sistema familiare che abbiamo  modellato il nostro intervento.

Grazia di 38 anni, insegnante elementare, si rivolge al Consultorio Familiare chiedendo aiuto per sé e per il marito Marco di 40 anni, operaio specializzato,   a causa una profonda crisi di coppia che dura da due anni.

Grazia e Marco sono sposati da dieci anni ed hanno un figlio di otto anni, Giovanni.

Grazia è di carattere esuberante, ottimista, con tratti e modi molto dolci; proviene da una famiglia semplice di operai che si è trasferita al Nord negli anni sessanta. Ha un fratello di 35 anni diplomato ragioniere.

Marco è un uomo di poche parole, che si definisce un timido. Ha un fratello di 45 anni, medico. I genitori di Marco sono entrambi laureati. Nel raccontare la sua storia personale Marco  riferisce di essersi ammalato all’età di dieci anni del morbo di Hodgkin che ha comportato diversi cicli di chemioterapie accompagnate da  ansie e preoccupazioni proprie e della famiglia di origine.

In consultazione i coniugi denunciano un malessere generale, insoddisfazioni reciproche, aspettative non corrisposte, conflitti e litigi sulla passività di Marco. Osservando il funzionamento della coppia notiamo il ripetersi di comportamenti propositivi ed assertivi di Grazia, ai quali Marco risponde con accondiscendenza.

Dalla ricostruzione della storia della famiglia emerge che i coniugi hanno iniziato a ricercare un figlio sin dai primi mesi dopo il matrimonio e,  di fronte all’assenza di concepimento, hanno eseguito alcuni accertamenti che hanno evidenziato l’ astenozoospermia di  Marco.

La diagnosi, che ha evocato quella minacciosa malattia da lui sofferta in gioventù, ha provocato nei coniugi un dolore così grande da impedire loro di parlarne e quindi di  accoglierlo. Il loro comportamento in questa  occasione appare coerente con la  forza della rimozione  che già aveva operato anni addietro, quando  Marco e la mamma, informati allora della possibile evoluzione per Marco verso la sterilità, non parlarono mai più di un’eventualità così temuta.

In breve tempo i coniugi hanno poi deciso di optare per l’inseminazione eterologa della quale hanno informato  le rispettive famiglie di origine: dopo soli sei mesi dalla diagnosi  di sterilità,  Grazia è rimasta incinta ed è nato  Giovanni.

Grazia, che  per anni ha portato dentro di sé il pensiero di comunicare a Giovanni la sua origine, racconta : “Mi sento di tradire mio figlio nel continuare a mantenere il segreto”. Teme infatti che altri possano informarlo sulla modalità della sua nascita; immagina che i nonni potrebbero parlargli di questo argomento o che  eventuali problemi sanitari futuri  potrebbero costringerlo a confrontarsi con il corredo cromosomico del padre. Marco invece  si è sempre mostrato resistente all’idea e, si pone infatti la seguente domanda “Come faccio, dopo otto anni, a dire a mio figlio che non è stato generato da me?”.

Dopo questa prima fase di consultazione prospettiamo alla coppia un percorso terapeutico con approccio sistemico-relazionale.

Grazia ricorda  la gioia della gravidanza e Marco ricorda di essersi tranquillizzato di fronte al benessere della moglie. Riferisce però anche di essersi sentito un “fallito” nell’aver disatteso le aspettative della moglie; parla ora del  proprio assenso  alla procreazione medicalmente assistita   come una sorta di regalo che fece alla moglie per soddisfare il suo naturale desiderio di gravidanza.

I coniugi portano in particolare anche il malessere emerso dopo la scelta di Marco che, di fronte al desiderio della moglie di un secondo figlio, non ha  più acconsentito al ricorso della stessa modalità usata per far nascere Giovanni. 

Ipotizziamo così che il rapido passaggio all’inseminazione eterologa, agito allora,  avesse permesso ai coniugi di trovare subito una soluzione ad un problema concreto, ma avesse limitato la loro consapevolezza nel comprendere la propria posizione asimmetrica nella  partenza del diventare genitore. Utilizzando l’ipotesi che la coppia avesse fatto una scelta protettiva per sé stessa in termini di evitamento di un conflitto relazionale, ci poniamo come obiettivo della terapia far emergere il processo decisionale che aveva permesso quella gravidanza.

E’ risultato sempre più chiaro come le condizioni che avevano sostenuto la loro decisione stavano nel funzionamento di coppia, caratterizzato da un atteggiamento attivo e direttivo di Grazia e da un atteggiamento passivo, oblativo di Marco.

Una volta compreso che  le motivazioni individuali e relazionali sottostanti il ricorso alla procreazione medicalmente assistita erano  state loro utili per difendersi dalla delusione della constatazione della sterilità di coppia, i coniugi hanno potuto riconoscere quanto  quella tecnica contenesse  una valenza protettiva per il loro rapporto.

Così, resisi conto che la decisione non era stata accompagnata dal riconoscimento del dolore provato davanti al fallimento generativo,  hanno potuto dare altri significati alla scelta dell’inseminazione eterologa. Grazia ha potuto accogliere i vissuti di inadeguatezza del marito nonché il suo faticoso percorso di diventare padre di un figlio dal corredo cromosomico diverso dal suo. Marco d’altro canto è stato capace di accogliere la delusione della moglie di non poter concepire un figlio suo. Ha  poi potuto  esplicitare, in primis a sé e poi alla moglie, i passaggi compiuti nel diventare padre di un figlio diverso da sé biologicamente. Marco ricorda la propria gioia per la nascita di Giovanni accompagnata inizialmente anche da sentimenti di estraneità, poiché  non riconosceva in lui caratteristiche proprie. La propria partecipazione diretta nell’accudimento del figlio e la gioia della moglie di essere diventata madre  l’hanno aiutato gradualmente a superare quelle sensazioni, fino a sentirsi poi  padre a tutti gli effetti.

Interessante è stato ascoltare le ipotesi che Marco e Grazia avevano costruito sul donatore: dopo aver fantasticato  sulle sue caratteristiche somatiche (colore degli occhi, altezza, carnagione etc……)  sono riusciti a sentirlo meno estraneo e  condividere anche   il suo “fantasma” del quale nessuno dei due aveva mai osato parlare in tutti gli  anni precedenti. Accettato ora da tutti in famiglia, il terzo cessava di essere il misterioso ed esclusivo  partner di Grazia e diventava una presenza meno minacciosa. Una volta entrambi entrati in relazione con lui, facendone  la conoscenza in fantasia, hanno poi potuto inserirlo nella loro storia e riequilibrarsi nel proprio funzionamento di coppia .

Grazie al coinvolgimento e alla fiducia nella terapia i coniugi hanno potuto cogliere l’importanza della rivelazione del segreto ed è diventato  facile per loro porsi nella prospettiva di svelarlo a Giovanni, riuscendo a superare i timori in particolare di Marco di perdere il proprio ruolo di padre. Sono stati in grado di raccontare la “verità” al figlio connotando il ricorso al donatore  come espressione di un forte desiderio di genitorialità. Nel venire a conoscenza della modalità che aveva permesso la sua nascita, Giovanni ha allo stesso tempo appreso di essere stato molto desiderato dai propri genitori, che avevano voluto  questa strada per  averlo come figlio. Ha accolto la notizia con stupore, ma senza grandi destabilizzazioni e con la possibilità di poter mantenere aperta la porta delle domande in merito. Entrambi i coniugi hanno vissuto lo svelamento come atto liberatorio.

Verso il termine della terapia abbiamo osservato cambiamenti significativi delle loro modalità relazionali: Marco ha recuperato un ruolo più attivo lasciando la posizione passiva-oblativa, mentre Grazia ha in parte abbandonato il ruolo centrale riuscendo anche ad avvicinarsi e ad accogliere gli aspetti del marito che fino ad allora considerava deboli.

Tali movimenti hanno quindi favorito il costituirsi tra i coniugi di un equilibrio accompagnato da un significativo stato di benessere, da loro  sperimentato e  portato in seduta.

Rivisti per un follow-up dopo tre anni dalla conclusione della terapia, entrambi riportano una condizione di stabilità confermando una soddisfacente relazione.  Giovanni frequenta in maniera serena e proficua la prima media; i genitori  lo descrivono  un ragazzino sereno che non ha manifestato in questi anni disagi particolari, e che si è reso disponibile all’ascolto, senza mostrarsi turbato,  quando in famiglia si è riparlato della sua origine in occasione di sollecitazioni esterne (tv, articoli di giornale).  Ha, invece, mostrato più interesse  in merito alla malattia che colpì Marco preadolescente, dato che può confermare verso quale figura paterna stia indirizzando l’identificazione.  Marco conferma di non aver constatato cambiamenti significativi nella relazione con il figlio, del quale continua a sentirsi genitore a tutti gli effetti. La coppia, assestata in questo nuovo equilibrio, non è più entrata in contatto con il desiderio di un secondo figlio.

RIFLESSIONI E CONSIDERAZIONI

La curiosità che suscita l’incontro con un segreto familiare convoglia l’attenzione del terapeuta verso la programmazione di un intervento di  svelamento. Qui l’inseminazione eterologa, dai coniugi pensata come la  soluzione di un problema, era diventata essa stessa un problema, che gradatamente aumentava  il proprio ingombro: svelarlo costituiva quindi un intervento preventivo.

I segreti riguardanti le origini non hanno un rapporto lineare di causa-effetto con i disturbi mentali, ma vanno considerati come fattore di vulnerabilità all’interno di una visione multifattoriale. Continuando a misconoscere la realtà pensando di proteggere il figlio, questa famiglia avrebbe creato un importante fattore di rischio per la crescita psicologica del figlio stesso, nel quale  il segreto, costituito come un imbroglio sugli affetti, avrebbe presumibilmente contribuito ad indurre vissuti ansiogeni di confusione. Un sistema che ritiene indicibile un evento alimenta infatti il proprio malfunzionamento, poiché inibendo sia all’ interno che verso l’esterno il fluire delle emozioni legate a quell’informazione, impedisce la  costruzione e condivisione di un insieme di significati.

Limitare l’obiettivo della terapia allo svelamento del segreto, senza tenere in conto la sua funzione all’interno della famiglia, ci avrebbe fatto però perdere di vista la connessione del segreto stesso con il malessere portato dalla coppia.

In realtà, oggetto della terapia è stata la modalità relazionale dei coniugi,   che conteneva una  funzione per loro molto importante: difendersi sia dal conflitto che da sentimenti intuiti da loro troppo deludenti e penosi, come dimostra il rapido riscorso all’inseminazione eterologa. Nella compressione dei tempi decisionali, Marco aveva  accettato acriticamente la proposta della moglie, evitando il confronto con lei, ma aveva cancellato i propri sentimenti, lasciando inespresse le proprie esigenze di padre biologico.

Abbiamo così  lavorato sull’idea che  il ricorso all’inseminazione eterologa avesse coperto il potenziale conflitto coniugale, e tacitato quelle emozioni minaccianti l’equilibrio relazionale che la famiglia perciò riteneva non rappresentabili  e comunicabili. Questa le aveva a suo  tempo negate sia a livello personale che relazionale, in modo che non evocassero sentimenti di incapacità, inadeguatezza e delusione.
Se teniamo presente le considerazioni da noi già presentate nell’apertura dell’articolo, a proposito della specificità di alcuni segreti rispetto al contesto sociale nel quale si producono, comprendiamo meglio il malfunzionamento di questo sistema inserito all’interno di un sistema più vasto: la società con i suoi valori. Possiamo così ipotizzare che il  processo decisionale che la famiglia  aveva  prodotto fosse  stato favorito non solo dalle proprie specifiche modalità comunicative, ma anche dalla tendenza della società attuale a negare ed espellere i vissuti fallimentari e mancanti.

 

Grezzi-Lerma  “Sentimenti e soggetti in movimento nella terapia” ed. Vita e pensiero, 1991

Racamier: “Il genio delle origini, psicanalisi e psicosi”

 

  1. Ghezzi , M Lerna “Il terapeuta terzo in terapia di coppia”

Connessioni n. 8, Dicembre 1994

 

  1. Ghezzi “Il bisogno di sapere come si è nati nella prospettiva psicologica”

 

  1. Sellini: “Segreti familiari: quando il paziente non sa”

Terapia familiare n. 45, Luglio 1994

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