Negli ultimi decenni la nostra società è stata caratterizzata da un progressivo inasprimento della conflittualità tra partner che affrontano un processo di separazione o divorzio, spesso con il conseguente avvio di interminabili battaglie legali e l’inevitabile coinvolgimento dei figli.
La mediazione familiare è un processo che si propone di offrire uno spazio neutrale entro il quale poter contenere e negoziare tale conflitto al di fuori delle aule dei tribunali, nel tentativo di fornire alla coppia la possibilità di autodeterminarsi senza dover necessariamente demandare importanti decisioni all’apparato legale. Essa di fatto rientra tra le cosiddette pratiche di ADR (Alternative Dispute Resolution - Risoluzione Alternativa delle Controversie), una serie di strumenti che si pongono apunto come alternativa al contenzioso giudiziario e che aprono alla possibilità di ragionare una soluzione condivisa ed extragiudiziale.
Il mediatore familiare, in questo senso, rappresenta una figura professionale qualificata ed imparziale, in grado di condurre le parti coinvolte verso la definizione di un accordo duraturo che possa incontrare le necessità di ciascun membro della famiglia, in particolar modo quelle dei figli. In pratica, si tratta di un esperto con una preparazione specifica capace di intervenire laddove il dialogo tra due coniugi si sia interrotto, stimolandone la riapertura con tecniche apposite. Nel caso in cui siano presenti dei figli, scopo del mediatore è anche quello di coadiuvare i coniugi nel riorganizzare il proprio ruolo genitoriale in funzione dell’evento separativo, affinchè essi possano giungere a stabilire un compromesso pacifico che tuteli principalmente gli interessi dei figli.
Come appare ovvio, una tale figura professionale deve necessariamente aver sviluppato conoscenze e competenze trasversali a diversi ambiti, pur svolgendo la propria funzione all’interno di un campo d’azione professionale ben definito. Per poter diventare mediatore familiare è necessario innanzitutto aver conseguito una laurea in ambito psicologico, legale o socio-assistenziale, ma il suo ruolo specifico assume connotati qualitativamente diversi rispetto a quelli caratterizzanti la consulenza psicologica o quella legale: il mediatore familiare non fa “terapia” di coppia e non offre pareri legali, ma cerca piuttosto di cooperare con i coniugi nella definizione di termini di separazione consensuali, favorendo la comunicazione tra le parti e stimolando la ricerca di soluzioni consapevoli.
L’istituto della mediazione familiare nasce negli Stati Uniti verso la fine degli anni 60’, ma viene introdotto e riconosciuto legalmente in Italia soltanto nei negli anni ’90 (l’articolo 4 della legge 285/1997 in materia di promozione diritti dell’infanzia lo introduce nel panorama giuridico italiano per la prima volta), pur non essendo ancora oggi regolamentato da una legge ad hoc.
Con l’approvazione della legge 54/2006 sull’affidamento condiviso, abbiamo assistito implicitamente al riconoscimento del diritto del minore alla “bi-genitorialità”, ovvero al diritto di poter fare affidamento su entrambe le figure genitoriali in modo continuativo, superando la prassi dell’affidamento esclusivo (salvo eccezioni di particolare incompatibilità con l’esercizio delle funzioni genitoriali da parte di uno dei due genitori). Davanti all’obbligo di tutelare fino all’ultimo le funzioni parentali di ambo i genitori, la mediazione familiare arriva ovviamente a rivestire un ruolo fondamentale, tanto che secondo la sopracitata “il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli” (art. 155-sexies c.c., comma 2). La recente riforma Cantabria ha poi sottolineato nuovamente la funzione sociale della mediazione famigliare, valorizzando gli accordi che i genitori riescono a raggiungere in relazione alla gestione e al mantenimento dei figli in tale contesto.
Purtroppo ancora oggi non esistono linee guida nazionali che possano tutelare la professione, sebbene negli anni siano nate spontaneamente alcune associazioni di categoria (in particolare ed A.I.M.S., A.I.Me.F. e S.I.Me.F., che hanno provveduto a stabilire standard formativi condivisi per poter esercitare la professione di mediatore: attualmente è possibile diventare mediatore familiare svolgendo un apposito corso di specializzazione post-laurea accreditato con una delle sopracitate associazioni.
Cerchiamo ora di analizzare assieme nel dettaglio come avviene mediamente un processo di mediazione, tenendo in considerazione la presenza di differenti approcci.
Il mediatore, attivato su richiesta di entrambe le parti in causa, accoglie la coppia in un ambiente studiato per poter agevolare l'espressione delle emozioni e gestire positivamente il conflitto (a titolo esemplificativo, le sedie vengono solitamente disposte in cerchio per favorire la comunicazione tra le parti). Il primo incontro può essere semplicemente informativo: vengono spiegate alla coppia le finalità della mediazione, le “regole del gioco” (rispetto reciproco, trasparenza, numero di sedute, costi, ecc.) ed il ruolo del mediatore in quanto “facilitatore della comunicazione”. Solitamente viene stabilito un percorso della durata di 15/20 incontri ed il mediatore avverte i coniugi della possibilità di continuare, in questo lasso di tempo, ad avvalersi o meno delle eventuali vie legali già intraprese, specificando tuttavia che quanto emergerà durante il processo di mediazione sarà strettamente riservato e per nessun motivo successivamente utilizzabile in tribunale.
In estrema sintesi, è possibile suddividere l’intero percorso di mediazione in tre fasi ben distinte:
- la pre-mediazione
- il contratto di mediazione
- la negoziazione ragionata
Durante la fase di pre-mediazione si determinano le condizioni necessarie per poter affrontare il percorso di mediazione vero e proprio: si cerca principalmente di affrontare le cause del fallimento matrimoniale, aiutando i coniugi ad elaborare le motivazioni che li hanno spinti alla separazione e le emozioni negative a quest’ultima connesse. Il mediatore cerca dunque di offrire ai coniugi possibili spunti per poter uscire dalla rigidità delle proprie posizioni e superare le difficoltà attraverso uno sforzo cooperativo.
La fase del “contratto” serve a stabilire le tematiche che la parti intendono sottoporre a mediazione, dal calcolo dell'assegno di mantenimento all’assegnazione della casa di famiglia, dal calendario di visita dei figli alla gestione dei rapporti con le rispettive famiglie di origine, ecc.
Attraverso la sottoscrizione del contratto dinnanzi al mediatore, i coniugi si impegnano inoltre a portare a termine il percorso di mediazione, condividendone gli obiettivi ed accettando determinate regole.
La fase della negoziazione ragionata[1] costituisce infine il fulcro di tutto il percorso, il momento durante il quale vengono esplorate le reali necessità delle parti in causa e ricercate soluzioni condivisibili. Il mediatore invita ciascun partner ad identificare il problema oggettivo e fornire una personale soluzione ad esso, evidenziando i possibili punti di accordo o disaccordo tra le due soluzioni proposte. In seguito, si passa ad analizzare i bisogni specifici delle due parti e dei figli (laddove ovviamente presenti), stimolando la coppia ad ideare nuove soluzioni per poter risolvere la problematica identificata nel rispetto dei bisogni precedentemente manifestati. I partner possono quindi valutare i pro ed i contro delle soluzioni proposte, assumendo graduale e reciproca coscienza all’interno del processo decisionale. Una volta affrontati tutti i punti del contratto, il mediatore redige un documento contenente gli accordi raggiunti e lo consegna ad entrambi i partner, i quali vengono invitati a seguirne le indicazioni in modo spontaneo e reponsabile, fermo restando il diritto di formalizzare tale documento all’interno di una procedura legale consensuale.
Come avrete avuto modo di osservare da questa breve descrizione, si tratta dunque di un processo altamente strutturato all’interno del quale non è certo possibile “improvvisarsi” mediatori.
[1] Nonostante il nome convenzionale di questa fase, esistono profonde differenze tra mediazione familiare e l’istituto della “negoziazione assistita”, di recente regolamentazione (D.L. 132/2014) ed esclusiva pertinenza degli avvocati come possibile opzione all’interno del percorso legale.
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