Quando un bambino di 6 o 7 anni si trova a dover scegliere lo sport da praticare, nella sua decisione hanno un ruolo determinante le influenze sociali esterne, più che le motivazioni personali o interiori. Quel ragazzino, invece, dovrebbe essere messo nella condizione di praticare la disciplina che più gli interessa e che più si avvicina a ciò che sogna in quel momento. I genitori, descrivendo con cura le principali caratteristiche delle varie discipline sportive, dovrebbero guidarlo verso una scelta consapevole, frutto dell’incontro tra le motivazioni del ragazzo e le prospettive fisiologiche, cognitive e di socializzazione insite in ogni sport.
La conoscenza delle attitudini del ragazzo e soprattutto la corretta valutazione delle sue predisposizioni e delle sue insicurezze sono i parametri fondamentali per orientarlo verso la disciplina giusta. Orientare, non imporre. Un errore ricorrente, che alcuni genitori commettono e che rischia di compromettere l’autostima del ragazzo, è indurlo o addirittura costringerlo a cimentarsi con la stessa disciplina praticata in gioventù da un familiare, magari per ottenere finalmente un riscatto personale rispetto a un successo tanto desiderato e mai conquistato. Ci si chiede se gli ostacoli che si devono affrontare durante la pratica sportiva sono davvero capaci di fortificare il nostro carattere, e quindi aiutarci a superare i limiti? A volte sì. Per un adulto che soffre di ansia, per esempio, praticare uno sport ad alto livello di stress potrebbe aiutare a superare il suo stato di prostrazione. Ma un ragazzo in età tardo-puberale o pre-adolescenziale, con un’identità non ancora definita e con le insicurezze del caso, trarrebbe sicuramente maggiori benefici da una disciplina capace di ripartire l’ansia situazionale o di “stato” per il numero di individui appartenenti a un gruppo più numeroso: in una parola, la squadra.
Gli sport di squadra sono consigliati agli adolescenti eccessivamente timidi, che hanno paura di sbagliare e che temono il confronto individuale e il giudizio di chi li circonda. Praticare uno sport di gruppo può aiutarli a conquistare una maggior fiducia in se stessi, ma può giovare anche a chi, al contrario, “soffre” di un’eccesiva sicurezza, di un’irruenza che si trasforma spesso in un atteggiamento “prepotente” e un egocentrismo esasperato.
Gli sport di squadra si addicono dunque a varie tipologie di adolescenti, e permettono loro di conoscere la frustrazione e la delusione di un insuccesso senza trasformarli in una sconfitta individuale. Gli sport individuali, invece, sono indicati in particolar modo per i ragazzi eccessivamente irruenti e spesso iperattivi, quando la responsabilità è tutta sulle sue spalle, il ragazzo deve mantenere una maggiore autodisciplina rispetto al coetaneo che ha scelto di praticare uno sport di squadra. Infatti alcuni sport individuali, in particolar modo le arti marziali, mirano a formare il ragazzo da un punto di vista tecnico-fisico, ma soprattutto da un punto di vista della disciplina. L’autocontrollo insegnato in questi sport riesce spesso a incidere sugli atteggiamenti negativi di alcuni adolescenti, modificandoli: dove non riescono la famiglia e la scuola, spesso può intervenire lo sport.
Gli effetti a lungo termine di questi due differenti modi di esercitare la pratica sportiva sono diversi: la collaborazione, il senso di gruppo, lo spirito di competizione e il senso di appartenenza sono le doti e le capacità che più si accrescono in uno sport di squadra. In uno sport individuale, invece, il senso di responsabilità, la disciplina e l’equilibrio psicofisico sono le qualità che si sviluppano nell’atleta sin dalle prime gare. In uno sport di squadra, l’atleta, sia esso un adulto o un bambino, deve essere in grado di stabilire con gli altri componenti del gruppo le migliori relazioni possibili. E l’allenatore deve sempre tener presenti alcuni aspetti fondamentali per far proseguire al meglio la propria squadra: il gruppo non può essere educato nel suo insieme, ma ciascuno deve essere seguito in modo individuale anche se in cooperazione con tutti gli altri; occorre rinforzare le qualità di ogni componente del gruppo, regalando a ognuno qualche motivo di soddisfazione personale; la cooperazione è più utile della rivalità.
Un gruppo, infine, deve sempre incoraggiare lo spirito di solidarietà, e favorire lo sviluppo di relazioni positive. Questi principi riguardano in particolare l’autodeterminazione, la spontaneità e la corresponsabilità dei vari componenti del gruppo. Per quanto riguarda, invece, l’organizzazione di uno sport individuale, l’atleta in questi casi può “permettersi” di impegnare tutte le proprie energie mentali unicamente sul raggiungimento dell’obiettivo sportivo, senza badare troppo alle relazioni con chi gli sta intorno. L’importante è che riesca a instaurare una buona sinergia con l’allenatore, col quale dovrebbe crearsi un rapporto di fiducia.
Per concludere, sport individuali e sport di squadra si diversificano in base alle modalità di apprendimento e all’approccio mentale necessario per praticarli. Pressione psicologica, motivazione, capacità comunicative e di concentrazione, maturità caratteriale, senso di responsabilità sono alcuni degli elementi più importanti da tenere in considerazione quando si tratta di scegliere quale sport praticare.
Difficilmente si potrà dire che uno sport è migliore di un altro; però, per conseguenza logica delle peculiarità insite nelle due tipologie sportive, di sicuro si può affermare che la pratica contemporanea di una disciplina individuale e di uno sport di squadra può formare l’individuo sotto tanti aspetti, sia cognitivi sia fisico-motori, e in modo più completo rispetto a chi decide di praticare un solo sport.
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento