Il mostro di Foligno: Luigi Chiatti. Tra Criminalità e Psicopatologia. Cosa spinge un uomo ad uccidere la pazzia o la malvagità?

Nella vicenda giudiziaria  di Luigi Chiatti sono state effettuate  molte perizie di tipo psichiatrico, anche di pareri  piuttosto autorevoli.

Tuttavia, mi è sembrato che sia mancata una perizia  psicologica,  cioè una diagnosi basata  sulle caratteristiche di personalità, sul valore comunicativo del sintomo e sul suo significato contestuale, cioè sull’analisi dei fatti  della vita all’interno dei quali Luigi  Chiatti  cresce e   sulla sua  organizzazione difensiva in situazioni di difficoltà.

Una  perizia psicologica è un tipo di perizia che spiega come mai uno a trent’anni  ha una maturità di un diciottenne, come mai l’ambiente  nel quale cresce Luigi Chiatti, inizialmente ambiente assente, non abbia saputo comprendere e decodificare segnali di sofferenza che Luigi Chiatti ha dato sia durante l’infanzia che l’adolescenza.

Utilizzare una serie diversificate di perizie sarebbe stato utile non tanto per una seminfermità mentale o una riduzione della pena, ma perché un giudice avesse potuto valutare più compiutamente il comportamento di una persona,  che non diventa criminale casualmente.

Criminali non si diventa casualmente ed i mostri non si auto generano.

La considerazioni che seguono non rappresentano una giustificazione al comportamento violento di L. Chiatti relativa all’uccisione di due bambini, ma sono una lettura clinico –psicopatologica di un comportamento criminale.

Dietro comportamenti pazzi, cattivi e criminali, ci sono quasi sempre  infanzie infelici e abusate ,  cioè infanzie in vario modo calpestate.

Dentro un adulto con un grave difetto di funzionamento, anche malato e violento, si nasconde un bambino ferito.

Da un punto di vista clinico-psicopatologico  situazioni infantili più  o meno violate possono preparare lo sviluppo di quadri psicopatologici.

Non c’è una corrispondenza diretta tra abuso e psicopatologia, questo accade se si verificano altre due condizioni: la pervasività dell’esposizione al trauma e la mancanza di rapporti nutritivi e protettivi con figure di riferimento.

L’esposizione continua e ripetuta a situazioni traumatiche come possono essere quelle di non ascolto,  abuso, maltrattamento, trascuratezze affettive, e l’assenza contemporanea di adulti che bloccano quanto sta accadendo  collocando il bambino in una situazione di protezione, rallentano i processi di crescita e di integrazione e preparano la porta per una grave psicopatologia. Pensate alle ferite prodotte da un’arma da taglio. Curate prontamente e con la dovuta attenzione, possono rimarginarsi prontamente lasciando una cicatrice. Trascurate o continuamente riaperte possono trasformarsi in piaghe, cioè in ferite assai difficili da curare e da rimarginare.

Per la psicologia clinica un trauma non è costituito solo dall’abuso fisico e sessuale, un trauma sono considerate anche le trascuratezze affettive, l’abbandono e l’assenza di relazioni significative nutritive all’interno delle quali crescere.

Quella di Luigi Chiatti è la storia di un bambino infelice e ferito perché la situazione nella quale viveva era tale che le ferite non guarissero.

Luigi Chiatti si chiamava Antonio Rossi. Nasce nel Febbraio del 1968 e viene collocato  dalla madre naturale in un orfanotrofio di Narni la quale lo  va a trovare per qualche tempo ma in modo discontinuo , finchè non acconsente alla sua adozione.  Antonio rimane in orfanotrofio per sei anni. In quegli anni cade l’ombra di presunti abusi sessuali che avrebbe subito all’età di quattro da parte di chi avrebbe dovuto proteggerlo. Sempre in quegli stessi  anni incomincia a dare segnali di sofferenza, come segnala la psicologa dell’orfanotrofio:  “caratteropatico da carenza affettiva, aggressivo con tendenza all’isolamento, che avrebbero dovuto essere presenti in vista di un’adozione definitiva dopo l’abbandono della madre.

A questo punto si  sollecita l’adozione che viene decretata nel 75 ed Antonio rossi diventa Luigi Chiatti. Ma l’incontro con i genitori adottivi non si rivela un incontro fortunato. La famiglia Chiatti adempiere a tutti quelli che sono gli aspetti formali dell’adozione ma nei fatti ripropone un ambiente povero emotivamente ed affettivamente. In casa regnavano freddezza e repressione. Il rapporto con i genitori adottivi fu difficile ed ambiguo. Chiatti si sentiva un bambino parzialmente accettato dalla madre ma non dal padre. L’ambiente familiare adottivo ripropone vissuto di solitudine che lui già conosce, anzi aumentano le sue difficoltà relazionali e comunicative, nonostante faccia tentativi di dialogare. Quando i suoi sintomi diventano molti ingombrati viene sollecitato l’intervento di una psicologa che formula una diagnosi di marginalità e di iposocializzazione. Riteneva un Io debole, una certa anaffettività, un certo controllo degli impulsi e dispersione dell’identità.

Intanto Luigi Chiatti diventa grande restando infantile, un bambino in  un corpo di adulto.

Nel  '92 l’incontro casuale con Simone Allegretti, di quattro anno. Il primo omicidio.

Qui finisce la storia di L. Chiatti e comincia quella del Mostro di Foligno.

Il secondo omicidio nel '93, Lorenzo Paolucci, di tredici anni.

Nella vita di Chiatti non ci sono stati buoni incontri con figure di riferimenti significative, anzi sembrano esserci assenza di incontri e vuoti affettivi Abbandonato alla nascita, conosce la madre che lo lascia e lo riprende con molta disinvoltura, in momenti successivi ed alterni. Non conoscerà mai il padre naturale. Gli abusi a quattro anni da chi avrebbe dovuto proteggerlo.

L’incontro non meno fortunato con i genitori adottivi che soddisfano solo gli aspetti formali dell’adozione. Chiatti si sente un bambino parzialmente accettato dalla madre e non dal padre, quindi gli è preclusa la possibilità di aprirsi, di identificarsi con i genitori, mai avuta, con riflessi sulla sessualità. Nella sua storia sembrano esservi tutti gli aspetti sopra citati, esposizione continua a trascuratezze affettive, presunto abuso sessuale, assenza di adulti e quindi relazioni affettive in grado di proteggerlo, segnali di sofferenza rimasti inascoltati  e diagnosi implose.

Questi condizioni hanno favorito lo sviluppo disturbo narcisistico di personalità, e tratti marcati di altri disturbi di personalità, mentre sotto l’aspetto affettivo è affetto da pedofilia e sadismo sessuali, diagnosi con al quale viene condannato.

L’identità e quindi l’affettività e la sessualità è qualcosa che si costruisce nella relazione con l’altro, certo non si può dire che L. Chiatti abbia avuto occasioni di stabilire relazioni durature e stabili, anzi pare abbia subito la privazione degli affetti.

Come mettere in relazione questi dati  con il suo comportamento criminale?

La deprivazione, nel senso di mancanza di affetti e di relazioni significative, ha inciso nella vita di Chiatti. Questa carenza può essere posta in relazione anche con l’attenzione verso l’universo infantile. Con riferimento al primo delitto Chiatti sostiene da tempo pensavo di organizzare un progetto di fuga con uno o al massimo due bambini che avrei rapito  e tenuto con me , vivendo non so dove ma ad ogni modo in un luogo isolato..magari in tenda..li avrei rapiti e tenuti con me fintanto che non avrebbero raggiunto i sette otto anni: era il progetto che avrebbe consentito di risolvere i miei problemi…avevo cominciato a fare provviste di abiti per bambini dai tre ai sette anni… ( gli anni che trascorre in orfanotrofio) fu cosi che girando per trovare un bambino..incontro Simone…non volevo ucciderlo ma la situazione mi è sfuggita di mano..

L. Chiatti non sceglie casualmente le sue vittime. innanzitutto si tratta di due bambini maschi, uno di quattro  anni ( l’età in cui avrebbe subito abuso), e l’altro di tredici  anni, considerato da Chiatti stesso il suo alter ego, anagraficamente maggiore di età ma compatibile con la sua immaturità psichica. Sceglie dei bambini probabilmente con delle caratteristiche di personalità che richiamano i suoi vissuti, in modo da controllarli attraverso meccanismi di scissione e proiezione.

La tendenza alla  pedofilia oltre che come gratificazione sessuale, in quanto dichiara di sentirsi attratto sessualmente dai bambini,  è vista anche come mezzo per stabilire un’amicizia e come occasione per elargire, nella sua fantasia, quelle cure materne a lui mancate . Nel cercare bambini lui cerca quel bambino rimasto imploso dentro di lui.

La sofferenza provocata alla vittima è una proiezione della sua sofferenza, che ha la funzione di espellere fuori, ciò che non riesce a tenere dentro: un modo per bloccare il suo vissuto personale. Ogni omicidio è un suicidio inconscio.

Un giovane che uccide bambini dopo averli sottoposti a masturbazioni o pratiche sessuale vuole bloccare le proprie esperienze traumatizzanti nell’infanzia.  Questo accade quando non è possibile richiamare consapevolmente all’esperienza vissuti infantili traumatici.

Oppure, uccidere bambini può essere semplicemente un atto di vendetta verso una società percepita come ingiusta, il medesimo comportamento può essere letto come impedire agli altri sentimenti  di gioia e di felicità che  a lui sono stati negati.

Rimane una domanda di fondo: quanto c’è di criminale e quanto di psicopatologico in un comportamento violento ed omicida?

 Il rapporto tra comportamenti criminosi di natura  violenta e psicopatologia è piuttosto vario e controverso. Occorre utilizzare molta cautela nel sostenere che un comportamento violento è connesso alla presenza di disturbi psicopatologici, non c’è equivalenza tra delittuosità violenta e patologia mentale.

C’è una correlazione significativa tra comportamento violento ed alcune psicopatologie come i Disturbi di Personalità, ma poiché i Disturbi di personalità sono riconoscibili in una fascia molto ampia di popolazione, non tutti quelli affetti da Disturbi di Personalità hanno commesso reati o ne commetteranno. Tuttavia, le storie di tutti i serial killer sono storie di solitudini  e di carenze affettive.

Rimane una domanda di fondo: quanto c’è di malattia e quanto di criminale in un comportamento delittuoso? Mostri non si diventa per caso e non si auto generano, diventano tali per la concorrenza di più fattori, e tra questi anche una responsabilità sociale e collettiva “ quando si vede e non si interviene”.

Cosa spinge una persona ad uccidere, la pazzia o la malvagità? Forse entrambe.

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