psicoterapeuta, consulente tecnico di parte, consulente stalking, mediatore
Integrazione dei bambini disabili a scuola
“L’educazione alle diversità …. è progetto trasversale e non è sinonimo di educazione alla solidarietà. E’ richiamo a riconoscere la diversità e a rispettare il diritto alla diversità. L’educazione alle diversità precede e prepara quella alla solidarietà: non si può essere solidali senza imparare a riconoscere la diversità, senza apprendere il rispetto della diversità, senza assumere responsabilità crescenti.
L’educazione alla diversità richiama la capacità di acquisire competenze legate a una “filosofia dell’incertezza”. (Galli, in AA.VV., 1991).
Quello che da sempre ci colpisce nella pratica quotidiana in campo educativo, in presenza di bambini piccoli, ancora non “inquinati” da concetti di normalità /diversità, è come essi siano naturalmente curiosi e disponibili a conoscere e interagire con i loro pari “normali e non”.
E’ soprattutto tra i tre e i sei anni , che è possibile, da parte degli adulti, impedire il formarsi dei pregiudizi e delle diffidenze nei confronti dei compagni “diversi” , e quindi, che i bambini crescano, accettando facilmente il compagno “diverso”, come uno di loro, stabilendo con lui relazioni significative.
Se l’adulto, in particolare gli adulti di riferimento, hanno paura e vivono con disagio la diversità, ciò innesca anche nei bambini le stesse difficoltà, gli stessi disagi e diffidenze.
Nel gruppo dei pari, la presenza del bambino disabile, ma anche del bambino extracomunitario, del bambino più fragile, più introverso, più “imbranato, più dotato , impone da un lato la convivenza, dall’altro la riduzione della dissonanza cognitiva.
La vicinanza con l’altro, superata la prima fase di conoscenza, a volte difficile , porta necessariamente all’azione orientata al bene sociale, grazie alla capacità di empatia che i bambini hanno e che si sviluppa sulla base delle affinità con il disabile e tutti gli altri bambini.
Le classi integrate arricchiscono ogni bambino dandogli l’opportunità di imparare dagli altri, di occuparsi degli altri e di acquisire inclinazioni, abilità e valori necessari per sviluppare l’autostima e il rispetto degli altri.
I bambini che vivono in classe con compagni disabili elaborano una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo.
Per i bambini disabili, viceversa, stare con i compagni “normali”, aumenta la voglia di fare, di imitare, di emulare e quindi di “imparare”.
Si rende perciò necessario un percorso che aiuti i bambini ad accettare il diverso senza paura e senza la mistificazione del “siamo tutti uguali”, che non serve a riconoscere né la propria originalità né quella del bambino con bisogni educativi speciali.
I bambini in età prescolare, se sono emotivamente “solidi”, hanno cioè dei punti di riferimento affettivi sicuri, si dimostrano desiderosi di contatto sociale e sono in grado di sviluppare rapporti significativi con i coetanei oltre che con gli adulti e di attivare comportamenti empatici e “altruistici”.
Molti bambini volontariamente esprimono la voglia di “aiutare, condividere, confortare, cooperare, simpatizzare” con i coetanei.
Alla radice di questi atti, sta la tendenza e la capacità del bambino di percepire le emozioni e i bisogni dell’altra persona e di reagire emotivamente in congruenza con la situazione dell’altro.
Abbiamo tutti presente, come un bambino reagisce quando vede il compagno che piange , come si avvicina e cerca di portare aiuto e consolazione.
A questa età si fa sempre più forte la voglia di cooperare con i coetanei perché, per esempio, il gioco è più bello e più interessante se lo si condivide .
Nella soluzione dei conflitti, che scoppiano nel gruppo o nella coppia di partner intenti al gioco, il “patteggiamento , la mediazione, i compromessi, le controproposte, sono le modalità più efficaci che i bambini mediamente sicuri di sé utilizzano più frequentemente.
E’ ovvio che questa naturale predisposizione nei confronti dell’altro sia anche determinata dall’ambiente in cui il bambino è vissuto e vive.
Non esiste il bambino “ideale”, bensì il bambino con la sua storia, le sue caratteristiche fisiche, psichiche, emotive, la sua personalità, i suoi bisogni, i suoi interessi, i suoi limiti e le sue potenzialità.
Essere consapevoli di questa realtà , può facilitare lo sviluppo della cooperazione tra i bambini eliminando qualsiasi forma di giudizio nei confronti delle manifestazioni degli stessi, rinforzando e sostenendo le motivazioni, gli interessi e le preferenze che i bambini esprimono.
Quando l’adulto imposta la sua relazione educativa mettendo in primo piano la conoscenza della persona , allora tutti i bambini ivi compresi i bimbi disabili hanno concrete possibilità di sviluppare le proprie potenzialità e risorse in un contesto accogliente e sereno.
Rinforzare quindi la predisposizione naturale dei bambini a convivere con l’altro non può che essere il terreno più fertile in cui le potenzialità del bimbo disabile trovano la possibilità di crescita.
Anche il bambino disabile agisce per ottenere comprensione, approvazione, lode dagli adulti e dai coetanei e, in questa sua ricerca di concreti segni di riconoscimento, trova quasi sempre il modo di fare qualcosa che possa essere apprezzato, di rendersi in qualche maniera utile, di diventare oggetto di attenzione, in una parola di autorealizzarsi.
Tutti i bambini possono giocare, lavorare, imparare insieme in un’attività comune, ciascuno secondo il proprio specifico livello senza fare necessariamente la stessa cosa.
La via che porta all’integrazione di un gruppo è di fare agire il più possibile i soggetti disabili insieme ai loro compagni di sezione o di gruppo, in modo che l’operare degli uni influenzi e condizioni quello degli altri e che ciascuno possa riconoscersi soggettivamente competente e oggettivamente importante per la comunità.
La ricerca di relazione, di comprensione e di approvazione dagli adulti e dai coetanei con cui ci si trova ad interagire, è un cammino di riconoscimento, un cammino che stimola e richiama il sentimento di Sé.
La via che porta all’integrazione non può fare a meno di passare attraverso questo sentimento.
Il bambino può inserirsi e integrarsi in un contesto gruppale se è in grado di integrare tutti gli aspetti del Sé, compresi i suoi limiti, le sue paure, la sua disabilità.
Con l’avvento della scuola l’interesse e lo scambio nei confronti dell’altro purtroppo viene sempre più frustato.
Solitamente ciò che un insegnante dice ai suoi alunni è:
- Non badare a cosa fanno gli altri
- Stai zitto
- Non copiare
- Ascoltami, non ascoltare i compagni
La scuola, cioè non sempre insegna a collaborare né a cooperare e il lavoro di gruppo spesso viene solo parzialmente proposto.
Cooperare significa lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. Ogni individuo cerca di perseguire dei risultati che vanno a vantaggio suo e di tutti i compagni.
L’apprendimento cooperativo è un approccio didattico e educativo che utilizza sistematicamente piccoli gruppi in cui gli alunni lavorano insieme per migliorare reciprocamente il loro apprendimento.
Non è né competitivo né individualistico e può essere applicato a ogni compito e ogni materia.
Gli studenti lavorano insieme e sono contenti di farlo.
Alcune caratteristiche dei gruppi cooperativi:
- L’ obiettivo comune è massimizzare l’apprendimento di tutti i membri. Ciò stimola e motiva ogni singolo a sforzarsi di più individualmente, ottenendo quindi dei risultati superiori. Tutti sanno e accettano che il fallimento di uno è il fallimento di tutti.
- I membri del gruppo ritengono se stessi e gli altri egualmente responsabili per lo svolgimento del lavoro che permette loro di raggiungere l’obiettivo scelto.
- I membri lavorano e producono insieme. Contribuiscono al successo dei singoli e del gruppo scambiandosi aiuto, informazioni, assistenza, spiegazioni, incoraggiamento.
- I membri del gruppo acquisiscono abilità sociali e cognitive utili per coordinare gli sforzi comuni necessari al raggiungimento degli obiettivi.
- I membri del gruppo verificano se gli obiettivi sono stati effettivamente raggiunti e valutano la qualità del lavoro.
Approccio e disposizione individuale al di lavoro di gruppo: “un problema e/o compito da risolvere”.
1 . Esprimo le mie idee / tutti esprimono le loro idee
2. Ascolto gli altri, tutti hanno l’opportunità di parlare, tutti sono ascoltati
3. Chiedo agli altri ciò che pensano / gli altri mi chiedono ciò che penso
4. Motivo le mie idee / gli altri motivano le loro idee
5. Discuto molte idee diverse
e soprattutto:
Cosa posso chiedere, per sapere le idee dell’altro
Cosa posso chiedere per scoprire le motivazioni che stanno dietro il pensiero di un altro
Nei gruppi cooperativi i ruoli corrispondono spesso a funzioni che favoriscono la gestione e il funzionamento del gruppo.
Il gruppo stabilisce i ruoli e le responsabilità in base agli obiettivi e alle competenze e abilità individuali.
Diventa così chiaro per tutti, ciò che un membro è tenuto a fare e ciò che lo stesso ha il diritto di aspettarsi dai compagni del gruppo, che hanno ruoli complementari.
Abbiamo detto che in un gruppo cooperativo ogni membro è responsabile sia del suo apprendimento sia di quello dei compagni.
Non è “sfruttare il lavoro altrui, né oziare”.
La capacità di interagire produttivamente con gli altri si apprende con l’esperienza e presuppone che le abilità sociali di ogni membro del gruppo siano adeguate al compito.
E’ compito dell’adulto/insegnante predisporre, favorire, facilitare tutto quanto è necessario per far acquisire ai minori/alunni le competenze e abilità sociali indispensabili allo svolgimento del lavoro comune.
Bibliografia
Bermole A., Dal Porto M.G., Moretto L., Verso una pedagogia olistica - Tecniche partecipative attive, Bulzoni Editore
Dario Ianes - Mario Tortello, Handicap e risorse per l’integrazione, Ed. Erickson
Dario Ianes - Didattica speciale per l’integrazione, Ed. Erickson
Dario Ianes - Mario Tortello - La qualità dell’integrazione scolastica , Ed. Erickson
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento