Ho perso mia figlia
Buongiorno, ho perso mia figlia lo scorso anno, dopo una lunga malattia che è durata due anni. Due anni in cui abbiamo vissuto in simbiosi, alternando paura a speranze. Dopo qualche giorno dalla sua morte, mi sono affrettata a regalare molti suoi oggetti. Ho svuotato i suoi mobili e regalato i suoi vestiti. Temevo che col tempo il dolore sarebbe diventato più forte e avrei fatto della sua stanza un santuario. Da un lato credo di aver fatto bene, dall'altro ora soffro molto per aver gettato i bicchieri di una famosa caffetteria che c'è in tutto il mondo, con scritto su la città di dov'era stata e il suo nome (lei ci teneva moltissimo). E poi di aver svuotato un cassetto della sua scrivania, pieno zeppo di accendini, che lei aveva messo a posto nei primi tempi della malattia. Me lo aveva fatto vedere orgogliosa di aver fatto qualcosa nonostante il suo malessere. Io non mi so perdonare...
Gentile Anna,
la morte di un figlio, come purtroppo lei ben sa, è una delle prove più terribili a cui la vita ci può sottoporre.
Uno dei meccanismi difensivi più frequenti che adottano gli esseri umani, in modo inconsapevole, in questi casi è trasformare il dolore in rabbia.
La rabbia, infatti, è un'emozione, per quanto negativa, più facile da maneggiare nei confronti di un dolore così grande.
Concentrarsi sui bicchieri o sugli accendini è una strategia mentale involontaria per tentare di sopire il dolore trasformandolo in rabbia.
Nella realtà, Lei non deve colpevolizzarsi per nulla, è stata un'ottima madre e ha fatto tutto quello che era umanamente possibile, e anche di più, per stare vicina a sua figlia che, anche se per troppo poco tempo, ha goduto del suo amore. Nessun essere umano è perfetto ovviamente e lei non deve rimproverarsi per aver adottato delle strategie che, in quel momento, nello stato d'animo di allora, le sembravano le più idonee.
Un abbraccio forte
Alberto Vito